Il governo ucraino, nelle prime settimane dell’aggressione russa su larga scala, ha deciso di non far conoscere il numero dei soldati ucraini morti in battaglia. I militari l’hanno considerata una mossa corretta per tanti ragioni. Una di queste è mantenere uno spirito alto di resistenza. Come dargli torto? Adesso però arrivano alcuni numeri dai report degli esperti internazionali militari, dalle dichiarazioni del presidente ucraino e di conseguenza dai titoli dei giornali. Sembra che la morte cammini da qualche parte in periferia e poi all’improvviso salta fuori spietata da dietro l’angolo e annuncia il suo bottino.
Per ovvie ragioni, la morte dei soldati ucraini viene annunciata alcuni giorni dopo. La morte trova il suo tardivo lutto, preceduto dal silenzio di un «il numero che sta chiamando non è al momento raggiungibile». Si spera nella cattiva connessione, si spera nella situazione difficile, si aspetta un post su Facebook. Ormai viviamo nel continuo «se posta allora è vivo», si spera. E invece insieme con i post assenti muore anche la speranza.
La morte dei soldati ucraini, spietata e ingiusta, ha le facce concrete, le facce che conosciamo, le facce che dovevano vivere e avere una vita normale, una famiglia, dei figli, il lavoro che piaceva, un cane o forse due, un neo sul labbro superiore, il libro e la squadra di calcio preferiti.
Anche Roman Ratushny aveva il suo libro preferito. È stato ucciso il 9 giugno 2022 nella località di Izium, una morte annunciata il 14 giugno. Il 5 luglio avrebbe compiuto 25 anni. Roman Ratushny, arruolato volontario nell’esercito a febbraio subito dopo l’invasione, era un giovane attivista della Rivoluzione 2013-2014, un attivista contro l’edilizia abusiva nella sua città di Kiev, il figlio della scrittrice ucraina Svitlana Povaljajeva, che il giorno dopo aver saputo della morte del figlio ha eseguito il suo testamento. Perché Roman ne aveva già uno. Tutti i suoi risparmi, 100 mila grivne, li ha devoluti al sito che si occupa di ricerca storica “Istorychna Pravda” (La verità storica).
Al fronte ucraino c’è davvero la meglio gioventù: i giornalisti, gli scrittori, gli attivisti, i civili arruolati volontari a febbraio, i militari. Sono la nostra meglio gioventù che abbiamo già perso e continuiamo a perdere per colpa delle manie di un invasore, per colpa dei ritardi nella consegna delle armi, per colpa dell’aver per anni accontentato un dittatore sanguinario, per colpa di non aver mai voluto accorgersi di che cosa stava davvero succedendo perché abbiamo aperto le orecchie alla propaganda russa, abbiamo continuato ad accettare ben volentieri i contanti russi così tanto rimpianti dagli albergatori italiani e dai proprietari delle fashion boutique francesi.
Tutte cose che perdono qualsiasi senso davanti alla tragedia assurda che si svolge alle porte di Europa. Forse ancora adesso possono rappresentare un valore per qualcuno, ma chi si arruola volontario al fronte per difendere la sua terra, il suo presente e il suo futuro, e per questo fa testamento a favore della ricerca storica, evidentemente ha in testa altri valori.
I valori che forse ci siamo persi nella vita quotidiana dietro chissà quale corsa verso chissà quali obiettivi. Tutto diventa minuscolo, insipido e sbilenco davanti alla morte del giovane ventiquattrenne che conosceva tutto il paese e che aveva il solo obiettivo di vivere tranquillo nella sua città.
I funerali di Roman Ratushny si sono svolti a Kiev il 16 giugno, nel giorno della visita di Draghi, Macron e Scholz nella capitale ucraina.