Pochi, non pigriLa scarsità di giovani nella ristorazione non è colpa delle paghe basse, ma della demografia

Il settore, uno dei pochi che è cresciuto negli ultimi anni, si trova a dover affrontare un restrizione strutturale dell’offerta (a fronte di un aumento della domanda) che non viene compensata nemmeno dagli immigrati. È un problema che riguarda anche altri Paesi, ma in Italia è più marcato

di Kate Townsend, da Unsplash

“Non si trova personale”, “i giovani non vogliono più lavorare nella ristorazione”, “non vogliono più fare sacrifici”. Da qualche anno questi titoli sono un classico dell’esordio della stagione estiva, un po’ come le raccomandazioni agli anziani di bere molto e non uscire nelle ore più calde della giornata.

Dopo il Covid vi è stata un’ulteriore accelerazione: è stata data la colpa al Reddito di Cittadinanza, alla mancanza di volontà dei 20enni infiacchiti dai lockdown, e naturalmente anche all’avidità dei ristoratori.

La realtà è che la carenza di personale è un problema di tutta l’Europa e dell’Occidente: non interessa solo l’Italia. Un po’ ovunque è difficile reperire giovani lavoratori in particolare per mansioni stagionali.

Ad accomunare l’Italia e i suoi vicini, infatti, vi è un fattore che non spiega completamente quanto sta accadendo, ma contribuisce più di quanto si pensi, anche se viene citato di rado. È il fattore demografico.

Gli italiani e gli europei sono sempre più vecchi e sono sempre meno quelli che rientrano nella fascia di età in cui è più frequente trovare camerieri, personale di sala dei ristoranti, aspiranti cuochi.

Dopo il 2015 nel nostro Paese i giovani tra i 20 e i 24 anni sono scesi sotto i 3 milioni: erano 4 milioni nel 1998 e avevano raggiunto un massimo di 4,7 milioni nel 1988, all’epoca in cui probabilmente molti gestori di locali avevano cominciato a lavorare. Questi numeri includono anche gli immigrati, senza i quali la situazione sarebbe ancora più preoccupante e, soprattutto, diversa da una volta.

Il panorama è simile anche per i 25-29enni, scesi di circa un milione e mezzo di unità in 30 anni, tra il 1990 e il 2020. Siamo davanti a una riduzione tra il 32% e il 38% negli ultimi decenni, il tutto mentre il campo degli over 50 ha avuto un trend simile, ma di segno opposto.


Dati Ocse

Più del dato assoluto è interessante quello relativo. In sostanza, i 20enni oggi sono poco più del 10% dell’intera popolazione italiana, mentre erano il 16,3% ai primi anni ‘90.


Dati Ocse

Visto che anche quello del lavoro è un mercato a tutti gli effetti, siamo davanti a una restrizione dell’offerta, che rimarrebbe tale anche se allargassimo la platea dei potenziali lavoratori del settore della ristorazione o del turismo pure ai 30enni: anche loro in calo demografico.

Si tratta di un fenomeno presente anche altrove, si diceva. Solo che in Italia è più marcato. Solo la Spagna presenta una situazione simile alla nostra, ulteriore dimostrazione dei parallelismi tra i due Stati mediterranei. Anche qui i 20-24enni sono solo il 5%, mentre in Germania e in Francia va un po’ meglio: in questi Paesi arrivano al 5,5% e al 5,6%, e nel Regno Unito al 6,2%. In quest’ultimo Paese, anzi, all’inizio del nuovo millennio vi era stata addirittura una crescita di questa fetta della popolazione, veicolata dall’immigrazione non solo dalle aree del mondo in via di sviluppo, ma anche dal Sud e dall’Est Europa (come l’Italia). Negli Stati Uniti i numeri sono simili a quelli inglesi, e vi sono anche più 20enni che in Cina.

Confrontato con tutto il totale mondiale, le distanze sono ancora più ampie. Sulla Terra sono il 7,7% ad avere 20 anni o poco più, in alcuni Paesi emergenti come l’Indonesia si supera ancora l’8%: come in Italia 30 anni fa.


Dati Ocse

Il nostro Paese si trova dunque in una situazione molto particolare, che forse solo tra molti anni caratterizzerà anche altre economie.

Ai grandi cambiamenti dal lato dell’offerta, poi, si aggiungono quelli sul versante della domanda. Dall’inizio del secolo l’occupazione nella ristorazione è cresciuta molto più della media dei servizi, addirittura del 93,5% tra 2000 e 2019, del 30,9% se il lasso di tempo esaminato è tra il 2010 e il 2019. Il provvisorio crollo del numero dei lavoratori dovuto alla pandemia, poi, non ha comunque cambiato l’abbondante segno più.

Quasi nessun altro segmento dell’economia ha visto un incremento così grande.


Dati Eurostat

E non vi è stato neanche in altri Paesi occidentali. Più ampio che in Italia è stato solo all’Est (la Lituania, i cui numeri sono i più aggiornati, è un esempio), dove in realtà tutta l’economia ha visto ritmi da boom.

In Germania, poi, nel 2021 l’occupazione nella ristorazione per la pandemia è addirittura scesa a livelli inferiori del 17,9% a quelli di 12 anni fa.


Dati Eurostat

La ristorazione italiana, insomma, è quella che risulta essere maggiormente schiacciata dalle dinamiche opposte dell’offerta e della domanda: sempre meno giovani devono riempire sempre più posti di lavoro.

Normalmente in questa situazione quello che accade è un innalzamento dei salari, ma è realmente possibile in Italia? A caratterizzarci non è solo il declino demografico e la moltiplicazione dei ristorantini, dei pub, degli agriturismi, ma anche la scarsa produttività e il basso valore aggiunto in questi segmenti del mercato.

I dati sull’aumento del fatturato, dal 2010 in poi, sono eloquenti. Al 2019 era cresciuto solo dell’8,3%, più che negli altri servizi, è vero, ma si tratta di un incremento decisamente inferiore a quello dell’occupazione (+30,9%). Vuol dire che ogni cameriere o cuoco in più ha generato un giro d’affari inferiore a quelli già presenti. Con il Covid, poi, il crollo è stato tale da tornare a livelli molto precedenti a quelli dell’inizio del decennio scorso.

Anche in questo caso la Spagna vede dinamiche simili, mentre mediamente nella Ue o in Francia le cose, perlomeno prima della pandemia, sono andate diversamente: il fatturato è cresciuto più dell’occupazione, a dimostrazione di una capacità di rimanere profittevoli anche incrementando il personale.


Dati Eurostat

Questi numeri stanno a significare che oggi il settore della ristorazione nel nostro Paese rischia di trovarsi davanti a un vicolo cieco, a un problema senza soluzione, e che sono molto semplicistiche tutte le facili speculazioni sulla carenza di lavoratori.

I giovani non sono più pigri dei loro coetanei di 30 anni fa, sono semplicemente meno, e tra l’altro anche coloro che sono meno istruiti si trovano davanti ad altre occasioni di lavoro, per esempio nell’ambito del delivery o della logistica per l’e-commerce, spesso più stabili, pagate meglio, e non stagionali. Allo stesso tempo i ristoratori non sono tutti degli sfruttatori, ma sono alla guida di attività alle prese con una bassa produttività e l’incremento delle materie prime.

Nel futuro saranno necessarie scelte strategiche. Il trend demografico quasi sicuramente non potrà essere invertito, e allora sarà la situazione strutturale della ristorazione a dover essere affrontata. Sarà da rinforzare con investimenti, fusioni, upgrade tecnologici, aumenti dei volumi, una gestione manageriale più professionale di tante realtà oggi microscopiche.

Più facile a dirsi che a farsi, vero, ma certamente più utile che lamentarsi sui media e sui social e scatenare l’ennesimo dibattito avvelenato che non porta alcun beneficio al settore.

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