Ogni regione italiana ha le proprie tipicità, e per chi non si accontenta dei “classici” più rassicuranti ci sono molte chicche da scoprire nelle padelle di tutte le regioni. Partiamo da Nord per il nostro viaggio a puntate tra le padelle d’Italia
Valle d’Aosta
Ai piedi del Gran San Bernardo l’influenza culturale d’oltralpe si fa sentire sia nei nomi dei piatti sia nella loro preparazione: a parte la rinomata cotoletta alla valdostana (la versione nobile del cordon bleu), la tradizione del fritto valdostano punta soprattutto sui dolci, con le celebri frittelle di mele, i chüjini, i chiechene (o rissili, simili alle chiacchiere di Carnevale), gli hòckiené (gonfiotti fritti), i pòmpernòsslené (rettangoli di pasta sottile aromatizzata con grappa e fritti) e le frittelle dolci di Gressoney (un dolce “di riciclo” a base di pane raffermo, latte e uova, con cui si prepara una crema da friggere un cucchiaio dopo l’altro in olio di arachide (volendo anche burro o strutto) e servire spolverizzata con zucchero e cannella.
Infine ci sono i semolini fritti (o fritura dossa) tipici di Issime, piccolo comune walser ai piedi del Monte Rosa, che si preparano a partire da una polenta dolce fatta con latte, acqua, zucchero e scorza di limone, raffreddata in teglia con uno spessore di 3-4 cm, tagliata a rombi, impanata con uovo e pangrattato e, ovviamente fritta!
Piemonte
Del maiale non si butta via niente, e nemmeno del vitello. Anzi, con la cucina tradizionale antispreco si entra nel mistico mondo del “quinto quarto”, che in Piemonte viene nobilitato innanzitutto nel classico fritto misto ma anche nel batsoà tipico della tradizione canavesana.
Protagonista di questo piatto è il piedino (di vitello o maiale, appunto), disossato-impanato-fritto nel burro e servito con il bagnet verd, una “salsa verde” in stile regionale a base di prezzemolo, aglio, acciughe, mollica, olio, aceto, sale, pepe e talvolta anche tuorlo d’uovo e capperi.
Da segnalare anche il semolino dolce fritto, un dolce tipico del Carnevale, ma ideale tutto l’anno come colazione, merenda o dessert di fine pasto, gustato ancora caldo, spolverizzato con lo zucchero a velo e accompagnato (in versione adulta) con un vino liquoroso tipo passito oppure (in versione bambino) con del semplice latte.
Liguria
Un solo nome, mille varianti: si tratta dei frisceau (con la “o” stretta), frittelline che si possono fare con qualsiasi ingrediente, dal baccalà ai porri, dalle bietole fino ai preziosissimi (e costosissimi) “gianchetti” o “bianchetti”, ovvero la versione neonata di sardine (in inverno) o acciughe (da maggio a settembre).
Quelli classici genovesi si preparano solo con le erbe aromatiche (in particolare con l’erba cipollina) e, sostituendo la farina 00 con quella di ceci, diventano cuculli, ma la sostanza resta la stessa.
Per chi invece vuole provare lo street food ligure per eccellenza (focaccia a parte) c’è la panissa, preparata con un impasto a base di acqua, farina di ceci, sale e pepe, fatto compattare, tagliato a cubetti e fritto in olio di semi, a cubetti. L’ideale è mangiarli caldi, accompagnati da un bel calice di Vermentino freddo (possibilmente evitando la congestione!).
Lombardia
Tra “necessità storica” e campanilismo nordico, a Milano si frigge nel burro (chiarificato). Ma il capoluogo lombardo non è solo cotoletta (o costoletta): dalla padella delle sciure più affezionate alla tradizione emergono anche i tipici mondeghili, polpette contadine ereditate dalla dominazione spagnola del 1535-1706 e preparate con carne di manzo lessata, salsiccia, mortadella di fegato cotta, formaggio Grana, pane raffermo bagnato nel latte, prezzemolo, uova, aglio, sale e pepe.
Più a nord, specificamente in Valtellina e dintorni, si preparano gli sciatt, frittelle dalla forma insolita (il nome, in dialetto, significa “rospo”) realizzate con una pastella di farina di grano saraceno e bianca, grappa/acquavite e birra, e ripiene di formaggio Casera DOP, lo stesso utilizzato per condire i pizzoccheri.
Trentino-Alto Adige
Solo tre ingredienti e una Confraternita (fondata a Sporminore nel 1998) a proteggerne la ricetta originale: il fritto più tipico della tradizione contadina in Trentino-Alto Adige (e in particolare nelle valli di Non e Sole) è il tortel de patate, che si prepara con un impasto di patate crude grattugiate tipo Kennebec, sale e olio per friggere (o strutto) e si accompagna generalmente a formaggi, salumi, carne salada e verdure.
Passando dall’antipasto al dolce si incontrano gli strauben (o strabodi), frittelle dolci a forma di chiocciola, tipiche delle occasioni festive in Baviera e nel Tirolo, che si preparano facendo cadere un composto di farina, uova, latte, zucchero, burro e grappa nell’olio bollente con uno strumento tipico che assomiglia a un imbuto di ferro. Si servono cosparse con zucchero a velo e accompagnate da una confettura di mirtilli rossi.
Veneto
Le moéche (moleche o “pepite di Venezia”) sono un Presidio Slow Food e le protagoniste di un piatto da “carpe diem”: si tratta infatti delle femmine di piccoli granchi verdi pescati nella laguna veneziana solo in determinati periodi dell’anno (tra aprile e maggio e ottobre e novembre), nel momento in cui sono nella loro fase di muta tra un carapace e l’altro, quando sono così morbidi da poter essere mangiati interi, semplicemente pastellati (con o senza uova) e fritti nell’olio bollente, in modo che diventino rossi e croccanti e acquistano un sapore lievemente dolce, con retrogusto di alga e mare. Si possono gustare al ristorante, in uno dei tipici bacari veneziani o in versione street food in cartocci da passeggio, con o senza polenta bianca in accompagnamento.
Per dolce invece ci sono le fritoe venexiane (fritole o frittelle veneziane), dolce antichissimo risalente alla seconda metà del Trecento e riconosciuto come “dolce nazionale dello Stato Veneto”, la cui ricetta (a base di uova, latte, olio, grappa, rhum succo e buccia d’arancia e limone, vanillina, farina, uvetta, pinoli, mela grattugiata, zucchero e sale) è conservata in un documento di gastronomia, custodito a Roma presso la Biblioteca Casanatense.
Durante il Rinascimento e fino alla fine del XIX secolo, erano preparate per strada dai “fritoleri”. Oggi si fanno in casa e in pasticceria, per lo più nel periodo del Carnevale, così come i galani (o crostoli sulla terraferma: sono la variante veneziana delle chiacchiere e possono essere più meno larghi e spessi, ma il sapore resta lo stesso.
Friuli-Venezia Giulia
Oltre al piatto regionale per antonomasia (il frico), nelle varianti con solo formaggio o con l’aggiunta di patate e cipolle, tra i fritti tipici del Friuli Venezia Giulia ci sono i chifeletti (preparati soprattutto a Trieste), a base di patate lesse, uova, farina e burro vengono poi fritti in olio di semi. Il loro nome richiama quello austriaco e tedesco dei kifel ossia dei cornetti, di cui riprende la forma a mezzaluna.
Sono una preparazione neutra e versatile, che si può servire come primo piatto o contorno salato, oppure in versione dolce, cosparsi di zucchero semolato. Infine ci sono gli strucchi, fagottini fritti tipici delle valli del Natisone, che si preparano dolci (con pastafrolla e un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone) o salati (con un ripieno di patate) e si condiscono con burro fuso ed eventualmente zucchero e cannella.