I caffè sono i luoghi in cui le diversità si incontrano. I luoghi elettivi per sorseggiare la bevanda che arriva da lontano e che consumiamo, soprattutto in Italia, con la regolarità che scandisce le nostre giornate, ora dopo ora, pasto dopo pasto, appuntamento dopo appuntamento. Un vero e proprio rituale. Per Lavazza, che quest’anno celebra la trentesima edizione del suo Calendario, chiamarlo “YES! we are OPEN” vuol dire anzitutto inclusività: «Il bar è il mondo ideale dell’inclusione», racconta Francesca Lavazza, «sono accoglienti per loro natura, invitano tutti a entrare e l’umanità è ben rappresentata».
Il bar come mondo ideale. In effetti, è al bar che ci si incontra, che si parla. In questi luoghi ci si conosce, si fa meno caso alle differenze di classe, di genere, di età. Persone molto diverse tra loro possono trovarsi mescolate, tutte insieme al bancone, o sedute ai tavolini. E la fotografa statunitense Alex Prager ha colto perfettamente il senso. I suoi dodici scatti riprendono un immaginario patinato, quasi cinematografico, coloratissimo di certe cartoline della metà del secolo scorso. Ma allo stesso tempo ci parlano di un universo modernissimo, ammantato di scorci, sguardi, baci, addii che potremmo trovare per la strada, in qualsiasi angolo del mondo, non appena si svolta per entrare in un locale affollato.
Che Alex Prager subisca, se così si può dire, influenze dal mondo del cinema, diventa chiaro quando dichiara di lavorare moltissimo con la macchina da presa, fin da quando ha deciso di lasciare il suo primo impiego dopo la licenza liceale: «Ero in un cubicolo all’interno di un ufficio. Mi è letteralmente passata la mia intera vita davanti. Ho provato un senso di rigetto. Da allora ho mollato tutto, mi sono messa in viaggio, e l’arte è diventata la mia vita».
L’arte equivale alla musica: ha suonato in una band, ha fatto teatro e ha avuto esperienze sul palcoscenico, fino ad approdare alla fotografia e ai film. Ora, inoltre, alla produzione di un cortometraggio da lei diretto. Tutti questi linguaggi si mischiano, si parlano, si contagiano a vicenda. Un po’ come i personaggi delle sue inquadrature. Un po’ come i clienti del bar come luogo elettivo di incontro, creazione e scambio.
«Il caffè è il primo social network», azzarda Francesca Lavazza. Del resto, l’azzardo rappresenta la punta d’orgoglio dell’azienda torinese, che dal 1895 maneggia con sapienza i codici della modernità e le trasformazioni contemporanee, aggiungendo sempre un tocco di creatività. Il loro è dunque un tentativo di riflettere incessantemente sull’uomo. Oggi, a maggior ragione, è impossibile riuscirci senza porsi interrogativi di senso sul suo destino e sul suo futuro.
Con l’agenzia Armando Testa i progetti si accumulano sempre di più, anno dopo anno: l’ultimo è un libro, edito da Mondadori Electa, che esplora il percorso figurato e concreto delle ultime dieci edizioni del calendario in giro per il mondo, a contatto con fotografi del calibro di Emmanuel Lubezki, Steve Mc Currry, David LaChapelle e partner come Save The Children, UN e Slow Food.
Si tratta di un travel book non solo perché elenca le città, i continenti, gli sfondi che di volta in volta hanno ospitato le immagini, ma soprattutto perché racconta l’impegno di Lavazza confronti della sostenibilità. Ecco perché l’introduzione è affidata al premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, che esorta a una necessaria solidarietà da parte degli uomini di tutto il pianeta. Rivolgendosi in particolare agli esponenti delle nuove generazioni, invita all’attività urgente, individuale e massiva, che generi impatti positivi sull’ambiente e riduca le disuguaglianze sociali.