Il dibattito sulla guerra in Ucraina mi ha tolto l’ultima illusione che ancora conservavo sulla politica italiana, sui suoi attori e sui suoi commentatori, e più in generale su quelle che si usa chiamare classi dirigenti. L’illusione cioè che un certo grado di cialtroneria fosse comunque una garanzia contro mali più gravi.
In fondo, pensavo, un qualche livello di approssimazione, pigrizia e inefficienza, che in Italia rende assai arduo qualunque tentativo di migliorare le cose, rende altrettanto arduo qualsiasi tentativo di peggiorarle oltre un certo limite. Quello stesso muro di gomma contro cui si scontra ogni sforzo di combinare qualcosa di buono, mi dicevo, è anche la nostra più affidabile difesa contro mali più grandi. Evidentemente mi sbagliavo.
Ero convinto che la maggior parte dei nostri politici, intellettuali e giornalisti, per quanto potessero apparirmi a volte ipocriti, altre volte disonesti o semplicemente ignoranti, fossero comunque relativamente inoffensivi. Non ho mai avuto una grande opinione delle nostre classi dirigenti – ma chi ce l’ha? – e in ogni caso mi consolavo ripetendomi che è mille volte più sicuro vivere tra innocui cialtroni che tra efficientissimi criminali. Sbagliavo anche su questo.
Lo dimostra lo spettacolo offerto dal dibattito sull’Ucraina, con gli effetti che ha prodotto e che continua a produrre, sull’opinione pubblica e sulle stesse forze politiche, attraverso questo costante martellamento di idiozie, questa serie asfissiante di assalti alla ragionevolezza e al comune senso del pudore.
Contrariamente a quel che si dice, infatti, la situazione in Ucraina è tragicamente semplice, e proprio non potrebbe essere meno complessa di così: c’è un popolo aggredito che ci chiede armi per potersi difendere, al quale noi possiamo rispondere di sì o di no. Ma rispondere che gli diciamo di no per il suo bene, per non prolungare inutilmente le sue sofferenze, è oltre il limite della decenza, significa portare la discussione a un livello talmente basso, intellettualmente e moralmente, da non consentire alcuno sviluppo ulteriore del dibattito, in nessun senso.
Si può e si deve discutere di cosa è più giusto fare e fin dove possiamo spingerci, nel sostegno politico e militare all’Ucraina e nelle sanzioni economiche alla Russia, e di quale strategia politica e diplomatica sia più utile, più prudente e più giusta, per minimizzare i rischi per noi e per massimizzare le opportunità di interrompere i massacri laggiù. Ma cosa si può rispondere a chi dice che le sanzioni non servono e le armi nemmeno, anzi sono entrambe dannose, sempre però premettendo di essere convintamente dalla parte dell’Ucraina, che ogni giorno ci implora di inviare armi e aumentare le sanzioni? Cosa si può dire a chi prima dice che non dobbiamo aiutare gli ucraini perché tanto la Russia vincerà lo stesso e poi che non dobbiamo aiutare gli ucraini perché è troppo pericoloso mettere Putin in un angolo, ma continua comunque a spergiurare di fare il tifo per l’Ucraina con tutto se stesso, e di svegliarsi ogni mattina augurandosi che riesca a respingere gli invasori? Non dico una controbiezione, dico semplicemente una domanda sensata, che non appartenga a quel ristretto ventaglio di possibilità che va da «stai scherzando?» a «ma non ti vergogni?».