Lagnosi di tutto il mondo, sdoganatevi!La suscettibilità di Brunetta, il corpo di Calenda e il vittimismo social militante

Va ancora di moda sentirsi discriminati per qualsiasi cosa, ma arriverà il momento in cui cresceremo e smetteremo di pensare che i peli delle nostre ascelle, la nostra altezza o la forma fisica siano il centro del mondo

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«Calenda assomiglia troppo ai pinguini del Madagascar. Sarà bodyshaming? Io non voglio fare bodyshaming a Calenda, però cazzo, è veramente uguale». Federica Cacciola è un’autrice comica, ieri su Instagram ha pubblicato un video sui dilemmi dell’elettrice di sinistra che non sa chi votare. Chissà se l’ha registrato prima o dopo la visione di Mezz’ora in più.

Domenica, al programma di Lucia Annunziata su Rai3 (le crisi di governo sono ottime per aggiungere puntate ai contratti dei talk-show), era ospite Renato Brunetta. Che, come tutti gli ambiziosi di questo tempo sbandato, mica vuol essere Giulio Andreotti: vuol essere Giorgia Soleri.

Giorgia Soleri è una ragazza senza particolari qualità che si è ritrovata protagonista delle homepage dei giornali italiani grazie a un combinato disposto che andrebbe studiato nelle facoltà di comunicazione.

Approfittando della visibilità che aveva come apparente fidanzata d’un cantante per adolescenti (Damiano dei Måneskin), Soleri: ha pubblicato un libro di poesie (vuoi negare il ruolo di nuova Patrizia Cavalli a una che non sa come sia strutturato un sonetto ma ha 660mila follower? Gli editori devono pur campare, e Soleri le poesie te le fa andare in classifica); è diventata testimonial su Instagram di capi d’acrilico di varie marche; si è posizionata come vittima multidisciplinare, che viene discriminata (non si sa da chi) perché non si depila le ascelle, e con cui un reparto ospedaliero fu cafone quando abortì (per le altre patologie si sa che negli ospedali son tutti amabilissimi), e che infine ha inventato l’endometriosi.

Prima di lei non era mai stata diagnosticata a nessuno, prima di lei il mondo ignorava che fosse una patologia da bestemmie plurime, prima di lei il Parlamento non se ne occupava. È tutto un complesso di occhi di bue, intesi come riflettori da cui ognuna vuol essere illuminata. La starlette che si posiziona come testimonial dell’endometriosi, la deputata che la riceve in Parlamento come se davvero fino a quel momento lo Stato avesse ignorato quella patologia (che era persino nella lista di fragilità con le quali vaccinarsi in anticipo), i giornali che sanno che i titoli che sanno di lagna saranno i più cliccati e che quel che le ventenni d’oggi vogliono sentirsi dire non è «siete fortunate, ai miei tempi se avevi l’endometriosi la diagnosi era “quante storie”», bensì «siete le più sfortunate le più vittime le più vessate della storia dell’umanità».

Ho un’amica che ogni mattina mi manda una foto di qualche sito di giornale italiano per il quale ancora una volta Soleri è una notizia. L’altroieri era «ho tentato il suicidio», e abbiamo convenuto fosse insuperabile: d’ora in poi come avrebbe fatto a diventare titolo? Siamo state ottimiste, ieri era già di nuovo titolo con un più innocuo «perché non mi depilo». Un’ascella, un suicidio: tutto fa brodo di clic.

E quindi, in un mondo in cui solo il vittimismo genera facile consenso, Brunetta domenica va dalla Annunziata – la quale, come tutti quelli che non vogliono essere Giorgia Soleri, vuol essere Barbara D’Urso – e spiega a lei e a noi tutti quanto lo faccia soffrire che Marta Fascina gli abbia dato del tappo. Non: ammazza che ficcante dialettica ha la Fascina, si vede che Hegel l’ha studiato al Bagaglino. Non: rompete tanto i coglioni con la Zan e poi quando uno è avversario politico vale tutto. No.

Renato Brunetta, 72 anni, decide di metter su l’occhio lucido e, mentre Lucia D’Urso Annunziata lo esorta a togliersi questo peso dal cuore, confessa quanto lo feriscano i commenti sulla sua altezza, ma ora ha deciso di appropriarsene (lui dice «sdoganare», perché ormai non ce n’è uno che non parli in frasifattese) e di darsi del tappo da solo, e quindi grazie Marta, che mi hai fatto venir voglia di darmi del tappo prima che me lo diano gli altri, che magnifica storia di empowerment (Brunetta non dice «empowerment», perché c’è un limite anche al frasifattese).

L’altro giorno il portiere isterico d’un condominio nel cui cortile m’ero fermata a rispondere al telefono, mentre gli dicevo che me ne stavo già andando senza che me lo dicesse e di non farsi venire crisi isteriche che fanno male alla salute, ha fatto un gesto che percorreva le mie frolle carni e ha detto una cosa tipo: muore prima lei, visto com’è ridotta. Se avessi avuto ventisei anni, l’età della Soleri, questo commento mi avrebbe ferita, invece di farmi pensare «eh, lo dice sempre anche il cardiologo»?

Forse sì, ma ci dev’essere pure un’età in cui diventi adulto e pensi che se qualcuno è dialetticamente così scarso da doverti dire «brutta cicciona» il problema è suo e non tuo, e invece di offenderti ti vien voglia di dargli un buffetto. Ci dev’essere un’età in cui ti fa ridere l’idea di somigliare più a un pinguino del Madagascar che ad Alain Delon periodo Gattopardo. Ci dev’essere un momento in cui cresciamo e smettiamo di pensare che i peli delle nostre ascelle siano il centro del mondo.

Se il video la Cacciola l’avesse fatto l’altroieri, avrei pensato: ah, vedi, venire presi per il culo per il proprio aspetto è diventato privilegio dei maschi, di una donna non direbbe mai che ha il culone, altrimenti la seppellirebbero di «solo alle donne, puntesclamativo». Poi è arrivato Brunetta, e ora è solo questione di tempo. Entro la fine della campagna elettorale, Renzi frignerà perché qualche vignettista l’ha ritratto coi nei, Calenda farà un comizio al bioparco e con l’occhio lucido confermerà la sua stima ai pinguini usati per irriderlo, e Gasparri chiederà una bandierina del pride che rappresenti l’identitarismo strabico. Invece di far passare la suscettibilità alle femmine, l’abbiamo contagiata ai maschi. Brunetta direbbe: l’abbiamo sdoganata.

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