Alla canna del gasIl problema del price cap non può ridursi a un derby Italia-Olanda

L’imposizione di un tetto al prezzo ha senso o non ce l’ha a prescindere dalla geografia. E chi vuole imporlo spieghi perché bisognerebbe farlo invece di nascondersi dietro la solita retorica degli spendaccioni contro frugali. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni su Linkiesta

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È tutta colpa dell’Olanda se l’Europa non si sbriga a mettere un price cap sul gas e, così, salvare l’economia dal collasso? Più o meno sembrano pensarlo tutti i leader politici, in questa campagna elettorale, anche perché è stato per primo il governo uscente a suggerire loro l’idea. E, certo, la coincidenza geografica tra il luogo che ospita il principale hub di scambio del gas naturale e il paese leader dei frugali – l’Olanda, appunto – non fa che dare slancio a ogni teoria del complotto. Comme d’habitude.

Proviamo, però, a essere onesti con noi stessi: il famigerato Ttf si trova ad Amsterdam (e non a Milano, a Lisbona o a Parigi) per ragioni storiche e perché, nel tempo, esso si è imposto come il più liquido tra gli hub europei nei quali si scambia il gas. Ma non c’è alcuna motivazione politica dietro questo fatto: né c’è un elemento politico alla base del fatto che taluni paesi ne contestano l’affidabilità mentre altri ne difendono la funzione. 

Non usiamo il Ttf perché è olandese, ma perché e il Ttf. Cioè una borsa (che incidentalmente si trova in Olanda) più liquida rispetto ad altre borse analoghe, inclusa quella inglese che fino a pochi anni fa svolgeva il medesimo ruolo di benchmark internazionale. E lo usiamo anche perché abbiamo voluto che esso divenisse il benchmark per stabilire il costo di importazione del gas in Europa. Abbiamo cioè attivamente avversato quei contratti che erano ancorati a parametri (come il prezzo del petrolio) privi, essi sì, di qualunque collegamento effettivo con le condizioni reali della domanda e dell’offerta di gas in Europa.

Questo non è né un argomento contro il price cap, ennesimo provvedimento salvifico oggi al centro del dibattito, né a suo favore. L’imposizione di un tetto al prezzo ha senso o non ce l’ha a prescindere dalla geografia. La domanda a cui bisogna rispondere è se i prezzi espressi dal Ttf riflettano elementi di fatto o se, invece, siano oggetto di dinamiche manipolative. 

A noi sembra che sia vera la prima tesi: da mesi il Ttf sconta un rischio di riduzione o sospensione delle forniture dalla Russia che si sta puntualmente verificando. Restituisce cioè informazioni le quali più passa il tempo più acquisiscono peso. Il venire meno della principale fonte di importazione di gas non può non avere impatti enormi, che sono catturati dai prezzi. È proprio a questo che i prezzi servono! Naturalmente è possibile che vi siano anche altre cause, e sarebbe interessante dimostrarne l’esistenza (cosa che nessuno, finora, ha realmente fatto, limitandosi ad agitare il solito feticcio della speculazione).

Ma ricondurre la questione a una presunta competizione Italia-Olanda, o a un derby spendaccioni-frugali, è peggio che un giochetto retorico: è un errore concettuale. Chi ha argomenti solidi e razionali a favore del price cap li metta sul tavolo e poi li si giudichi razionalmente. Questo tifo sguaiato non può aiutare a prendere decisioni così importanti per il nostro futuro. Certo, l’assenza di argomenti la nasconde benissimo.

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