Un passo avanti e uno indietro. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato ieri il nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia che prevede, tra le altre cose, il blocco graduale delle importazioni del petrolio da Mosca. Alcuni Paesi hanno espresso preoccupazioni, ma a fermare il pacchetto è stato il no dell’Ungheria, che ha minacciato di votare proprio contro l’embargo.
L’Europa si divide ancora, mostrando la sua debolezza nella gestione della crisi legata alla guerra di Putin in Ucraina. Ed Enrico Letta, segretario del Pd, in un’intervista a Repubblica torna a chiedere l’eliminazione del principio di unanimità, così come aveva già fatto il premier Mario Draghi nel suo discorso a Strasburgo.
«L’Europa si blocca quando regole come quelle attuali consentono a un singolo Paese di esercitare il diritto di veto», dice Letta. «L’Ungheria di Orbàn, per fare un esempio non casuale, ha facoltà di farlo ogni volta che ritiene. Come se in Italia, dopo una decisione del governo nazionale, arrivassero le Marche e dicessero: “Fermi tutti”. Non si può andare avanti così».
Secondo il segretario, però, stanno accadendo «fatti storici che aprono grandi possibilità. L’altro giorno, proprio dopo il bellissimo discorso di Mario Draghi a Strasburgo, è stata votata una riforma della legge elettorale europea e per la prima volta, con le elezioni del 2024, una quota di europarlamentari sarà eletta con metodo transnazionale. Quindi, il 9 maggio, può partire la Convenzione per la riforma dei trattati, proprio con l’obiettivo di eliminare il meccanismo dell’unanimità e del diritto di veto su molte materie. Sono molto fiducioso, da qui può nascere la svolta per una vera Europa federale».
E per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, «vedo un percorso con due passaggi», spiega. «Il primo è la costruzione di una Confederazione europea che comprenda gli attuali 27 Stati membri della Ue e i nove Paesi interessati all’ingresso, tra cui l’Ucraina, per stabilire indirizzi comuni di politica estera e principi guida dello Stato di diritto. La confederazione sarà l’anticamera dell’adesione vera e propria alla Ue. Va fatta subito, perché non si può chiedere agli ucraini di aspettare dieci anni prima di entrare a far parte della famiglia europea. Il secondo piano è appunto l’Ue che si integra definitivamente in logica federale con eliminazione del diritto di veto e creazione del Pilastro Sociale e dell’Unione della Difesa e della Politica Estera».
«Gli anglosassoni dicono: when in trouble, go big .Ecco, quando le cose si fanno difficili bisogna rilanciare», ribadisce Letta. E, in attesa di una svolta, già «il fatto che i presidenti o primi ministri dei principali cinque Paesi europei – Italia, Germania, Francia, Spagna e Polonia – stiano valutando una missione comune a Kiev è un segno di leadership e sarebbe la dimostrazione che non c’è alcuna subalternità agli Stati Uniti. I quali, comunque, non vanno certo biasimati per la loro azione e il loro sostegno agli aggrediti».
Letta definisce «ignominiosa» l’espressione della «guerra per procura» secondo la quale gli ucraini starebbero combattendo Putin per conto di Usa e Nato.
E nella famiglia europea, agggiunge, «non c’è sicuramente posto» per il «filoputinismo» di Orbàn, dice. «Incompatibile con lo spirito dell’Unione. Ma Orbàn è più isolato di prima. L’invasione russa ha disgregato l’asse di Visegrad. Serve un grande investimento su Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca».
«Imbarazzante», dice Letta, l’apprezzamento della destra italiana per il premier ungherese. «Chi in Italia immagina di guadagnare consenso associandosi a Orbàn ha sbagliato completamente strategia, perché proprio come accaduto con Putin diventerà sempre più un accostamento negativo. La recente foto di Salvini che riceve Orbàn a Roma rischia di diventare come quella maglietta putiniana che al leader della Lega ha creato grandi problemi».
Quanto all’invio delle armi in ucraina che Conte e Salvini stanno contestando con sempre più forza, risponde: «Sto ai fatti. Per ora abbiamo sempre votato tutti insieme e non c’è stato alcuno smarcamento concreto. Se cambierà qualcosa, dovrà essere il Parlamento a stabilirlo». E per Letta «l’unico limite che vedo è quello che è stato superato da Boris Johnson quando ha ipotizzato che le armi fossero usate per un contrattacco sul territorio russo. Quello è sbagliato ed è un confine da non oltrepassare».