Io sono CordeliaMeloni è una donna forte, ma le femmine vittimiste non se ne sono ancora accorte

La prossima premier conosce le regole del gioco della politica e ce ne farà dono. Non ha tempo per le lagne, e pazienza se re Silvio si sarebbe scelto un altro erede: ha vinto lei, decide lei

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Verrà il giorno in cui Giorgia Meloni ne sbaglierà una (più di una, in più di un giorno, immagino); neanche venerdì, però, è stato quel giorno.

Non so come siano, in queste settimane, le vostre schermate di messaggi. Le mie sono quasi tutte composte da un qualche vecchio video di Giorgia Meloni, commentato da chi invia e chi riceve con analoghi «Ma come abbiamo fatto a non accorgercene prima».

Ho una scusa: erano quasi tre anni che non guardavo la televisione. Avevo smesso al principio della pandemia, quando il contagio era diventato l’unico tema di conversazione, il tema meno interessante nella storia del mondo. Guardereste un palinsesto la cui trama consiste nel dirvi di lavarvi bene le mani?

Tuttavia non è una scusa sufficiente. Alcuni dei più illuminanti video di Giorgia Meloni, alcuni di quelli in cui dimostra d’essere una che sa fare benissimo l’unica parte di sicuro consenso oggi, quella sono-proprio-come-voi, vengono da Belve, programma del quale fu ospite nel 2018: era prima che decidessi che, se i virologi erano le nuove soubrette, io preferivo leggere un buon libro; eppure non l’avevo vista. Come ho potuto essere così distratta?

Venerdì, quando Giorgia Meloni è diventata Cordelia in un universo in cui Re Lear è Silvio Berlusconi (l’universo che ci possiamo permettere), abbiamo assistito a uno spettacolo di cui Shakespeare ci aveva privati: la ribellione di Cordelia.

Ha scritto Concita De Gregorio che il ribaltamento di ruoli è imprevisto a destra come a sinistra: entrambe collocazioni dove, se hai i gameti sbagliati, solo damsel in distress puoi essere. Solo in tailleur puoi stare, e solo gli ottusi credono che quello degli abiti sia argomento secondario.

Mai come in questi giorni, in cui sembra non avessimo mai avuto una beghina per presidente della Camera, penso ai tailleur di Irene Pivetti, a quel disastro estetico causato dagli anni Ottanta, dagli spot dello shampoo ma pure da capolavori come Una donna in carriera, che è il cliché delle donne di potere; donne di potere nessuna delle quali, fino a Kamala Harris, ha più osato vestirsi come una donna normale.

Due mesi fa, al Meeting di Comunione e Liberazione, Giorgia Meloni aveva una gonna a pieghe verde, e tutte quelle con uno straccio di spirito d’osservazione hanno pensato: ma quindi si può. Si può vestirsi normalmente e vincere le elezioni, invece di perderle coi tailleur pantalone di Hillary Clinton.

Quando Silvio Berlusconi ha tenuto a farsi fotografare con gli appunti che spiegavano quanto l’avesse deluso Cordelia, nessuno gli ha chiesto come potesse essere accaduto, «l’amore della vostra vecchiaia, la figlia più cara e più stimata, ha dunque potuto, in sì breve tempo, commettere opra tanto rea da meritare che la spogliate fino alla nudità, che la priviate di tutti i doni di cui la vostra tenerezza l’avea rivestita? Certo l’offesa sua deve essere contro natura, dev’essere un prodigio d’atrocità; ovvero l’affezione che le avevate qui solennemente giurata, si è inesplicabilmente pervertita».

Certo, qualunque studioso di Shakespeare (o di Berlusconi) direbbe che, più che Cordelia, Giorgia è Regan, la figlia che tradisce: se sei maschio e tradisci, diventi il santo più importante della mia religione e la pietra su cui fondo la mia Chiesa; se sei femmina e tradisci, sei una schifosa consumata dall’ambizione.

(A proposito di schifose consumate dall’ambizione, ma se invece il parallelismo giusto fosse quello in cui la Ronzulli è Lady Macbeth? O lo è la Meloni? E se invece restiamo a Lear: se la Meloni è Regan, la Ronzulli è Goneril che la avvelena? Ci sono altri ruoli, per le femmine, che uccidersi l’un l’altra devastate dal sopravvenuto disamore del sovrano? Comunque Goneril alla fine si ammazza, e muore pure Cordelia: lo dico per non studiosi di Shakespeare che pensino a un lieto fine possibile per le femmine in scena).

Quindi venerdì Giorgia Meloni ha aspettato tutto il giorno, mentre giornalisti sempre più in calore bramavano un commento su quegli appunti al teleobiettivo (non) sfuggiti, mentre Ignazio La Russa diceva che erano certamente un fotomontaggio, Berlusconi taceva, e una di sinistra al posto suo avrebbe immediatamente dichiarato indignata che quell’orrido sessista non tollera d’avere davanti una donna di carattere, una donna di successo, una donna non a sua disposizione (cit. Rosy Bindi), una donna non ridotta a lista, come ti permetti, e anche voi che nei titoli scrivete «Giorgia» invece di «Meloni», schifosi patriarchi.

Giorgia Meloni non dice mai «è perché sono una donna». Non quando racconta a Francesca Fagnani che Berlusconi le ha suggerito di farsi il botulino alla fronte o che Ignazio La Russa la sgrida se non mette i tacchi; non quando Salvini e Berlusconi proprio non si capacitano che tocchi far governare lei, una pischella bionda; non quando i giornali intervistano la sua manicure. Giorgia Meloni conosce le regole del gioco e ce ne farà dono: è donna, è madre, è una che non ha tempo per le lagne, è quella che quando vince ha vinto lei e si fa come dice lei.

Quindi venerdì ha aspettato d’essere sotto tg, come sa fare la gente di potere, è uscita da un cancello, si è fatta alzare la palla da un inviato televisivo, e l’ha schiacciata come la Mimì Ayuhara che un’epoca di femmine vittimiste non sperava più di vedere. La mattina dopo, in tv, ho visto donne chiedersi sospirose se alla Meloni quella risposta fosse scappata. Ma certo: era in premestruo, era confusa, era fuori controllo. Siamo così: sempre più emozionate, delicate, non sappiamo dettare alla stampa risposte gelide come teste di cavallo.

Verrà il giorno in cui le femmine di quest’epoca saranno disposte a riconoscere una donna forte, quando la vedono. Purtroppo, neanche la settimana scorsa è venuto quel giorno.

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