La fine dei «nincompoops»?Le conseguenze positive dell’autogol di Conte (Partito democratico permettendo)

Oltre ai moltissimi effetti negativi delle dimissioni di Draghi, c’è anche la concreta possibilità che i Cinquestelle scompaiano. A patto che Letta e compagnia abbiano finalmente imparato la lezione e si liberino dei grillini, favorendo la costruzione di un polo liberal-democratico, europeo e atlantico, con un’agenda di governo contro il bipopulismo

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Oltre alle innumerevoli conseguenze negative delle dimissioni di Mario Draghi, ci sono anche due effetti straordinariamente positivi della crisi politica causata da Giuseppe Conte.

Il primo effetto positivo è la fine politica dei Cinquestelle. Il secondo non me lo ricordo e in fondo chi se ne frega del secondo effetto positivo di fronte alla prospettiva radiosa della cancellazione dei Cinquestelle dalla scena italiana ed europea (sulla scena russa e bielorussa, però, i babbeiacinquestelle resistono ancora). 

Giulebbe, giulebbe, quindi. 

Come ha certificato il New York Times, Linkiesta è l’unico giornale italiano che da anni scrive quotidianamente che i Cinquestelle sono un partito eversivo e la peggiore catastrofe politica capitata all’Italia dai tempi degli anni di piombo, con la differenza che il terrorismo non è mai andato al potere mentre Conte, Di Maio, Toninelli, Raggi e Fofò dj sì. L’altra differenza è che il principale partito di sinistra negli anni Settanta e Ottanta è stato un fermo e invalicabile argine istituzionale alla lotta armata, mentre adesso si è arreso, è capitolato, si è consegnato all’avvocaticchio del populismo e si è addirittura reso complice della mutilazione del Parlamento orchestrata dai sostenitori del superamento della democrazia rappresentativa. 

È stata una scelta scriteriata quella di Giuseppe Conte, o di Rocco Casalino, o di Marco Travaglio, in ogni caso di questo trust di cervelli che può contare anche sulle capacità analitiche della scaricatrice di porto Paola Taverna, ci scusino gli scaricatori di porto, sul buon governo di Virginia Raggi, e sull’esperienza di quella masnada di scappati di casa («nincompoops», parola meravigliosa adoperata dal New York Times per sottolineare in modo elegante quanto siano incommensurabilmente scemi più scemi) che meriterebbero una sit-com tutta per loro se non fossero, invece, i protagonisti di una tragedia. 

Fare la mossa anti Draghi è stata una scelta autolesionista per gli stessi autosabotatori a Cinquestelle perché era stata escogitata dalle menti raffinatissime di cui sopra per prendere le distanze dal governo, tenendolo però in piedi, riservandosi la facoltà di fare opposizione populista da dentro la stanza dei bottoni che Draghi gli ha disattivato fin dal primo giorno. 

Noi che sappiamo benissimo chi sono i Cinquestelle, sia quelli in versione sovranista sia quelli a vocazione comicamente progressista, siamo anche consapevoli che la scelta più grave è stata quella del Partito democratico che per anni ha alimentato la farsa dell’alleanza strategica con i grillini, più in funzione anti Renzi e anti Calenda che per altro, trovandosi adesso senza governo e senza alleato strategico, ma soprattutto senza aver facilitato la nascita di un polo liberal-democratico della coalizione, anzi facendo di tutto per non farlo emergere, e senza aver costruito il partito dell’agenda Draghi, dell’Europa e dell’Occidente. E, più semplicemente, senza aver lavorato seriamente per ripristinare la legge elettorale proporzionale. 

Il Partito democratico fino a un anno e mezzo fa aveva un nome solo per il governo del combiamento, e quel nome era Conte e non Draghi, ora probabilmente si è reso conto del drammatico errore di valutazione di questi anni e tranne qualche patologico caso di fissazione peggiore della malattia – Boccia, Provenzano, Orlando – alle prossime elezioni di ottobre o marzo difficilmente potrà presentarsi in alleanza strategica, o in un campo largo, con i sabotatori dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, con quelli che hanno regalato l’unica buona notizia degli ultimi quattro mesi al criminale di guerra del Cremlino con il quale fino all’altro ieri hanno intrattenuto stretti rapporti politici e ideali al pari di Matteo Salvini. 

Il Pd adesso non potrà coalizzarsi con Conte e Conte da solo non andrà da nessuna parte, al massimo potrà fare un raggruppamento di reduci anticapitalisti e mozzorecchi con cocomeri, cariatidi dalemiane e neo, ex post comunisti di Maurizio Landini. Con i populisti di sinistra.

Matteo Renzi, dopo Carlo Calenda, ha detto senza mezzi termini che Italia Viva e gli ideatori del governo Draghi non andranno alle elezioni in una coalizione dove ci sono anche i nincompoops di Conte.

Il polo liberal democratico, socialista e liberale, alternativo al bipopulismo e sostenitore dell’agenda Draghi adesso è inevitabile. Andrà al voto da solo oppure insieme con un Partito democratico svegliatosi dall’infatuazione contiana.

Gli avversari partiranno comunque avvantaggiati, ma il Pd adesso ha la grande occasione di scegliere se continuare a inseguire i populisti con Conte oppure costruire un futuro europeo e atlantico per l’Italia con Draghi.

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