Il nostro tour tra le padelle roventi d’Italia si conclude con un leggero sapore di mare. La prima e la seconda puntata del servizio, dedicate alle specialità del Nord e del centro Italia, qui e qui.
Campania
Dalle montanarine (pizzette fritte con pomodoro e formaggio grattugiato o con burrata e alici) alla mozzarella in carrozza, dagli sciurilli (i fiori di zucca ripieni pastellati e fritti) agli scagliozzi (o scagliuozzoli) a base di polenta e salvia, fino alle zeppoline di pasta cresciuta, alle palle di riso e alle frittatine di pasta: la cucina partenopea si caratterizza per una netta predilezione per i fritti, che in versione street food trovano accoglienza nel tipico cuoppo, un cono di carta paglia che ne accoglie un mix di terra o di mare.
Tra tutti spiccano i crocchè (o panzarotti, come li chiamano a Napoli), polpette fritte a base di patate e uova, che sono diventate una vera e propria istituzione regionale, ma le cui origini restano incerte.
Secondo alcuni sarebbero eredi delle croquettes francesi apprezzate nel XVIII secolo alla corte di re Luigi XVI, secondo altri deriverebbero dalla rivisitazione in chiave umile della ricetta delle croquetas de jambon spagnole.
Qualunque sia la verità, vale la pena provarli, acquistandoli nelle friggitorie che affollano il centro storico di Napoli. Probabilmente non ci sarà un “panzerottaro” a incalzarci «Fa marenna, fa marenna! Te ne magne ciento dint’ ‘a nu sciuscio ‘e viento» («Fai merenda, fai merenda! Te ne mangi cento in un soffio di vento»), ma la tipicità dell’esperienza (e del gusto) è comunque garantita.
Puglia
Oltre al panzerotto (o calzone), classico o rivisitato, e al fritto misto di paranza, se ci si spinge fino al tacco dello stivale vale la pena scoprire qualche altra chicca croccante e dorata.
Una nota di merito va alle cozze nere fritte, non tanto per la ricetta in sé (non c’è nulla di esotico in semplici mitili tuffati in pastella e poi nell’olio bollente) ma per la qualità della materia prima: la cozza nera tarantina è una prelibatezza che trova ampio spazio nella gastronomia pugliese fin dal Cinquecento e che proprio di recente è (dal 28 aprile 2022) è diventata Presidio Slow Food.
Altra delizia Pat sono i lampascioni (i parenti meridionali e selvatici delle cipolle), che oltre a essere bolliti e conservati sott’olio o sottaceto, vengono anche fritti e serviti croccanti, cosparsi con un pizzico di sale, con il vincotto o con qualche goccia di aceto balsamico. Infine ci sono le auui’ sfritt, le olive nere fritte, della varietà dolce Nolca, le prime a maturare a settembre, che si caratterizzano per il colore scuro e il gusto amarognolo, che si corregge con l’aggiunta di sale durante la preparazione. Una volta fritte sprigionano un profumo irresistibile e acquistano un sapore unico, che le rende ideali da farcire la tradizionale puccia salentina.
Basilicata
Tra i prodotti tipici simbolo della Basilicata ci sono i Peperoni di Senise, che crescono in in provincia di Potenza e che dal 1996 sono riconosciuti come prodotto ortofrutticolo a Indicazione geografica protetta (Igp). Diventano źafaranë crušchë (o peperoni cruschi) quando, dopo l’essiccatura, vengono fritti in olio extravergine di oliva e conditi con il sale.
Definiti anche “oro rosso” lucano, si usano interi come chips da sgranocchiare al posto delle patatine, oppure sbriciolati o polverizzati (zafaran pisat) come condimento tradizionale per la pasta, il baccalà, le carni rosse, ma anche come aromatizzante per salse, formaggi e verdure fresche, come fave e insalate. L’usanza vorrebbe che l’olio di frittura dei si usasse per preparare lo stoccafisso o le uova fritte all’occhio di bue o strapazzate.
Per un fritto in declinazione dolce ci sono invece i cauzunziedd’ (calzoncelli di castagne), il simbolo della tradizione lucana legata tradizione natalizia: fagottini di pasta fritta che racchiudono un ripieno morbido a base di castagne (o ceci), arricchito con cioccolato e un mix di spezie, tra cui la cannella e i chiodi di garofano.
Calabria
L’unica preparazione calabrese denominata “fritta” è la pitta, che pure fritta non è ma ricorda piuttosto la “pita” greca e assomiglia a una sorta di piadina.
Per trovare un fritto vero bisogna puntare sulle crispedde (crespelle) o cullurialli (nome condiviso da tutte le preparazioni a forma di curulla, “corona”), che secondo la tradizione si preparano l’1, l’8 e il 24 dicembre, le ricorrenze più importanti del mese dedicato a Gesù, ma ormai sono un evergreen per tutto l’anno. In alcune zone si preparano gli squaratielli (detti anche, scoratelli o scoratedd’, cullurialli ritti a ventu, o a bentu), piccole ciambelle lievitate a base di farina e patate, impastate con acqua bollente che “squara” (“scotta”), a cui si deve il nome della ricetta.
Tra i fritti in versione salata sono famose le classiche crispeddi chi lici (crespelle con alici o quelle con pomodori secchi, ricotta, baccalà), mentre virando sul dolce ci si imbatte nei crustuli (o guanti, la versione calabra delle chiacchiere), ma anche nelle pettole (o zeppole), che una volta fritte vengono servite cosparse di zucchero ed eventualmente cannella), oppure miele o mosto cotto.
Tra i dolci più antichi ci sono gli alaci tipici del territorio di Gioiosa Ionica ed eredi dei taralli magnogreci (“lalakia”) e le nacatole che si preparano soprattutto nell’area della Locride, e devono il loro nome alla forma tipica della naca (“culla”), che rievoca la nascita di Cristo, ma possono essere anche realizzate in forme diverse, soprattutto se preparate al di fuori del periodo natalizio.
Sicilia
In Sicilia si frigge tutto… persino il latte! La ricetta del latte fritto è una delle preparazioni popolari più antiche della Regione, probabilmente portata dai dominatori spagnoli e tramandata dalle suore Clarisse nel Seicento.
Nel periodo di Carnevale per tradizione si fa dolce, ma esiste anche in versione salata a base di formaggio. In ogni caso resta una ricetta povera, che assomiglia al latte brusco genovese, alla crema fritta salata emiliana e ai fritti di latte abruzzesi, ma si distingue per l’originaria assenza di uova e per il delicato aroma di agrumi che caratterizza l’impasto, una crema di latte densa che viene raffreddata, lasciata rassodare dalle 3 alle 12 ore, quindi tagliata a cubetti, impanata e fritta.
Altra tipicità (Pat) sono le iris palermitane, dolci ideati nel 1901 dal pasticcere palermitano Antonio Lo Verso in onore della prima messa in scena dell’opera “Iris” di Pietro Mascagni al Teatro Massimo.
In origine la ricetta prevedeva l’uso di rosette rafferme private della crosta e di parte della mollica, oggi invece sono ritagli di pasta brioche impanata e fritta, con un cuore classico di crema di ricotta e scaglie di cioccolato, cui nel tempo si sono aggiunte altre versioni, farcite con diversi tipi di creme. A Palermo sono le iris sono considerate tra i cibi di strada più apprezzati, da gustare a tutte le ore… rigorosamente caldi.
Sardegna
La Sardegna offre tipicità davvero particolari, come gli orziadas (otziadas o capelli di Venere), ovvero gli anemoni di mare, che soprattutto nelle zone di Oristano e Cagliari si trasformano in un aperitivo finger food ideale per chi ama sperimentare, ma anche in un secondo piatto o in un’aggiunta per i classici spaghetti con la bottarga.
Anche i tradizionali culurgiones (o culurgionis, ma anche culungioneddos de arrescottu, cruxioneddus de mindua, culurgiones de mendula a seconda della zona), ravioli a forma di spiga ripieni di patate e menta, possono essere fritti in olio bollente anziché cotti, e serviti come finger food per l’aperitivo. Esistono anche in versione dolce, con ripieno di ricotta, oppure mandorle o crema alla vaniglia, che si servono cosparsi di zucchero a velo o di miele e scorza di arancia grattugiata.
Meno noti ma altrettanto tipici sono i dolci sardi legati al Carnevale, ma anche alle occasioni speciali, come le feste di paese o le cerimonie: i frati fritti (fatti fritti o parafrittus), soffici ciambelline lievitate, fritte e poi passate nello zucchero semolato, e gli acciuleddi, ovvero dolcetti che assumono nomi diversi a seconda della forma (a treccia, a ruota, a corona, a mazzetto o a fisarmonica) o delle zone d’origine (tricciulini , origliettas, rugliettas, orilletas, lorigliettas, orullettas, ritzas, montogadas), ma che hanno in comune lo stesso impasto e il condimento a base di miele oppure di zucchero a velo.
Insomma, il panorama delle padelle del Bel Paese è ricco e variegato. Scoprirlo significa ritrovare sapori, profumi e consistenze che, ovunque ci si trovi, fanno subito “casa”, ma per chi ama sperimentare e uscire dai percorsi più battuti (anche dal punto di vista culinario) c’è di che restare sorpresi, e tornare a casa arricchiti… magari con qualche etto in più.