Naturalmente L’estate che ha scaldato le vigne e gli animi dei vignaioli

Naturale o convenzionale? Biologico o biodinamico? Il dibattito intorno al vino è stato più che mai acceso nelle ultime settimane. Abbiamo provato a fare un riassunto per chi non ha visto e per chi non c’era

Il dibattito sul vino quest’estate è stato accesissimo e da più parti si sono sollevate discussioni tra i due gruppi di vignaioli che si contendono la verità: da un lato i convenzionali, dall’altro i naturali, naturisti, quelli insomma che possiamo classificare come “non interventisti” e che proclamano una totale libertà dai canoni per produrre un vino quanto più possibile “libero”.

Qualcuno dei convenzionali ha deciso che fosse giunto il momento di ribaltare questa narrazione imperante, che da qualche anno ha un potere assoluto sui media, e ha iniziato a mettere i puntini sulle i, scatenandosi contro l’ira dei vignaioli naturali.

Il dibattito si è animato anche sui social network, coinvolgendo qualche collega che inizia a sollevare qualche perplessità sullo storytelling un po’ spinto che ha sedotto gli appassionati. È il caso di Marco Colognese, che pur esprimendo sul suo profilo social un concetto assolutamente condivisibile scatena un enorme numero di opinioni e dà il la per stimolare il confronto tra gli addetti ai lavori. 

L’enologo Andrea Moser, che da settimane sta portando avanti una accurata comunicazione per spiegare le differenze tra naturali e convenzionali, senza partigianeria ma con una comunicazione tecnica e divulgativa ha ricevuto molti plausi ma anche qualche critica pesante, che comunque lo ha spinto a proseguire con ancora maggior convinzione.

E racconta a Gastronomika che il dibattito, soprattutto in privato, è molto acceso e anche molto utile perché permette di migliorare la conoscenza di tutti. La replica che più ha colpito il Kellermeister è stata quella relativa al concetto stesso di vino “buono”.

«Esiste davvero una definizione oggettiva di bontà del vino o è una questione soggettiva? A volte credo che si debba discernere tra un vino fatto bene o corretto dando un giudizio oggettivo e un vino buono, spesso avvalendosi di standard semi-soggettivi» scrive un follower.

Sulla questione Moser non ha dubbi: «Non voglio dire a nessuno che cosa deve piacere o meno, oppure che cosa debba essere buono o non buono a livello soggettivo. Vorrei solo che qualcuno avesse l’onestà di dire che, a volte, qualche vino è pieno di difetti macroscopici non integrati nella trama del vino stesso… poi se ti piace berlo, ci mancherebbe, liberi tutti!». 

Quello che forse dovremmo imparare a fare da bevitori è smettere di prendere difetti e puzze per naturalità, territorio e savoir-faire, e magari migliorare la nostra sensibilità e la nostra attenzione al mondo del vino e della sua degustazione. E poi andarci piano con le parole, perché è molto facile cadere in errore. 

Naturale è biodinamico? Spesso.

Biodinamico è naturale? Non necessariamente.

Biologico è naturale? Non è detto.

Naturale è biologico? Può darsi.

Intanto: biologico e biodinamico sono due concetti che hanno una certificazione. Quindi per definirsi tali, i prodotti devono essere verificati da un ente che tutela i consumatori e che certifica che tutte le procedure previste siano rispettate dal produttore. Questi due “bollini” si pagano: le aziende per dichiararsi tali devono essere controllate da un ente terzo e pagare i loro controlli. Se rispettano i disciplinari, possono apporre questa dicitura sui loro prodotti. Purtroppo invece in Italia, come abbiamo avuto modo di scrivere più volte, il vino “naturale” non è definito e quindi può ospitare al suo interno qualunque cosa. 

Il disciplicare biodinamico è più stringente di quello biologico. Quindi, il biodinamico è più difficile da ottenere perché richiede meno interventi da parte dei contadini.

I prodotti biologici o biodinamici sono migliori di quelli convenzionali? Non per forza, non per l’uomo. Sicuramente sono più rispettosi per l’ambiente, ma non ci sono studi scientifici che dimostrino che mangiare solo bio faccia meglio al nostro organismo. Quello che è certo, invece, è che se tutto il mondo fosse coltivato in biologico non avremmo abbastanza cibo per nutrire tutti gli abitanti del Pianeta. Ma se non lo facciamo, o se non troviamo alternative, probabilmente non avremo più un Pianeta da sfamare. I vini convenzionali non rispettano le normative biologiche? Non sempre, non per forza. Ci sono tanti produttori che usano uve provenienti da vigneti certificati bio senza fare vini definibili “naturali”.

Mirko Maccani, consulente enologico ha deciso di partecipare al dibattito con una dichiarazione che sia definitiva, e i suoi toni ironici hanno appassionato gli addetti ai lavori: «Un bicchiere. Ogni volta che osservo un bicchiere di vino, ogni volta che lo assaggio e lo annuso, lo smonto e lo rimonto più volte nella mia testa. Ogni volta che lo incontro come uva, come pigiato, come mosto, come vino in fermentazione, a fine fermentazione, in malolattica, in affinamento; lo seziono nella mia testa. Lo ricordo nella sua gioventù, lo vedo nel presente e immagino il suo futuro. Si, sono un maestro d’asilo, un maestro, un professore e mi tocca pure essere un veggente. Sì lo so, ognuno ha i suoi gusti, De gustibus non est disputandum, e se uno ha gusti osceni se li tenga. Ma quello che mi fa più rabbia, anzi tristezza, quasi sconforto e un po’ girare le balle, è che di enologia nella norma non ci capisce un cazzo nessuno. Ma parlano. Fino a un ventennio fa, a non capirci una mazza, erano quelli che bevevano, anzi degustavano, così alcuni sembrano meno ubriaconi, e chi può fargliene una colpa, non è mica il loro lavoro. Da vent’anni a questa parte quelli che non ci capiscono una mazza di enologia, si sono improvvisati produttori. Qui apro una parentesi, anche prima alcuni colleghi potevano tranquillamente andare ad asciugare le lacrime a qualche salice piangente, ma ora sono usciti come la peronospora dopo una primavera di merda o come la flavescenza dorata recentemente, una marea di improvvisati stregoni e maghi allo sbaraglio, che non conoscono le basi dell’enologia, figuriamoci se conoscono tutte le varie tossine, anche pericolose, che fermentazioni e malolattiche a “occhio” possono produrre (tipo ammine biogene, Ocratossina A ecc.) Ma il consumatore ignorante, che ignora il tutto, si fida delle parole del cartomante e della genuinità sbandierata della parola naturale. Peccato che le loro bisnonne già sapevano che la natura, in una marmellata fatta a cazzum, ti serviva anche il botulino. Non ce l’ho con le varie tecniche enologiche o ideologie ma con la falsa genuinità».

La chiusa di questo sfogo è una richiesta di redenzione: «La vendemmia è vicina, siete ancora in tempo, la via per Strasburgo per redimervi ai piedi di L. Pasteur è conosciuta».

E quella scienza tanto evocata e tanto contestata, esce bene nelle parole di un professore molto stimato nell’ambito enologico, che forse non del tutto casualmente si chiama proprio Scienza. Intervistato in un podcast dell’eclettica e inarrestabile Stevie Kim, smonta pezzo per pezzo le false credenze su questo tema così dibattuto e così poco conosciuto nella realtà. Un video che vale la pena vedere per capire meglio che cosa c’è nel bicchiere e che cosa invece pensiamo ci sia per una informazione parziale, nel senso di parte, che abbiamo troppo spesso incontrato sulla nostra strada.

La fine della storia? Beviamo ciò che ci piace, scegliamo vini che amiamo, senza pregiudizi ma con cognizione di causa: se riusciamo a farlo senza essere sedotti da etichette, brand, l’odiato storytelling e definizioni di moda, ancora meglio. Volete riderci sopra? Impazzirete per questo monologo di Arianna Porcelli Safonov.

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