Emergenze e pianificazioneIl 2022 grigio dell’Unione europea e i limiti evidenti del Trattato di Lisbona

Tra il Qatargate e la guerra in Ucraina è davvero grottesco veder discutere i capi dei gruppi politici del Parlamento europeo e il Consiglio dei governi nazionali sull’avviare la contorta procedura per modificare un numero limitato di articoli del patto del 2007. Bisogna superarlo interamente con un nuovo trattato

LaPresse

Si conclude il 2022, l’anno della guerra scatenata dalla Federazione Russa violando le frontiere dell’Ucraina insieme alla vita di centinaia di migliaia di persone e a quella delle città e delle campagne, una guerra mille volte più drammatica e devastante rispetto alla tante guerre che insanguinano il mondo perché essa ha assunto le caratteristiche di un conflitto che ha coinvolto praticamente tutti i paesi del pianeta in una dimensione bellica che è stata vicina – e lo sarà ancora – a una deflagrazione mondiale. Mentre assistevamo passivamente agli effetti dell’aggressione russa all’Ucraina non si è interrotta tuttavia la catena delle vittime fra i migranti che fuggono da altre regioni del mondo dove si muore per scontri armati (laddove le armi provengono in larga parte dai paesi ricchi), per fame, per l’espropriazione delle terre e per disastro ambientali. 

A proposito di disastri ambientali, l’anno si è concluso con il fallimento nel negoziato sulla lotta al cambiamento climatico e sulla decarbonizzazione della COP27 a Sharm e-Sheikh compensato dall’accordo di Montreal sulla biodiversità della COP25 e le prospettive di accordi internazionali nella riunione della COP28 nel 2023 a Dubai sono molto oscure. 

L’Unione europea è stata apparentemente unita di fronte all’aggressione russa contro l’Ucraina ma è stata incapace di prevenirla nonostante i molti segnali di conflitti freddi e caldi nella regione dall’invasione della Crimea nel 2014 fino al 2021, d’impedirla quando i carri armati russi si sono ammassati alle frontiere fra i due paesi dal dicembre 2021, di agire collettivamente – e non ciascuno a nome e per conto del proprio Stato – per contribuire a imporre una tregua e poi l’apertura di negoziati che in ogni caso dovranno essere internazionali e non lasciati al solo confronto fra russi e ucraini. 

Sul fronte delle migrazioni l’apparente e limitata diminuzione delle vittime nel Mar Mediterraneo non ha spinto i paesi europei a una maggiore solidarietà fra di essi e fra gli europei e i migranti agendo al contrario con un innalzamento dei muri materiali e immateriali insieme alla continua paralisi del processo decisionale intergovernativo. 

L’anno si è chiuso con lo scandalo del cosiddetto Qatargate, quando la Procura federale belga ha reso pubblici gli aspetti penalmente rilevanti di un’inchiesta internazionale avviata da mesi con il coinvolgimento di vari servizi segreti per difendere la sicurezza europea da azioni volte a minare i processi democratici europei provenienti non solo dal Qatar ma anche dal Marocco e probabilmente da altri paesi geograficamente vicini all’Europa. 

In questa situazione geopolitica incandescente ed emergenziale è veramente grottesco il conflitto che si è aperto fra i capi dei gruppi politici del Parlamento europeo, da una parte, e il Consiglio dei governi nazionali dall’altra sulla opportunità e sull’urgenza di avviare la contorta procedura della convenzione per la modifica di un numero limitato di articoli del Trattato di Lisbona che il Parlamento europeo ha individuato in quello (art. 29 TUE) che consentirebbe di applicare delle sanzioni internazionali a maggioranza qualificata e nella cosiddetta “clausola della passerella” (art. 48.7) per permettere al Consiglio europeo ad autorizzare il Consiglio a decidere a maggioranza qualificata laddove il trattato prevede un voto all’unanimità. 

Secondo questa logica grottesca l’azione dell’Unione europea e degli Stati membri di fronte all’emergenza della pandemia nella primavera del 2020 avrebbe dovuto essere sottoposta alla condizione di una modifica dell’art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in materia di salute pubblica per accrescere le competenze europee attraverso la convenzione prevista dall’art. 48 TUE o modificare l’art. 169 con una procedura di revisione semplificata senza accrescere le competenze dell’Unione europea. 

Ancora secondo questa logica grottesca le istituzioni dell’Unione europea avrebbero dovuto condizionare l’adozione di tutti gli strumenti finanziari legati alla ripresa dell’economia europea dopo la pandemia (a partire dal NGEU) alla modifica dell’art. 122 TFUE insieme alla revisione della base giuridica del Trattato per consentire alla Commissione di creare debito pubblico europeo passando anche in questo caso attraverso la contorta procedura della convenzione prevista dall’art. 48 TUE. 

Fino alle elezioni europee del maggio 2024 l’Unione europea sarà invece chiamata ad affrontare altre emergenze che sono state già indicate dalla Commissione nelle sei priorità del programma legislativo 2023-2024 su cui dovranno deliberare il Consiglio e il Parlamento europeo che hanno del resto già sottoscritto insieme alla Commissione una comune dichiarazione d’intenti. 

Così facendo l’Unione europea darà alle sue cittadine e ai suoi cittadini il segnale che essa è capace di rispondere alle emergenze che li preoccupano con lo sviluppo di azioni comuni per garantire beni pubblici europei in una situazione in cui gli effetti delle emergenze sono simmetrici. 

L’Unione europea così come è stata disegnata dal Trattato di Lisbona non è invece capace di andare al di là della gestione delle emergenze e dunque di pianificare il futuro passando dall’attuale ibrido sistema comunitario a un sistema federale. 

È evidente che il passaggio dalla attuale Unione prevalentemente confederale a una comunità prevalentemente federale richieda una costituzione che, nella sua forma, deve essere un trattato internazionale ratificato dalle parti contraenti a meno che non si immagini che una parte degli Stati membri decida di promuovere l’elezione di una assemblea costituente, come è avvenuto in molti paesi europei per molte costituzioni nazionali, o per uscire dall’Unione o per creare quella che Jacques Delors chiamava con un ossimoro la «federazione degli stati nazione ». 

Il progetto Spinelli del 1984 era nella sua forma un trattato (anzi un progetto che il Parlamento europeo intendeva negoziare con i parlamenti nazionali) e nella sua sostanza una costituzione che sarebbe entrata in vigore a maggioranza super-qualificata. 

Riteniamo oggettivamente fuorviante il paragone con la nascita di altre federazioni come quella degli Stati Uniti d’America avvenuta in circostanze storiche, politiche, economiche, culturali e militari lontane anni luce e non solo più di due secoli dalla attuale Unione europea. 

C’è una differenza sostanziale fra un trattato internazionale di revisione del trattato di Lisbona attraverso una convenzione (dove i governi svolgono un ruolo preponderante e dove non c’è spazio per la democrazia partecipativa come avvenne nella Convenzione Giscard) – a cui segue una conferenza intergovernativa e ventisette ratifiche nazionali in tredici casi per referendum e in quattordici casi per decisione parlamentare – e un progetto di trattato-costituzione elaborato dal Parlamento europeo, discusso e negoziato con i parlamenti nazionali e dunque con le forze politiche di maggioranza e di opposizione nel quadro di un dialogo costante con la società civile e sottoposto infine a un referendum paneuropeo come fu proposto da una maggioranza di membri della Convenzione Giscard (con l’opposizione dei governi nazionali che confermarono così il loro ruolo d’interdizione determinante) e come è emerso dai lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa. 

Per giungere a questo risultato l’attuale Parlamento europeo dovrebbe abbandonare la strada tortuosa e inconcludente della convenzione e predisporre gli elementi politici essenziali di un futuro trattato-costituzionale da sottoporre a una conferenza interparlamentare e una sessione della conferenza sul futuro dell’Europa affinché diventi il tema centrale della prossima campagna elettorale europea in vista dell’avvio di un processo costituente.

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