x The Adecco Group

Oltre lo smart workingLe nuove sfide di un mondo del lavoro sempre più ibrido

Basta alternare presenza in ufficio e a casa per definirsi ibridi? Se ne è parlato nel corso dell’evento “Hybrid Leader. Le nuove sfide di un mondo sempre più ibrido”, organizzato da Badenoch + Clark | Lhh Recruitment Solutions, all’interno del progetto “Sparks of Knowledge”

(Unsplash)

L’espressione «lavoro ibrido» è salita alla ribalta dopo la pandemia per indicare una nuova modalità di lavoro, costituita da un mix di presenza fisica e virtuale. Ma le organizzazioni ibride avevano già iniziato ad affermarsi prima dell’emergenza Covid. E indicano qualcosa di molto più complesso rispetto alla semplice gestione degli spazi di lavoro. «L’ibrido è un processo», ha spiegato Luca Solari, Professore di Organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano, nel corso dell’evento “Hybrid Leader. Le nuove sfide di un mondo sempre più ibrido”, promosso da Badenoch + Clark | Lhh Recruitment Solutions, all’interno del progetto “Sparks of Knowledge”. «I modelli organizzativi con i quali ci confrontiamo sono cambiati in maniera strutturale», ha detto Solari. «Le organizzazioni oggi sono affiliazioni di persone, tecnologie e altri fattori in costante cambiamento».

Organizzazioni aperte, non più chiuse. Che necessitano quindi di nuovi leader in grado di gestire una complessità non più fatta di poteri gerarchici e ruoli ben definiti. Leader «cosmopoliti, tolleranti, curiosi, volonterosi di sperimentare, che si basino sulle evidenze e si facciano domande sul senso delle cose», ha spiegato Solari, che già nel suo libro “Freedom Management” (Franco Angeli – 2020) aveva colto i segni della rivoluzione in corso.

Milano – Cortina 2026: un esempio di ibrido condensato in quattro anni

Un esempio di organizzazione ibrida per eccellenza è stato offerto da Lara Carrese, Human Capital Director del Comitato organizzatore dei Giochi olimpici e paralimpici di Milano – Cortina 2026. «Una entità», dice Carrese, «che per sua natura è in costante divenire e che prevede la compresenza di tutte le fasi che si possono trovare in azienda, dall’elaborazione della strategia al policy making, dalla pianificazione al phase out quando l’evento sarà terminato».

Tutto condensato nell’arco di quattro anni. «Un change management costante», spiega Carrese, «in un contesto di per sé molto sfaccettato e diversificato. Perché nella stessa organizzazione convivono manager d’azienda e dello sport, sportivi che si affacciano agli uffici, giovani alle prime armi e manager senior, alcuni anche alle soglie della pensione, ma portatori di una forte esperienza». Una situazione che rappresenta l’ibrido per eccellenza, in cui i ruoli dovranno naturalmente trasformarsi nel corso del tempo, attraverso una necessità di formazione e riqualificazione costante.

«Ognuno di noi deve essere pronto a evolvere in termini di competenze e tipologia di mestiere», continua Carrese. Soprattutto in vista di quella che viene chiamata «venuisation», ovvero lo spostamento delle mansioni dagli uffici del quartier generale milanese delle Olimpiadi ai luoghi in cui si svolgeranno le gare. «Nel momento in cui avverrà l’evento e si accenderanno le luci, i ruoli si trasformeranno. Ad esempio, il professionista che ora si occupa del recruitment, opportunamente formato, potrebbe diventare un Hr business partner nella venue. Per arrivare a fare questo, dovrà evolvere e ibridizzarsi rispetto a ciò che è adesso».

Come gestire tutto questo? «Il set di competenze che ciascuno già possiede serve, eccome, ma poi è fondamentale studiare tanto per continuare a portare valore», risponde Carrese. «E, soprattutto, tutti dovranno prepararsi per diventare “consapevoli” nel loro piccolo o grande operato, senza dare nulla per scontato: infatti, a ognuno di noi, anche se non nell’immediato, sarà richiesto di essere protagonista e responsabile delle proprie decisioni e azioni. E chi è chiamato a guidare le diverse attività deve avere grande capacità e desiderio di sviluppare empowerment».

Una sorta di palestra tecnica e manageriale, insomma, per chi voglia conoscere cosa davvero significhi “organizzazione ibrida”. A ciò si aggiunge il fatto che, essendo i tempi molto ristretti, «si toccano realmente con mano le conseguenze del proprio operato. E in un mondo in cui il lavoro si sta remotizzando, con l’assunzione delle responsabilità da parte dei singoli lavoratori che operano autonomamente, sarà questa la nuova cultura professionale che bisognerà coltivare, con risultati evidenti e a breve termine», spiega Carrese. «Avere la possibilità di dimostrare e vedere in poco tempo il risultato del proprio operato è un privilegio ed un acceleratore di consapevolezza, e quindi un generatore di valore».

Ma cosa significa, realmente, “ibrido”?
La pandemia, come un Big Bang, ha fatto esplodere la necessità di avere organizzazioni ibride. «Gli ultimi due anni hanno trasformato il mondo», conferma Luca Semeraro, amministratore delegato di Badenoch + Clark e Spring Professional Italia e Spagna. «Emerge sempre più, nelle organizzazioni aziendali, la centralità dell’intelligenza collettiva, in cui ciascuno può offrire il proprio contributo, secondo la propria peculiarità, anche in ambiti differenti da quelli di cui ci si è occupati per anni».

Non solo diversità degli spazi di lavoro, quindi, ma anche diversità nella composizione della forza lavoro e nel rapporto del lavoratore con l’organizzazione. Ma attenzione, spiega Solari, «l’ibrido non è semplicemente la somma delle cose. Come la biologia insegna, l’ibrido è quasi sempre più forte e resistente delle specie che lo hanno originato».

Viene meno, quindi, quello «schema tranquillizzante dell’organizzazione aziendale», dice Solari, «per cui il lavoro era limitato in un contenitore temporale e spaziale, seguendo regole basate sulla definizione dell’attività e del ruolo stabile nel tempo. Senza immaginare che il contenuto stesso potesse variare da un momento all’altro». Una rivoluzione per i manager «formati con modelli cognitivi di coordinamento del lavoro classici» e che quindi oggi hanno la necessità di cambiare.

Tante aziende, seppur non tutte, «se ne sono accorte e si stanno orientando verso nuovi modelli di leadership», prosegue Semeraro. «Sta cambiando molto la richiesta delle organizzazioni rispetto al tipo di leader che stanno cercando: si chiedono soft skill, intelligenza emotiva, empatia, capacità di gestire persone anche da un punto di vista emozionale, dando autonomia e fiducia e lavorando per risultati». E i primi segnali si vedono anche nel mondo dell’head hunting: «Sempre più aziende ci chiedono di cercare persone che non abbiano già maturato esperienza specifica nel ruolo che dovranno ricoprire. Le organizzazioni cercano novità e diversità».

Ma ciò che conta ora per fare il salto in avanti è «il coraggio», ribadisce Solari. «Dopo l’esperienza emergenziale della pandemia, bisogna cominciare a guardare alle tecnologie in maniera critica e scegliere quelle più adatte a ciascuna organizzazione, puntando anche sulla implementazione. E bisogna fare scelte importanti sul middle management, che ha rappresentato, in molti casi, il vero collante nel momento in cui, all’improvviso, il lavoro si è dematerializzato».

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club