Sostegno pieno alla causa ucraina, la linea italiana non cambia. È questo il messaggio che Mario Draghi porta oggi a Kiev a Volodymir Zelensky insieme ad Emmanuel Macron e Olaf Scholz, i tre uomini forti dell’Unione europea protagonisti di una visita storica dall’enorme impatto politico e mediatico. Mentre ieri il presidente americano Joe Biden ha annunciato ulteriori aiuti militari all’Ucraina per un miliardo di dollari, adesso parla l’Europa davanti al leader della Resistenza ucraina, a casa sua, con un viaggio estremamente complesso e come si può facilmente intuire molto delicato.
Il messaggio è quello. Lo dovrà ascoltare Vladimir Putin.
D’altronde ci sono pochi dubbi che il contesto sia mutato, pochi dubbi sul fatto che il sentimento delle opinioni pubbliche occidentali non sia quello di due mesi fa e che anche tra Draghi da una parte e Macron e Scholz dall’altra vi siano letture diverse della situazione (non dimentichiamo che tre giorni fa il “pacifismo” antiamericano di Jean-Luc Mélenchon ha avuto il consenso che ha avuto) mentre l’attacco del governo di Mosca attraverso Gazprom con il taglio delle forniture di gas all’Italia e alla Germania (la Francia non ha questo problema), non casualmente recapitato da Putin a Roma e a Berlino proprio alla vigilia della missione dei “tre tenori” europei nella capitale ucraina, è tale da rendere più complicata ancora di più la situazione: è l’ultimo segno che alla guerra guerreggiata si sta accompagnando una pesante guerra economica da parte di una Russia in difficoltà, che risponde alle sanzioni facendo schizzare i prezzi del combustibile.
Il nostro Paese non teme la ritorsione russa, come ha detto il ministro Roberto Cingolani, in testa del report specifico dell’Eni. Resta il fatto che il Cremlino gioca pesante con gli alleati europei di Kiev mentre l’Italia, insieme a Francia e Germania – secondo quanto appreso da Linkiesta da autorevoli fonti di governo – «confermeranno il sostegno a Zelensky e affermeranno una posizione netta dell’Europa occidentale rispetto ai paesi baltici e alla Polonia» (questi Paesi temono qualche “concessione” alla Russia e vanno rassicurati) mentre non è chiaro cosa stia avvenendo, o non avvenendo, sul problema che più sta a cuore al presidente ucraino, cioè l’arrivo di nuovi armamenti, che, a quanto viene riferito, «stanno riprendendo ad arrivare con flussi che hanno diverse curve a secondo delle situazioni nazionali».
L’Italia non nutre dubbi sul fatto che si continui a sostenere Zelensky, anche se quest’ultimo implora maggiore impegno in una fase delicatissima e drammatica nel Donbass. L’impressione di chi vi sta lavorando in prima fila è che il conflitto potrebbe trascinarsi per tutta l’estate, con quali conseguenze è impossibile a dirsi, a parte la certezza di ulteriori massacri.
Ma si è come entrati in una fase diversa. Ieri le diplomazie di Italia, Francia e Germania hanno avuto da fare per concordare un messaggio comune, che dovrebbe anche passare per l’annuncio all’Ucraina dello status di candidato all’Unione Europea, un segnale forte di vicinanza alla causa del Paese aggredito e stuprato dall’Armata Russa. Altro capitolo decisivo è il dossier del grano, che, secondo alcuni auspici, potrebbe fare qualche passo avanti grazie all’ingresso in campo della Romania presente a Kiev con il presidente rumeno Klaus Iohannis. L’idea di allargare il formato a tre a un Paese dell’Est è stata dell’inquilino dell’Eliseo, ma chissà che non possa essere il primo passo verso un’intesa sul grano che invece di puntare ai porti sfrutti la fitta rete di canali del Delta del Danubio.
Mario Draghi non ha dunque intenzione di cambiare linea, e lo dirà in Parlamento martedì 21 davanti ai parlamentari di Giuseppe Conte e Matteo Salvini, che sulla questione del sostegno a Kiev avevano minacciato sfracelli, alimentando addirittura una spaccatura della maggioranza, all’insegna del profondo pensiero di Conte secondo il quale «di armi ne abbiamo date abbastanza». In quanto a Salvini, la fantomatica missione a Mosca finita in burletta dovrebbe aver definitivamente seppellito la sua baldanza sulla questione. Poi infine domenica scorsa ci hanno pensato gli elettori ad ammaccare i due statisti gialloverdi che martedì, a parte la propaganda buona per i trenta secondi al Tg, se ne staranno buoni buoni. Almeno per ora.