Questione di pagheL’equo compenso per i professionisti è il nuovo terreno di battaglia nella maggioranza

Il testo firmato da Giorgia Meloni e da due deputati di Lega e Forza Italia è fermo alla Commissione Giustizia del Senato. Gli emendamenti presentati sono 147. Si allarga il fronte del no tra i partiti di governo. «Così com’è, se diventasse legge, questo testo sarebbe fortemente dannoso», dice Chiara Gribaudo (Pd), che chiede profonde modifiche

Cecilia Fabiano/ LaPresse

È uno dei temi cari alla sinistra, ma nel gioco delle tre carte della politica stavolta a cavalcare la questione dell’equo compenso dei professionisti è la destra di Giorgia Meloni. Il disegno di legge, che porta come prima firma quella della leader di Fratelli d’Italia, non piace fino in fondo a nessun partito della maggioranza di governo. Anche a destra. Tantomeno a molti dei sindacati e delle associazioni dei professionisti, perché – dicono – finisce per penalizzare i giovani all’ingresso nel mercato, che già percepiscono redditi da fame.

Il testo di 13 articoli era stato approvato alla Camera a novembre con la promessa di essere radicalmente modificato al Senato. Ora è fermo nella commissione Giustizia di Palazzo Madama, con 147 emendamenti presentati, pronto a diventare l’ennesimo terreno di scontro politico, soprattutto in vista delle elezioni amministrative. La prossima convocazione con il testo all’ordine del giorno è per il 24 maggio. Da un lato c’è la destra, non tutta, che vuole accelerare e portarlo in aula. Dall’altro la sinistra, che vuole stravolgerlo, se non spedirlo su un binario morto.

«Così com’è, se diventasse legge, questo testo sarebbe fortemente dannoso», dice Chiara Gribaudo, deputata e responsabile giovani nella segretaria del Pd. «È una proposta profondamente sbagliata che, paradossalmente, invece di colpire i committenti inadempienti sanziona i professionisti sottopagati e ancora una volta si penalizzano i giovani professionisti».

Il relatore in commissione, il leghista Emanuele Pellegrini, chiede di stringere i tempi e approvare il testo così com’è senza un ritorno a Montecitorio. E anche il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, di Forza Italia, ha sottolineato che con l’approvazione di modifiche al testo si rischierebbe di non portare a casa la legge nella legislatura. Ma il fronte del no si allarga con il passare dei giorni.

«Quel testo, per le garanzie che la vita parlamentare assegna alle opposizioni, raccolse soprattutto le proposte di Fratelli d’Italia. Non ci opponemmo per evitare strumentalizzazioni, ma specificammo già allora che si sarebbe dovuto intervenire al Senato», racconta Gribaudo. La stessa Giorgia Meloni in aula si dichiarò disponibile a cambiarlo. «Se davvero vuole farlo, noi ci siamo».

Le richieste di modifica sono tante. Ma il nodo della contesa sono soprattutto le sanzioni. Il testo firmato da Meloni e dai deputati di Lega e Forza Italia, Jacopo Morrone e Andrea Mandelli, prevede che, se si stabilisce un rapporto contrattuale lesivo dell’equo compenso, le sanzioni disciplinari da parte dell’ordine professionale sono a carico del professionista.

«Se voglio garantire un compenso adeguato al professionista sanziono il committente non il professionista», controbatte Gribaudo. E in più «non ha senso che gli ordini si sostituiscano al professionista, limitandone la libertà di negoziazione economica, nella contrattazione del compenso con le singole imprese, anche in deroga ai parametri».

Il testo, per molte associazioni dei professionisti, finirebbe anche per tutelare solo alcuni. Non solo i soli iscritti agli ordini. Ma anche la fascia più ristretta di coloro che hanno contratti convenzionali con la pubblica amministrazione – partecipate escluse – e con i cosiddetti grandi committenti (banche e aziende con più di 50 dipendenti o un fatturato superiore a 10 milioni). Escludendo quindi milioni di professionisti che lavorano attraverso rapporti non convenzionali.

Secondo la deputata Dem, «con questa impostazione, innanzitutto, si eliminerebbe ogni parvenza di concorrenza danneggiando i giovani professionisti per favorire chi ha già raggiunto rendite di posizione. Poi non è chiaro come venga fissato un equo compenso per le centinaia di migliaia di professionisti senza ordine». Il punto, aggiunge, «rimane garantire ai professionisti compensi equi, non sanzioni inique e pesanti».

Il paradosso della legge, come fanno notare diverse associazioni, dai commercialisti agli avvocati, è che in caso di mancato rispetto dell’equo compenso chi ci rimetterebbe di fatto è il professionista. E le tensioni esplose intorno al testo non riguardano solo i partiti, ma anche ordini professionali, associazioni e sindacati degli autonomi, divisi tra chi vuole premere sull’acceleratore e chi vorrebbe invece tirare il freno a mano della legge. Anche nelle stesse categorie. Se l’Associazione nazionale forense giudica il testo irricevibille, l’Organismo congressuale forense vorrebbe invece approvarlo così come. Così come l’Inarcassa e l’associazione Professionitaliane.

Eppure Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, in audizione alla commissione Giustizia del Senato, ha spiegato che in questo modo la legge «non solo condanna chi ha subito un compenso iniquo, ma paradossalmente impedirà ai professionisti di intentare un’azione civile». Perché il giudizio, appunto, spetterebbe all’ordine di appartenenza. Dal Partito democratico, si propone invece che sia «il governo e non gli ordini a stabilire i parametri minimi per la definizione dell’equo compenso, ma poi deve esserci un confronto sul mercato».

E il fronte contrario si allarga anche in diversi pezzi della maggioranza. Italia Viva e Cinque Stelle hanno già espresso più di un dubbio. Ma anche nella Lega e Forza Italia, che vedono diversi professionisti non solo nell’elettorato di riferimento ma anche tra i propri parlamentari, cresce il dissenso sulla legge dell’alleata Giorgia Meloni.

Dal partito di Silvio Berlusconi si pone anche il problema delle coperture finanziarie per estendere l’equo compenso anche alle agenzie della riscossione. E poi, dicono, approvare il testo così com’è significherebbe ignorare le tante richieste che provengono dalle professioni non ordinistiche, che reclamano l’estensione delle tutele, ma anche dal mondo forense, che chiede di applicare l’equo compenso anche alle aziende più piccole sotto i 10 milioni di ricavi.

Senza dimenticare i pareri negativi arrivati in Commissione Giustizia anche dal mondo accademico. Secondo Giulio Napolitano di Roma Tre, Silvio Martuccelli della Luiss e Gian Michele Roberti della Sapienza, non ci sarebbe coerenza tra l’individuazione di soglie minime per i compensi professionali e la direttiva Bolkenstein. Il provvedimento, hanno scritto, da un lato scaricherebbe i costi sulle imprese e dall’altro, agganciando i compensi ai decreti ministeriali, reintrodurrebbe un sistema di tariffe minime bocciato dall’Unione europea.

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