La corazza bluUn vestito nuovo, l’estate che non ci sarà e le cicatrici della guerra alla nostra Ucraina

Non possiamo permetterci una vacanza, non possiamo distogliere lo sguardo, rilassarci, perché i soldati in prima linea e i volontari nelle varie postazioni non possono permettersi di riposare. Se si stancheranno loro, se distoglieranno lo sguardo sarà tutto finito, perderemmo tutto

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Entro in un negozio di vestiti al centro di Torino. Per la prima volta dal 24 Febbraio entro in un negozio di vestiti. Forse perché sono a Torino, in trasferta, non nella mia solita quotidianità milanese-gallaratese. Scelgo un vestito blu, vado a provarlo in cabina prova.

Togliendo i miei vestiti bianconeri quasi non si vedono le cicatrici che porto da quasi tre mesi. Dallo specchio mi guarda quasi una persona normale. Alle casse del negozio suona una musica leggera, saranno le canzoni dellEurovisione, visto che siamo a Torino.

Un altro suono, quello del cellulare nella borsa, però continua ad avvisarmi dei bombardamenti in Ucraina, delle chat con gli amici, delle sirene antiaeree da un’applicazione sempre accesa. Sono lì in diretta nella mia borsa.

Nella cabina di fianco c’è una mia amica, anche lei per la prima volta in un negozio di vestiti, anche lei ucraina con una casa a Kiev che ha lasciato nella prima settimana di guerra. Ora si sposta tra Leopoli e Milano.

Il vestito blu è perfetto mentre io non lo sarò mai più. Lo poso alla cassa come la corazza che mi è cresciuta negli ultimi mesi, forse lo metterò nelle occasioni speciali, forse lo metterò anche a Kiev, a Leopoli, a Kharkiv. Forse.

Usciamo dal negozio con una busta a testa. Un vestito solo, perché il resto degli introiti va donato all’Ucraina. Ci addentriamo nella mischia calda della gente di metà maggio: piani per l’estate, prova costume, creme abbronzanti, la voglia di una vacanza. E poi c’è un abisso nero e umido e oltre quell’abisso ci siamo noi con le buste, il vestito blu e le cicatrici della guerra.

Noi non possiamo permetterci una vacanza, non possiamo distogliere lo sguardo, rilassarci, perché i soldati in prima linea e i volontari nelle varie postazioni non possono permettersi una vacanza. Se si stancheranno loro, se distoglieranno lo sguardo sarà tutto finito, perderemmo tutto. Quindi ricalibro le forze, rimetto la corazza blu e vado avanti nella mischia.

Gli ultimi tre mesi ci hanno cambiati per sempre. Tutto quello che leggevamo nei libri sulla guerra, sui campi di concentramento, sulle torture, sulla banalità del male, è successo anche a noi. La guerra ha rubato il nostro presente, ha scavato i traumi del passato e ha mutilato il futuro.

La primavera del 2022 non c’è stata, l’estate 2022 non ci sarà. L’autunno? L’inverno? Il 2023? Ci auguriamo un 2023 di pace?

E poi una volta finita la guerra (quando?), ci sarà tutto da ricostruire: le città, le case, le chiese, le vite. Ma non si tornerà mai  più nella condizione di partenza. Ci sarà il cemento fresco sulle facciate di Mariupol’, la terra solcata di Kherson, non ci sarà più il museo di filosofo Hryhorij Skovoroda, ci saranno le bende sulle braccia, gambe e cuori.

Olaf Scholz di recente ha dichiarato, che l’Ucraina soffrirà le ripercussioni della guerra per i prossimi cent’anni. Una distanza di tempo ancora più lunga dalla fine della Seconda guerra mondiale. Non sarà né la generazione dei miei genitori né la mia né quella dei figli dei miei amici ad avere una vita senza che ci sia stato il segno di questa guerra.

L’esperienza di guerra ci ha divisi dalla folla calda di maggio. Nessuno l’ha voluta, nessuno l’ha chiesta. La condizione di partenza ormai è questa: qualcuno ce l’ha e qualcuno no, ma dobbiamo imparare a conviverci tutti insieme con o senza il vestito blu.

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