Il grande sprecoL’Italia ha la più alta percentuale di persone che vogliono lavorare ma non cercano un impiego

Il 36% di coloro che non fanno parte della forza occupazionale potrebbe attivarsi, ma per ragioni (in parte) misteriose non invia curriculum, non partecipa a colloqui. Un dato assurdo e imparagonabile con altre nazioni simili alla nostra: in Portogallo non si va oltre al 20,2%, in Spagna il 18,4%, in Germania solo il 12,6%

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L’Italia è il Paese in Europa in cui è più alta la percentuale di persone che non lavorano, anche se hanno l’età adatta per farlo. La forza lavoro, che include chi ha un’occupazione e chi non ce l’ha ma la cerca, non è mai riuscita a raggiungere il 66%, neanche negli anni migliori. Più del 34% di chi ha tra i 15 e i 64 anni non solo non ha un impiego, ma non si è neanche attivato per procurarselo.

È un dato dovuto al fenomeno degli eterni studenti che rimangono diversi anni fuori corso? O ai pensionati precoci che si ritirano prima dei 60 anni? O ancora al lavoro nero?

Ognuno di questi elementi ha un senso, sono tutti ben presenti in Italia, ma meno di un tempo in realtà, grazie ad alcuni cambiamenti intervenuti nel tempo in ambito pensionistico o universitario.

Un fattore su tutti differenzia l’Italia da nazioni che hanno dinamiche simili alle nostre, come Spagna o Grecia: la motivazione per cui queste persone non lavorano. La gran parte degli inattivi (il 29,5% sull’intera popolazione) non ha alcuna intenzione di lavorare, ma solo in Italia è sostanziosa anche la quota di persone che avrebbe desiderio di avere un’occupazione ma non la cerca.

Sono il 7,5% tra quanti hanno tra i 20 e i 64 anni, e arrivano al 7,8% se il denominatore è composto dai 25-54enni, ovvero tagliando fuori gran parte degli universitari e dei pre-pensionati.

La distanza dagli altri Paesi in cui tale categoria è più numerosa, come Croazia o Spagna, è molto ampia: in Italia la proporzione è doppia o più che doppia che in ogni altro Stato della Unione europea

Dati Eurostat, IV trim. 2021

Quindi il 36% di coloro che non fanno parte della forza lavoro (poco più di un quarto se consideriamo i 20-64enni) in realtà potrebbe attivarsi, ma per ragioni (in parte) misteriose non invia curriculum, non partecipa a colloqui. Un dato assurdo e imparagonabile con altre nazioni simili alla nostra: in Portogallo non si va oltre al 20,2%, in Spagna il 18,4%, in Germania il 12,6%, un terzo.

Dati Eurostat, IV trim. 2021

Stiamo parlando di un milione e 712 mila persone, 2 milioni e 585 mila allargando il bacino anche a 20enni e 60enni. Sono il 42,2% di tutti quelli presenti nella Ue. Una percentuale abnorme considerando che la popolazione italiana è solo il 13,3% di quella complessiva dell’Unione Europea

Dati Eurostat, IV trim. 2021

La percentuale massima di italiani che hanno intenzione di lavorare ma non cercano è stata raggiunta tra fine 2014 e inizio 2015, al culmine della recessione seguita alla crisi dell’euro, e si è avuto un secondo picco a causa del Covid, poco più di un anno fa. Ora i numeri sono diminuiti, rimanendo però ancora superiori a quelli del 2009 e degli anni precedenti.

Dati Eurostat

Come altri fenomeni che riguardano la mancanza di lavoro anche questo colpisce più le donne, nonostante il divario di genere sia diminuito nel tempo. Ancora oggi le potenziali lavoratrici che non si attivano nonostante sulla carta vogliano un impiego sono l’8,4%, mentre si scende al 6,6% tra gli uomini.

Dati Eurostat, disponibili a lavorare ma non cercano

Sono solo una curiosità statistica o c’è qualcosa dietro? I dati Eurostato mostrano un segmento della popolazione che è troppo scoraggiato per cercare una occupazione o di circostanze familiari che tengono lontani dal mondo del lavoro. In entrambi i casi si capisce perché questi numeri sono così alti nel nostro Paese.

Oltre al fenomeno psicologico è probabile vi siano condizioni strutturali e concrete che impediscono l’incontro tra l’offerta e la domanda di occupazione.

C’entra molto il fatto che ben il 54% di questi “scoraggiati” sia arrivato al massimo alla terza media, mentre in Germania non si giunge al 30%. Si tratta di una percentuale altissima anche per un Paese che non ha mai brillato per il livello di istruzione della sua popolazione. C’entra molto anche il mismatch delle competenze, o meglio ancora la mancanza di queste ultime tra la popolazione.

Allo stesso tempo la prevalenza femminile in questo ambito ci fa capire che ad avere un peso è anche la carenza di un welfare familiare adeguato, che consenta alle donne che hanno figli di avere una carriera, di non rimanere schiacciate tra responsabilità familiari e lavorative, soprattutto nelle fasce più fragili e povere della popolazione.

Siamo di fronte a un grande spreco. Lo spreco di capitale umano, innanzitutto, da accrescere o da utilizzare così com’è, anche se non arricchito da titoli, master, dottorati. L’ennesimo spreco che non potremmo permetterci, non dissimile da quelli più noti, che suscitano più indignazione, quelli della spesa pubblica, dei fondi europei non sfruttati. Forse è ancora più grave, perché se rimediare all’inefficienza della Pubblica Amministrazione è possibile, volendo, è più difficile recuperare un/una quarantenne che non ha mai lavorato in vita sua, ma lo avrebbe desiderato.

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