Un po’ di tempo fa, per un documentario che poi non ho fatto, ho frequentato per qualche settimana un’anziana signora famosa. Una che era stata bella. Ogni volta che uscivo da casa sua, la signora chiamava i produttori e chiedeva, immagino sinceramente stravolta: ma perché è grassa? Perché non si mette a dieta?
Per una che per tutta la vita ha fatto di tutto per essere bella, e in anni in cui non facevamo finta che la bellezza non avesse canoni, dev’essere inaccettabile che qualcuna si permetta di fottersene. E, tuttavia, la signora aveva ragione.
Non perché da magre si sia più gradevoli (lo si è, a parità di altre doti: se sei cessa, sei cessa anche da magra) o la vita sia più facile (lo è: i grassi che dicono che stanno benissimo poi muoiono a sorpresa, non si erano mai misurati la pressione e pensavano che pesare cinquanta chili o cento fosse uguale). Ma per il grande non detto, il grande rimosso, la grande menzogna che riguarda l’aspetto estetico.
Devi piacere a te stessa, dicevano una volta gli psicologi e oggi le multinazionali che vogliono venderti roba a mezzo body positivity. Ma non è vero. Il tuo aspetto riguarda gli altri, mica te. Sono loro che ti vedono, a meno che tu non viva in una casa foderata di specchi, o non passi le giornate a rimirarti nella telecamera del telefono (nel qual caso la tua psiche ha più bisogno d’essere accudita del tuo metabolismo).
Un giorno, mentr’ero sul suo divano, la signora anziana famosa ricevette una telefonata. Finito di parlare, mi spiegò che il chiamante era un brasiliano bravissimo che aveva trovato, uno che le faceva delle punturine invisibili, giacché lei odiava i ritocchi vistosi e quelle che vogliono restare giovani a tutti i costi.
Poiché non avevo uno specchio davanti, non so se la mia faccia tradisse quel che stavo pensando, quel che chiunque avrebbe pensato in quel momento. Ma sei dissociata? Ma non ti guardi mai allo specchio? Ma di quali ritocchi invisibili parli, che sei devastata dalla chirurgia plastica?
Quello che i sostenitori della mozione «piacere a sé stesse» non tengono mai presente è che chi è costretto a guardarti in faccia per un’intera giornata lavorativa ha molto più diritto ad avere opinioni sul tuo aspetto di quanto ne abbia tu.
I pareri sul nostro corpo sono inaccettabili, dicono le militanti dell’internet dopo aver ricevuto qualche commento ostile o dubbioso o denigratorio sotto a una foto di cosce. La gente non si deve permettere, non sono fatti suoi. Però allora non sono fatti neanche di tutti quelli che ti hanno scritto e ti scrivono e ti scriveranno per dirti quanto sei bella, quelli i cui commenti cuoricini e ritwitti. Se i corpi degli altri ci riguardano quando si tratta di apprezzarli, ci riguardano anche quando si tratta di disprezzarli.
C’è un tratto che non so se sia tipico della gioventù o della gioventù di questo secolo: forse ero così anch’io e sono troppo vecchia per ricordarmene. Parlo della convinzione che esista la possibilità di controllare ciò che non dipende da noi: come gli altri parlano di noi, cosa pensano di noi. C’entra la telecamera del telefono, temo: se posso fare in modo che nessuna mia foto sia mai poco donante, perché ne scatterò duecento finché non sarò soddisfatta, allora non è accettabile che io non abbia il controllo assoluto di ciò che viene detto di me.
Vi capita mai (sto parlando agli adulti, se siete ventenni non so cosa ci facciate qui) di ritrovare le vostre foto di classe, e di constatare quanto fossero brutte? È come guardare la tv in bianco e nero: le brutte foto non esistono più, sono un reperto d’altra epoca, un concetto che il pensiero contemporaneo non considera.
E quindi la foto non donante di Vanessa Incontrada non ha bisogno che il giornale ci scriva sotto qualcosa d’insultante, per essere considerata insultante: basta a sé stessa. Hai fatto una cosa che i tabloid fanno da sempre – scegliere foto mostruose – e perciò odi le donne, vuoi imporci l’anoressia, sei grassofobico. La strada della stronzaggine è lastricata di buone intenzioni, e non credo che nessuna delle indignate convinte di difendere Vanessa Incontrada dal tabloid cattivo si renda conto che, se trovi insultante una foto, stai dicendo che la persona fotografata ha un aspetto offensivo.
D’altra parte la militanza di questo secolo non ha come punto di forza il rendersi conto delle parole che usa. Parliamo di persone che utilizzano, per non dire «grassa» o altre ovvietà che ritengono offensive e inaccettabili, la definizione secondo loro inclusiva e non offensiva «corpi non conformi». Non conformi a cosa? Ai canoni estetici, direi. Com’è un corpo conforme ai canoni estetici? Direi «bello». Qual è il contrario di «bello»? Ecco.
«Inaccettabile» è un concetto molto diffuso, tra gli indignati del social convinti che il mondo debba loro attenzione e delicatezza. Mica solo per quanto riguarda i corpi. L’altro giorno nei commenti allo Spelling Bee del New York Times, un giochino enigmistico che ha un’ape nel nome e che perciò ogni giorno si apre con foto di api inviate da lettori desiderosi di partecipazione, c’era l’indignazione d’un padre: suo figlio ha la fobia delle api e ogni giorno apre il gioco che gli piace e subisce un trauma. Pensa essere il figlio di uno che t’illude che la vita mai ti traumatizzerà facendoti vedere una foto di api, che tu hai il diritto di chiedere che si eliminino le foto di api giacché tutti sono tenuti a occuparsi del tuo particulare (gli americani tutti studiosi di Guicciardini).
Mentre scrivo queste righe mi passa davanti il video d’una tizia che elenca i commenti inaccettabili ricevuti da conoscenti ai quali ha detto d’aver avuto un aborto spontaneo. Ma, benedette ragazze, delle cose sulle quali non volete sentire i pareri altrui (che, non so per voi, ma per me sono tantissime) perché vi mettete a parlare? Se non volete vedere api, perché aprite una pagina dove sapete che troverete foto di api? Se non volete sapere cosa penso del vostro stato di salute, perché introducete l’argomento nella conversazione? Se non avete la pazienza di ascoltare chi commenta il vostro aspetto, perché pubblicate vostre foto? Cosa devo commentare, sotto la foto delle vostre chiappe: la vostra lettura critica di Wittgenstein?
Certo che la signora anziana aveva ragione: provaci tu a lavorare con una di cui riesci solo a pensare «ammazza che cicciona». Certo che avevo ragione io a pensare che era ridicola, lei e le sue labbra rifatte. La differenza è che non saremmo mai state così maleducate da dirlo l’una all’altra, dal vivo o su Instagram: spettegolavamo con terzi, come si fa quando si ha un’età civile.
Voialtre, che avete pochi anni invece dei nostri cento, volete vivere in pubblico, e sapere tutto, vedere tutto, illudendovi di così poter controllare tutto. Ma il risultato non sarà che gli altri diranno di voi solo ciò che vi farà piacere, bensì che verrete a sapere anche le cose che vi dispiacciono. E questo senza avere i vantaggi di Vanessa Incontrada, che se deve sorbirsi brutte foto sui giornali è almeno in cambio d’un mestiere molto ben retribuito.