La controffensiva ucraina nella regione di Karkhiv e la conseguente ritirata russa potrebbero avere un effetto collaterale da non sottovalutare: il cambiamento degli equilibri geopolitici in Asia Centrale.
La grande influenza della Russia sulla regione, area di rilevanza strategica in tutte le epoche storiche, risale al tempo degli Zar e al diciannovesimo secolo, quello del cosiddetto “Grande Gioco” fra l’impero russo e quello britannico. È sempre più vero, però, che l’apparente progressivo sgretolamento della strategia di invasione russa in Ucraina stia contribuendo a far vacillare la reputazione e il potere del Cremlino nelle ormai ex repubbliche socialiste sovietiche. A favore loro, certo, ma soprattutto a vantaggio della Cina.
Il presidente cinese Xi Jinping sta visitando l’Asia Centrale proprio in queste ore. Cruciale il suo incontro con Vladimir Putin nella città di Samarcanda, antico polo commerciale sulla Via della Seta oggi in territorio uzbeko. Il vertice si è svolto a margine del summit della Shangai Cooperation Organization (Sco) – un’organizzazione di sicurezza regionale – che vede anche la partecipazione dei rappresentanti di altre nazioni asiatiche. Ed è avvenuto a ridosso del congresso del Partito Comunista Cinese che si terrà a ottobre, blindando la presidenza Xi e la posizione della Cina come potenza che ambisce a essere sempre più dominante nel mondo.
Si tratta del primo viaggio all’estero di Xi in quasi tre anni, ovvero da prima dell’inizio della pandemia, e quello con Putin è stato il primo incontro faccia-a-faccia da febbraio, quando meno di tre settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina i due leader siglarono una partnership definita «senza limiti». Una visita non certo importante per il presidente cinese quanto lo era per Putin: il leader russo ha, in questo momento, l’impellente necessità di mostrare al mondo un’immagine forte, e manifestare un fronte unito con Xi ha questo obiettivo.
Putin si è schierato contro il «mondo unipolare» che l’Occidente vorrebbe creare, affermando di voler sostenere «la formazione di un ordine mondiale giusto, democratico e multipolare, basato sul diritto internazionale e sul ruolo centrale delle Nazioni Unite». Il blocco con la Cina, però, non sembra essere così compatto. «Apprezziamo la posizione equilibrata dei nostri amici cinesi sulla crisi ucraina» ha detto Putin, aggiungendo che capisce le loro «domande e preoccupazioni a riguardo»: un segnale che Pechino, nonostante il supporto formale, potrebbe non avere approvato la guerra in Ucraina. Dopo il meeting, la Cina ha comunicato di esser pronta a «lavorare con la Russia nell’estendere un forte supporto reciproco sulle questioni concernenti i rispettivi interessi principali» e di essere disposta a «iniettare stabilità in un mondo turbolento».
Dichiarazioni e nient’altro, quindi, senza riferimenti all’Ucraina o alla Nato. Il che dimostra come il viaggio di Xi sia principalmente volto a ribadire l’ascesa della Cina nel panorama strategico in cui ha da tempo lanciato il progetto della Belt and Road Initiative. «La Russia ha visione e interessi in Asia Centrale, e la Cina li sta lentamente divorando» afferma al Washington Post Theresa Fallon, direttrice del Centro per gli Studi su Russia, Europa e Asia che ha sede a Bruxelles. «Questo offre alla Cina un’opportunità, perché la Russia è davvero in difficoltà (on the back foot nel testo)».
Gli stessi Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico stanno iniziando a intravedere spiragli di rinegoziazione, ridimensionando la propria dipendenza dalla Russia di Putin. La cosiddetta «operazione militare speciale» di Mosca ha effettivamente cambiato le relazioni del Cremlino proprio con l’Uzbekistan, che erano in costante miglioramento sin dall’insediamento del presidente Shavkat Mirziyoyev, nel 2016. Dalla dissoluzione dell’Urss nel 1991, i legami economici e di sicurezza con la Russia erano molto solidi. Le sanzioni dell’Occidente, nonostante l’Uzbekistan possa esportare in Russia più frutta e verdura a causa del calo di forniture dall’Europa, hanno impattato notevolmente sul trasferimento di tecnologia e strumentazione delle due grandi compagnie petrolifere russe LUKoil e Gazprom nel Paese. Hanno inoltre compromesso le sue rotte commerciali verso l’Europa, portandolo ad avviare progetti con Turchia e Azerbaijan.
Prima di approdare a Samarcanda, Xi Jinping ha visitato il Kazakistan, altro punto caldo dello scacchiere asiatico in cui la Russia sembra aver perso potere. Il Paese, storico alleato di Mosca, ha deciso di mantenere la neutralità riguardo all’invasione dell’Ucraina, rifiutando di riconoscere i territori controllati dai russi nell’est e affermando di non voler contribuire all’aggiramento delle sanzioni. L’ex primo ministro russo Dmitry Medvedev, in tutta risposta, ha in seguito definito il Kazakistan uno «Stato artificiale» in un post poi rimosso. È qui che si inserisce la presenza di Xi, che mercoledì, appena arrivato nel Paese, ha dichiarato di voler continuare a «supportare risolutamente il Kazakistan nel proteggere la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale». Ne va dell’immagine cinese in una nazione strategicamente molto importante: il Kazakistan, a maggioranza musulmana, confina con la regione dello Xinjiang, in cui il governo della Repubblica Popolare è accusato di aver violato i diritti umani della minoranza uigura.
Al meeting di Samarcanda partecipano anche India e Iran, in quella che potrebbe essere un’occasione per Putin di dimostrare che ci sono ancora alcune grandi potenze globali vicine alla Russia. Ma gli attori regionali non stanno a guardare: il Tajikistan, ad esempio, ha ottenuto da parte di Mosca il riconoscimento di un partito di opposizione come organizzazione terroristica, una mossa cui il Cremlino ha a lungo resistito. Tagikistan che ha visto proprio mercoledì uno scontro armato al confine con il Kirghizistan, che ha portato alla morte di una guardia di frontiera e al ferimento di altre cinque. L’episodio non è direttamente correlato alla guerra in Ucraina ma, come riporta il Guardian, gli analisti sostengono che abbia comunque un ruolo nel ribilanciamento di potere nell’area, con lo slittamento dell’influenza Russa nelle retrovie a favore di Cina e Occidente.
Infine c’è il Caucaso: questa settimana un attacco dell’Azerbaijan su varie città armene ha causato la morte di oltre 100 soldati, offensiva apparentemente volta a tastare le acque riguardo al tradizionale supporto russo all’Armenia. La disputa territoriale tra i due Paesi si protrae dalla fine del comunismo: dopo la guerra del 2020, forze di pace russe sono dispiegate nell’area per consentire il cessate il fuoco. L’Armenia, in seguito all’attacco, ha chiesto supporto alla Russia. Ma Mosca, impegnata in Ucraina, non è molto disposta a concederlo.