Il Terzo Polo non ha fermato la destra come avrebbe voluto. Ma si è fermato poco sotto l’8%: nessuna doppia cifra, dunque. «È una vittoria netta e senza incertezze. Tocca alla destra governare, vediamo se sarà capace di farlo», dice al Corriere il leader di italia Viva Matteo Renzi, alleato di Carlo Calenda. «Noi faremo un’opposizione seria e rigorosa, ma questo non mi impedisce di fare i complimenti a Meloni e ai suoi alleati. E augurare buon lavoro nel supremo interesse del Paese. Riconoscere il risultato fa parte di un rituale della democrazia che ha un valore doppio in tempi di continua delegittimazione. Non credo che governeranno meglio di come abbiamo fatto noi, ma tocca a loro. Noi faremo un’opposizione più civile di quella che hanno fatto a noi. Civile ma durissima sui contenuti, dall’Europa ai valori».
Renzi fa l’analisi del voto, partendo dalla sconfitta del Pd. «Ha sbagliato tutto», spiega. «Poteva essere una partita giocabile se solo Letta non avesse sbagliato tutto dal primo giorno di campagna elettorale: l’ossessione di piccole vendette personali lo ha travolto. E adesso tutti dicono che Letta non ha la minima visione politica e che la leadership non è affar suo: troppo tardi, la frittata è fatta».
Certo, mettersi tutti insieme «era impossibile», ammette. «Però Letta poteva abbracciare l’agenda Draghi con noi e Calenda ma senza comunisti e verdi. Oggi la Meloni avrebbe una ventina di senatori in meno e non governerebbe l’Italia. Invece il risentimento lo ha bloccato. Allora poteva mollare noi e andare con M5S, visto che il Pd ha rinnegato se stesso sposando il reddito di cittadinanza. Oggi Meloni avrebbe trenta senatori in meno e non governerebbe l’Italia. Ma Letta non ha fatto nessuna delle due scelte. La mediocrità di Letta unita all’incapacità di decidere una linea chiara ha consegnato il Paese alla destra».
Intanto Conte, secondo Renzi, «ha fatto una campagna elettorale ancora più populista della Meloni. La gente che gli fa la claque con le tessere del reddito costituisce un momento di trash agghiacciante. La verità è che c’è un pezzo di Mezzogiorno che vuol rimanere intrappolato negli stereotipi dell’assistenzialismo. Aver preso noi il 30-35% in alcuni seggi del Nord dove c’è il mondo produttivo più forte del Paese ci carica di una responsabilità: una battaglia senza quartiere contro la filosofia del “tutto dovuto” dei grillini e riaffermare le ragioni educative e culturali del lavoro».
Ora Renzi farà opposizione alla Meloni che, dice, è «pericolosa per il nostro portafoglio non per la democrazia».
Intanto si gode il risultato del Terzo polo che è, a suo parere, «strepitoso. Due mesi fa ci accusavano di non fare il 3%, eppure siamo all’8 in sei settimane. Ora che abbiamo tempo per lavorare insieme con metodo e disciplina faremo la differenza. È un inizio». E con Calenda andranno «avanti insieme», assicura. «Nessuno capirebbe il contrario. Condivido con Carlo l’idea di allargare la nostra comunità il più possibile. Nel 2024 vogliamo essere molto forti alle europee: sarà un derby tra chi come Meloni sta con Orbán e chi come noi sta con Macron. Abbiamo trovato casa, ora va vissuta e allargata».
Ma sulle riforme «se la maggioranza vuole, noi ci siamo. Elezione diretta del premier, ballottaggio, revisione del titolo V, fine del bicameralismo».
Ma assicura che non tornerà indietro neanche se Bonaccini diventa segretario del Pd: «Io faccio politica, non vivo di isterie personali. Non torno nel Pd perché non c’è più Letta. Capitolo chiuso. Semmai vorrei capire quale sarà il futuro del Pd, ammesso che ci sia un futuro: vanno coi grillini o coi riformisti? Stanno col reddito o con il Jobs Act? Vogliono alzare le tasse come hanno detto in campagna o diminuirle come noi con gli 80 euro e l’Imu? Voglio bene a Bonaccini ma finché non dà una risposta a questi temi non capiamo se ci sarà un partito serio o l’ennesima marmellata indistinta. Mi verrebbe voglia di regalargli uno dei cartelloni della loro campagna e provocarlo: scegli! E poi vedo Elly Schlein in rampa di lancio per spostare il Pd ancora più a sinistra. Io non tornerò nel Pd. Ma se anche tornassi indietro non lo troverei più. Perché il Pd riformista non c’è più. Oggi è un’altra cosa, subalterna al grillismo, che guarda alle ragioni del Bettini di turno. E il prossimo congresso non farà altro che ratificare questa divisione ormai inarrestabile. Queste elezioni segnano la fine del Pd. Ma con tanti amici di quella stagione — e con Renew Europe — costruiremo una casa nuova, europeista e vincente».