Diversa reattivitàCome rispondono i Paesi del Golfo alla crisi energetica (e alle sanzioni alla Russia)

Per l'Europa la partita è aperta. Se da una parte Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti non hanno intenzione di aumentare la propria produzione petrolifera, dall’altro il Qatar ha espresso la sua disponibilità politica di aiutare l’Europa a diversificare le proprie forniture di gas

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 53 di We – World Energy, il magazine di Eni

Con l’acuirsi della crisi energetica e geopolitica in Europa a causa della guerra russa in Ucraina, la prospettiva di potenziali interruzioni di fornitura di petrolio e gas russo e un ulteriore aumento dei prezzi ha spinto numerosi governi occidentali a intraprendere diversi sforzi diplomatici per convincere i paesi del Golfo ad aumentare la propria produzione e le esportazioni.

Fin dall’inizio della crisi energetica, i diversi e principali paesi produttori del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar) hanno tuttavia mostrato un diverso grado di disponibilità politica a soddisfare i desiderata dei paesi occidentali. Tale sviluppo mostra nuovamente una divergenza tra i paesi del Golfo, ma dall’altro rivela come questi paesi stiano perseguendo sempre più i propri interessi nazionali.

Se da un lato si è registrata una certa ritrosia da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ad aumentare la propria produzione petrolifera, nonostante detengano la maggior parte della spare capacity (circa 800 mila barili al giorno ognuno), dall’altro il Qatar ha espresso la sua disponibilità politica di aiutare l’Europa a diversificare le proprie forniture di gas. Le motivazioni e le conseguenze della diversa reattività a rispondere positivamente alle richieste dei paesi importatori sono molteplici sia di carattere (geo)politico che prettamente energetico.

In ogni caso, la crisi ucraina e le conseguenti sanzioni alla Russia (che valeva il 14 percento della produzione mondiale e ha esportato circa 7 milioni di barili al giorno nel 2021) causeranno una riconfigurazione dei flussi energetici con i paesi del Golfo, che potrebbero guadagnare importanza nei mercati europei, mentre la Russia cercherà di reindirizzare i suoi volumi nei mercati asiatici.

Di fronte all’opportunità di guadagnare quote di mercato e godere dell’aumento dei prezzi, i paesi OPEC hanno preferito preservare il piano di aumento della produzione petrolifera, decisa dall’OPEC+ nell’aprile 2020, che prevede un aumento mensile di 400-430 kb/g. La decisione ha evitato di aumentare la propria quota di produzione a danno di altri membri, con l’intento di preservare l’unità dell’accordo con la Russia, replicando lo storico principio dell’OPEC di focalizzarsi sulla sua natura tecnocratica della gestione dell’offerta petrolifera rispetto alle questioni politiche anche tra paesi membri (come nel caso della guerra tra Iraq e Iran o le seguenti sanzioni all’Iran).

Il legame tra la Russia e Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si è via via rafforzato proprio grazie all’accordo OPEC+ sancito nel 2017 e necessario alla stabilizzazione dei prezzi. Nonostante la guerra e le sanzioni, i paesi ritengono utile preservare in qualche modo il loro rapporto politico-energetico con Mosca, divenuto cruciale nella metà del 2020 dopo una costosa guerra sui prezzi. Infine, i due paesi OPEC temono che un ulteriore aumento della produzione (e potenzialmente non coordinata) possa riproporre una situazione di sovrapproduzione, deprimendo eccessivamente i prezzi e causando un danno significativo alle economie dei paesi produttori.

Nonostante la ripresa della domanda petrolifera mondiale, dopo l’annus horribilis della pandemia (2020), i paesi OPEC temono ulteriori interruzioni dei consumi preferendo un approccio più cauto all’aumento della produzione.

La disponibilità immediata del Qatar
Al contrario, il Qatar ha espresso subito la sua disponibilità politica a contribuire al rafforzamento della sicurezza energetica europea in diversi incontri con rappresentanti europei (e americani), sfruttando l’occasione per consolidare le proprie relazioni con Washington e Bruxelles. Dal 2019, Doha non fa più parte dell’OPEC, marcando fortemente la volontà di focalizzarsi sul gas e liberandosi dal controllo dei vicini più grandi (Arabia Saudita e Emirati) al tempo della crisi tra i paesi del Gulf Cooperation Council (GCC), durata dal 2017 al 2021.

La decisione ha avuto un modesto impatto dal punto di vista energetico poiché il Qatar, al tempo, contava il 2 percento della produzione OPEC. Dunque, il piccolo emirato ha la possibilità di contribuire, nel mercato del gas, essendo uno dei leader mondiali di gas naturale liquefatto (GNL). Non essendo più legato all’OPEC e focalizzandosi maggiormente sul gas, il Qatar ha avuto più margine di manovra per esprimere la propria disponibilità ad aiutare i paesi europei nel loro piani di diversificazione.

Nell’ultimo periodo ha intavolato negoziati con Gran Bretagna e Germania per future forniture di GNL. Il Qatar ha visto nella crisi energetica europea la possibilità di bilanciare le proprie esportazioni (ad oggi il 70 percento del suo GNL è destinato ai mercati asiatici) e firmare nuovi contratti per i futuri volumi provenienti dall’espansione del giacimento North Field.

Le diverse posizioni dei tre paesi del Golfo sono state dettate anche da ragioni (geo)politiche. Riyadh e Abu Dhabi hanno preferito dare priorità ai propri interessi nazionali rispetto a quelli dei propri alleati tradizionali (USA in primis). Gli attriti con la nuova amministrazione e la percezione di non aver più un’adeguata sicurezza contro l’Iran hanno sicuramente influito nel non assecondare immediatamente le numerose richieste di maggior produzione. Doha, al contrario, ha sempre più guadagnato una centralità diplomatica proprio grazie alla crisi energetica, che si aggiunge al suo ruolo in dossier chiave per gli Stati Uniti: il negoziato con l’Iran e quello con l’Afghanistan.

Tutto ciò ha permesso al Qatar di guadagnarsi lo status di major non-NATO ally, rinsaldando la propria alleanza con Washington. Nonostante gli attriti con Washington e l’apparente alleanza con Mosca, l’OPEC+ (sotto la guida di sauditi ed emiratini) ha deciso di aumentare la produzione di ulteriori 200 kb/d (per un totale di circa 630 kb/d) da luglio facendo terminare anticipatamente l’accordo OPEC+ di due anni fa. Seppur ci siano numerosi dubbi sull’incidenza che questo aumento avrà sul mercato petrolifero, la decisione manda sicuramente un segnale politico distensivo agli USA dopo un periodo di forti tensioni.

Inoltre, Arabia Saudita ed Emirati devono iniziare anche a far fronte alla potenziale competizione crescente, nel mercato asiatico, da parte del petrolio russo fortemente scontato a causa delle sanzioni. Nel medio/lungo periodo è indubbio che l’attuale crisi permetterà ai paesi del Golfo di accrescere il loro peso nel mercato energetico europeo, grazie ai loro numerosi vantaggi competitivi, ma la crisi attuale mostra come tale risultato sarà frutto principalmente del perseguimento degli interessi nazionali.

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