La complessità del mondo moderno, secondo Giuseppe Lavazza, è contenuta interamente da tre, grandi filoni: quello sociale, quello economico e quello ambientale.
Peccato che, ancora oggi, moltissime comunità sparse in giro per il mondo non sappiano orientarsi all’interno di questa narrazione contemporanea. Basti pensare al fatto che molte di loro non sono consapevoli né coscienti della minaccia rappresentata dal cambiamento climatico. Non essendo adeguatamente informate reiterano stili di vita e di mezzi di produzione non sostenibili, rischiando, tra le altre cose, di rimanere escluse dalla macchina incessante del presente.
Ecco perché nel 2004 – spiega – l’azienda fonda la Giuseppe e Pericle Lavazza: lo scopo è aiutare i produttori di caffè intorno al pianeta a migliorare le loro condizioni di vita attraverso lo sviluppo di indipendenza, autonomia e specificità.
Strutture, supporti, conoscenze e fondi a seconda delle necessità, diverse a seconda della posizione geografica e del passato dei territori.
«Siamo un’azienda che produce solo caffè da 127 anni. Dipendiamo interamente del caffè. Ci piace pensare che siamo ambasciatori del caffè nel mondo. Per questo non possiamo prescindere dalla produzione e dal modo in cui avviene. Abbiamo bisogno che si svolga secondo parametri vivaci, ottimisti, in linea con i criteri dell’attualità», spiega Giuseppe Lavazza a Linkiesta.
Al momento conta 32 progetti in 20 paesi in 3 continenti, a beneficio di oltre 130.000 coltivatori di caffè.
Dora è guatemalteca ed è vedova. Suo marito e i suoi genitori sono stati sequestrati e uccisi per mano del conflitto armato, sono andati a riempire le file dei cosiddetti desaparecidos. Ha dovuto trasferirsi a Città del Messico per quattordici, lunghi anni per salvarsi dalle persecuzioni del governo di allora. È stata assistente di Rigoberta Menchù, premio Nobel per la pace nel 1992, accompagnandola nei suoi viaggi su e giù per l’America. Oggi lavora come assistente sociale insieme alla ONG Verdad y vida, che si occupa del reinserimento di donne e giovani dopo gli scontri sanguinosi del recente periodo.
Insieme a Verdad y vida, Fondazione Lavazza è intervenuta in Guatemala per realizzare uno dei più riusciti programmi della fondazione: in questo modo, ha contribuito a salvare dalla povertà, dalle discriminazioni di genere e dall’incuria ambientale le comunità rurali del luogo.
L’inclusione femminile all’interno di tutti i processi produttivi del caffè – dalla semina alla preparazione – è una priorità in primo luogo politica: l‘80% della coltivazione è in mano alle donne, ma i terreni sono tutti detenuti dagli uomini. La proprietà delle terre è storicamente a conduzione familiare e le donne, come insegna Silvia Federici, filosofa e accademica nell’ambito degli studi di genere, diventano vittime di un meccanismo paradossale: sono loro a garantire il lavoro, ma non possono goderne i frutti né il guadagno. Vengono bistrattate dallo stesso sistema che mantengono.
Dora, che adesso è in Italia come esponente della fondazione, spiega che il progetto nasce innanzitutto per permettere alle persone, intese come esseri umani, di prendere coscienza dei loro diritti.
Diritti che appartengono anche alle nuove generazioni: di fronte a un mondo che le esclude progressivamente dagli ambiti professionali e dalle sorti della storia, Lavazza offre un’opportunità di riscatto e un futuro, dato che in Sud America lo scenario più ricorrente per un giovane è la spirale del narcotraffico.
«Interveniamo anche con tecniche che aiutino a mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulle colture. Il caffè tende a insistere su aree su cui la catastrofe ambientale insiste con più rapidità. Cerchiamo quindi di insegnare buone pratiche agricole, aumentare le aree verdi attraverso la riforestazione e l’utilizzo di tecnologie avanzate. Questi provvedimenti sono essenziali non solo sul piano economico, ma soprattutto perché migliorano la qualità di vita delle persone», aggiunge Lavazza.
In un mondo dove le abitudini legate al caffè non si sono mai arrestate, anzi, risultano in crescita continua nonostante la pandemia e le evoluzioni del tempo in cui viviamo, diffonderlo anche in luoghi dove il consumo è meno popolare, diventa una sfida sotto ogni punto di vista. Soprattutto in quanto ristabilisce degli equilibri e delle proporzionalità di partenza, essenziali per una circolarità ambientale, sociale e civile: il caffè guatemalteco, che nella zona è anticamente rinomato, inizialmente veniva venduto a intermediari a un prezzo molto basso.
Ora, grazie a Lavazza, la materia prima ha ricominciato a essere comprata, e prima ancora coltivata e prodotta, al suo equo e giusto valore.