Interrompendo la discesa e proseguendo verso nord-est lungo il fianco della collina si arriva a un gomitolo di strade in cui una volta ho creduto d’essermi perso per sempre. Strada Val San Martino: in basso la Chiesa Ortodossa Russa, in alto un convento delle Carmelitane, monache con cui mio padre aveva una certa consuetudine.
Nel 1949 aveva lavorato alla costruzione del noviziato, poco sotto il convento. Scriveva l’8 luglio a mia madre: Io sono preso letteralmente per la gola dal lavoro: ieri sera sono andato a letto all’1.30 e stamane alle 6 stavo già lavorando, pensa che sono venuto a mangiare alle 15. E tutto per le mummie: ho dovuto rifare buona parte dei calcoli perché mi hanno cambiato i tipi di laterizi per i solai (faceva la vittima perché lei se n’era andata al mare con mia sorella). E qualche giorno dopo: Per quanto riguarda la collina le suore vogliono un’altra modifica. E alla fine del mese: Il lavoro qui è opprimente. Le mummie ne hanno sempre una nuova. Se chiamava mummie le suore (era un gioco di parole perché in piemontese le monache si chiamano munie), se si lamentava dei loro capricci, era soltanto per far ridere mia madre, in realtà in conventi, curie e parrocchie era perfettamente a suo agio. Che lo costringessero pure a rifare i calcoli cento volte, a penare dall’alba a notte fonda.
Vent’anni dopo lavorò di nuovo con la famiglia carmelitana, per i frati di Arenzano e Bocca di Magra, e fu uno dei suoi impegni più importanti. Anche loro amavano discutere ogni dettaglio e cambiavano idea in continuazione, facendogli ridisegnare tutto da capo. Ma lui li adorava. Nel convento si mangiava benissimo. In una nicchia della mensa era conservato il teschio di un martire, un memento mori che invitava alla moderazione, e quando avevano ospiti a pranzo, per delicatezza, i frati coprivano la reliquia con un fazzoletto, perché i laici non si sentissero tenuti alla sobrietà, o forse per prendersi una piccola vacanza dalla regola. Ma si sarà mai lasciato andare, mio padre, anche con il teschio velato?
Non amava dormire fuori, partiva a ore antelucane da Torino per i periodici sopralluoghi sui cantieri, i delicati contatti con le imprese locali, i geometri del posto, trafficoni e permalosi, e tornava tardi la sera pur di dormire nel suo letto. Oppure faceva tappa a Pegli, nella vecchia casa di mia madre, o nel paese d’origine, vicino a Mondovì, dove mia nonna e una nipote vivevano insieme. Quand’era proprio impossibile concludere le discussioni in giornata, i padri carmelitani lo ospitavano a dormire. E il giorno dopo gli infilavano in macchina una monaca da riportare a Torino. È tutto registrato nelle agende.
3 luglio [1969]
Pernottamento a Pegli. V. mi dice che G. è pronto per i lavori di rifacimento impermeabilizzazione. Bene! Fisserò appuntamento al quale vuole partecipare anche V. Tutti i giorni salvo il mercoledì.
Ore 11 Appuntamento Bambino di Praga [il santuario di Arenzano] – Incontro con B. e quindi con ing. M. per palcoscenico e cine. Si definisce tutto in linea di max e ci si riserva di condurre a termine progettazione sala. I lavori sono controllati e procedono bene. Si definisce con Padre A. il tipo di pavimento delle docce e il relativo rivestimento.
Ore 15.30 Parto per Bocca di Magra in macchina.
Ore 19.30 Arrivo a Bocca di Magra [oggi il viaggio in autostrada durerebbe un’ora e mezza, salvo crolli di ponti e gallerie] – esame del cantiere.
Pernotto a Bocca di Magra
4 luglio
Ore 8.30 Inizia lunga e dibattuta discussione sui disegni modificati. Altre modifiche che speriamo siano le ultime. Niente da fare per convincere Padre F. che ha il capoccione duro.
Ore 11.15 Arriva l’ing. T. e si esaminano insieme le parti che interessano la struttura. Definiti tutti i punti della lettera. Visto con il geom. Z. varie questioni inerenti la contabilità, e definite tutte. Deciso come fare ultima parte. Speriamo vada tutto bene.
Ore 15.30 Partenza per Torino. Accompagno Suor S. delle Terziarie Carmelitane a Torino, sosta alla Casa Betania di Valmadonna (Alessandria).
Viaggio ottimo. Spese benzina e olio 3500+2400+3000=8900
Bene è ripetuto tre volte, tutto cinque volte, e il passo culmina nel superlativo assoluto ottimo. Si stava facendo coraggio. Nell’estate del 1967 era successa una tragedia in un cantiere, seguita da un’indagine; non aveva colpe, ma la storia l’aveva sconvolto. Nell’aprile del 1968 era stato ricoverato per due settimane in una casa di cura, dopo quello che in famiglia veniva chiamato esaurimento nervoso.
Ne era uscito bene! e aveva ripreso il lavoro allo stesso ritmo frenetico di prima, perché un altro ritmo non era contemplato, salvo am-mettere che le cose non andavano affatto bene! A Natale del ’68 era morta sua madre, non bene! Al funerale piangeva, mi era sembrato così strano, come se fingesse; non l’avevo mai visto piangere, perché quando aveva avuto l’esaurimento nervoso mia madre l’aveva tenuto nascosto in camera. Dopo il viaggio dai frati continuò allo stesso ritmo indiavolato fino a settembre. Poi venne di nuovo ricoverato.
Quando lessi per la prima volta le agende dopo averle ritrovate in cantina, passai alcuni giorni a fantasticare su quelle pagine del luglio ’69, specialmente sui dettagli del tragitto di ritorno. Sei o sette ore in macchina con una monaca terziaria carmelitana (la precisione è importante): avranno parlato? Saranno stati zitti? Di cosa avranno parlato? Mio padre era un grande conversatore e, quando non era depresso, una persona molto spiritosa, e aveva avuto uno zio prete e frequentato parroci, canonici e cappellani militari.
Ma durante quel viaggio così lungo, nello spazio ristretto dell’abitacolo, sarà riuscito almeno a fumare una sigaretta, tra un silenzio e l’altro?
Per rompere il ghiaccio, iniziò dalla famiglia. Una bella famiglia, ringraziando il cielo, il bambino più piccolo aveva la rosolia, per questo erano ancora tutti a Torino, li avrebbe portati al mare la settimana successiva. Sì, per i bambini il mare era importante – pazienza se in città lui stava solo come un cane, prima di ammalarsi quella solitudine estiva non gli dispiaceva affatto, poteva lavorare dodici ore al giorno e poi lamentarsi al telefono con Mariella.
Per un paio di settimane la figlia più grande gli avrebbe tenuto compagnia, una brava ragazza, molto studiosa… I disordini all’università? Ah, i giovani d’oggi… per carità, la maggior parte sono ragazzi perbene… Proprio ieri, in città, nuovi scontri con la polizia – la guerriglia a Mirafiori, corso Traiano trasformato in un campo di battaglia, vessilli rossi, sassaiole, lacrimogeni, e sul giornale, quella mattina, un lungo resoconto: vasi di fiori gettati sugli agenti da una finestra al quinto piano, maoisti esagitati che si nascondevano nei campi intorno alla fabbrica, “il gruppo dei romani è il più scalmanato!”, “Cosa volete?” chiedeva il cronista, “Vogliamo tutto!” Come potevano essere così sfrontati da scendere in piazza per urlare Voglio, Voglio, Voglio?
A corto di argomenti, andando indietro di qualche mese, mio padre forse rievocò l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Suor S. era certamente stata a Praga, aveva visitato Santa Maria della Vittoria a Malá Strana, cuore della famiglia carmelitana, dove l’antica statua del Santo Bambino era conservata? Dovevano essere luoghi magnifici. Ma i russi… i russi non li fermava nessuno. E quei poveri studenti che si erano dati fuoco, quel povero Jan Palach, bisognava pregare per la sua anima, che il gesto estremo gli fosse perdonato… – sì, il perdono… no? In nessun caso?
Accaldati, anchilosati, stanchi di parlare di tante tristezze, arrivando alla Casa Betania dedicarono un pensiero alla resurrezione di Lazzaro. La strana avventura di quando ti credi morto e di colpo resusciti, ma come nell’affresco di Giotto sembri ancora abbastanza moribondo. E a Betania, più tardi, Gesù era pure salito in cielo.
Quindi cosa dire dell’Apollo 11, che stava per iniziare il suo viaggio straordinario? Aveva in programma, suor S., di seguire l’allunaggio in televisione? – immaginiamo ora l’angoscia di un astronauta in partenza per la luna con una monaca nella capsula spaziale; immaginiamo la conversazione languire nello spazio infinito.
La strada era lunga, il traffico rallentava la marcia. E lui, “l’uomo dal bivio sbagliato”, come veniva chiamato affettuosamente dalla moglie, sarebbe mai uscito da quel labirinto? Se calcolava troppo spesso quanti chilometri restavano, il tempo passava ancora più lento. Non ammise con sé stesso, almeno per un attimo, di provare una noia bestiale? Ma la vita era comunque una penitenza, in quel modo almeno faceva un favore ai frati. E dopotutto, no, non credo che si annoiasse. Piuttosto si sarà preoccupato di non annoiare la mummia, intrattenendola per sette ore. E a un certo punto, inevitabilmente, lei si sarà assopita, lasciandolo solo alla guida della Fiat 1500, lo sguardo fisso sul nastro d’asfalto, nero come i pensieri che si srotolavano senza fine nella sua mente.
Da La traversata notturna, Andrea Canobbio, La nave di Teseo, collana Oceani, 528 pagine, 20 euro