StappoLe nuove terre dello spumante

Viaggio nei distretti delle bollicine alla scoperta di una inedita geografia enoica che include anche zone storicamente dedicate all’export dei vini da taglio

La sapienza e l’audacia di alcuni produttori, che non si rassegnano a un ruolo marginale nel panorama vitivinicolo italiano, stanno riscrivendo la mappa dei distretti spumantistici italiani. Vi raccontiamo i progetti e i calici più interessanti.

La Franciacorta del Sud
Nel 1973 la cantina D’Alfonso Del Sordo di San Severo fece un esperimento: spumantizzare il bombino bianco con li metodo Charmat. Fu la prima bollicina nata, quasi per gioco, su un territorio vocato al commercio del vino da taglio. In quella bottiglia era scritto un importante destino. Infatti, la vivacità di questa produzione è stata il rompighiaccio che ha aperto la strada alla spumantistica in tutta la Puglia.

A sdoganare il metodo classico in tutta la zona ci hanno pensato tre amici – Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore – che nel 1979 hanno creato la casa spumantistica d’Araprì. Accanto a loro, a portare la cantina nel nuovo secolo, ci sono i tre figli dei fondatori che, con le loro 120mila bottiglie annue, incoraggiano una sinergia anche con le altre realtà del territorio.

Oggi i marchi che contemplano nella propria cantina spumanti metodo classico si sono moltiplicati, tanto da far parlare di Franciacorta del Sud. Le attività si snodano anche nelle cantine sotterranee di San Severo, dove opera anche Pisan-Battel.

Nata dalla sinergia tra Antonio Pisante e Leonardo Battello, il marchio parte da vigne allevate a guyot e cordone speronato (al contrario del diffusissimo tendone), realizzando spumanti rosè anche da Nero di Troia, oltre che da Bombino Bianco. Queste tre storie sono solo le più evidenti di un territorio composto da 540 cantine censite e una produzione di 200mila bottiglie annue di solo metodo classico.

Un potenziale enorme che, secondo Pisante, soggetto altamente attivo sul fronte dell’aggregazione per la creazione di un distretto spumantistico, potrebbe arrivare fino a un milione di unità. Le coordinate da seguire? L’eccellenza, unendo anche le tante cantine della provincia foggiana che si sono affacciate a questo mercato. L’aiuto potrebbe venire da uno strumento che qui fatica ad attecchire: la cooperativa.

Alta Langa: il progetto Monsignore
Nonostante l’Alta Langa sia una denominazione presente sul mercato da circa vent’anni, Roberta Ceretto e Giuseppe Blengini hanno trovato il modo di innovare ancora una volta il territorio. La zona si estende nelle province di Cuneo, Asti ed Alessandria dalle Langhe più conosciute di Barbaresco e Barolo, arrivando fino a Vicoforte di Mondovì, fino a qualche anno fa conosciuto soprattutto per uno straordinario santuario.

All’epoca non c’era alcuna velleità spumantistica all’orizzonte. «Sul territorio però alcuni appassionati avevano iniziato a vinificare Dolcetto poi incluso nella vicina Docg Dogliani e così dal 1994 ha fatto mio suocero Pierfranco. Ora noi concentriamo l’attenzione sullo spumante, ma teniamo per questioni affettive ancora una microscopica produzione di Dolcetto penchè, in tempi antichi, questa era terra di produzione del moscato».

Grazie a una magica casa di famiglia e alla voglia di salvare la tradizione agricola del luogo, è nato un progetto di reimpianto di Dolcetto, oggi diventato Dogliani. Obiettivo: conservare una storia agricola del passato. Sfruttando i 600 metri sul livello del mare e recuperando la storia di questa casa, a Vicoforte, costruita dal vescovo Michele Casati, è nato il progetto Alta Langa Monsignore. Era il 2010. Poi, come succede con le belle avventure, scappa la mano e ne è nato un metodo classico che, entrati in produzione i primi ettari e dopo 4 anni di affinamento, oggi è sul mercato in 2.000 bottiglie con l’annata 2017.

Già dall’annata 2020, se ne prevedono 20mila. All’interno, come da disciplinare, si dividono il palco Pinot Nero e Chardonnay. «Negli ultimi anni la Langa si è allargata – racconta a Gastronomika Roberta Ceretto – La stessa Atl di Alba si spinge fino all’alessandrino. Mai nessuno aveva mai pensato di fare qualcosa del genere in quest’area. Qui mi confronto con un territorio e un prodotto dove è tutto da scrivere. Abbiamo lavorato con attenzione, coinvolgendo la mia famiglia per la distribuzione. Giampiero Romana, agronomo di Roddi, attesta che quelle colline sono vocate a produrre grandi spumanti. Beppe Caviola, noto wine maker, ci segue nella vinificazione. Abbiamo affidato l’etichetta all’artista Francesco Clemente, che ha creato un omaggio a racconti omerici».
Come Omero, anche Roberta e Giuseppe hanno saputo volgere lo sguardo al passato e poi al futuro.

Valorizzare i vitigni con lo spumante
Il percorso di Sella & Mosca, cantina vitivinicola della Sardegna, nel mondo delle bollicine non nasce in questi ultimi tempi “spuman-modaioli”, ma affonda le radici negli anni ‘70, quando già ci si era accorti della naturale inclinazione del vitigno verso la tipologia. Dopo l’esordio con bottiglie metodo Charmat, da qualche anno che sono state presentate anche le prime declinazioni di metodo Classico. Nel 2020 aveva fatto notizia il suo Torbato Spumante Brut 2017 Alghero Doc. L’anno dopo è stata la volta del Torbato Brut Rosé, bottiglia che ha incontrato il trend dello scorso anno: il rosato a tutti i costi. Sfruttando uno dei vitigni più identitari della cantina, il Torbato, il progetto spumantistico va a valorizzare la vitis iberica arrivata sull’isola durante la dominazione catalana. Oggi prospera sui terreni ricchi di calcare e sedimentazioni marine, che danno struttura, ma anche un’ampia spalla acida, necessaria per una spumantizzazione di alto livello.

La cantina sottomarina di Ischia
Mentre il mondo vitivinicolo è alla ricerca di luoghi sempre più spettacolari in cui affinare le proprie bollicine, un nuovo tassello della mappa spumantistica italiana lo si trova a Ischia. Qui Cantina Tommasone ha sviluppato un metodo classico dai vitigni Biancolella e Forastera, ora in affinamento in mare.

Sul fondale ci sono 530 bottiglie di spumante e 12 anfore di terracotta con vino bianco, posizionate a 37 metri di profondità, a circa un chilometro dalla costa. «L’idea è nata nel 2014 – racconta Lucia Monti – e, con l’annata 2015, abbiamo iniziato a produrre metodo Classico.

L’annata in uscita è il 2018 con 36 mesi sui lieviti e si tratta di un dosaggio zero. Lo spumante ora in fondo al mare nasce dall’annata 2020, disponibile a partire dal 2024». Grazie alla contropressione, si punta a dare allo spumante un perlage più consistente e intenso. Posizionate in gabbie metalliche, tra due anni sarà possibile scoprire gli effetti delle fumarole e delle piccole sorgenti vulcaniche sottomarine su anfore e bottiglie.

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