Mare e torbaChe cosa significa essere una farm distillery

Il fascino dell’isola di Islay e delle sue produzioni torna alla ribalta. La storia di una distilleria che prova a riportare il whisky alle origini, per donarci un sorso dal sapore inconsueto

Anche solo pronunciare il suo nome correttamente è una sfida per tutti all’inizio. L’isola di Islay (che si legge senza far sentire la “S” come richiede la lingua anglosassone) è una piccola isola a ovest della costa scozzese, apparentemente poco interessante e invece culla di alcune delle produzioni di single malt più pregiate e conosciute al mondo. Insieme Highlands, Speyside, Islands, Campbeltown e Lowlands è una delle sei zone di produzione dello Scotch Whisky, ovvero quel liquido che viene prodotto, invecchiato per un minimo di tre anni e imbottigliato interamente in Scozia.

Data la sua posizione sul mare, particolarmente esposta al vento e alla salsedine, il carattere dei whisky di Islay è particolarmente pungente, sapido e quasi sempre torbato. un luogo di grande racconto, conoscenza, tradizioni che oggi vanta aziende storiche ormai strutturate e famose in tutto il mondo così come realtà più giovani, di dimensioni più contenute e con visioni particolarmente d’avanguardia. Oggi vogliamo raccontarvi la storia di Kilchoman Distillery, creata nel 2005 da Antohony Wills, la prima distilleria aperta nuovamente sull’isola dopo 124 di mancate nuove realtà.

Oltre ad essere una realtà ancora interamente gestita dalla famiglia Wills, in cui la moglie Kathy è la responsabile del visitor center e managing director e i tre figli a capo delle attività commerciali e di marketing, Kilchoman è una realtà unica nel suo genere. L’intuizione alla base è stata quella di concepire ogni stadio della produzione del whisky all’interno della distilleria, partendo dalla materia prima stessa: l’orzo. La proprietà è a tutti gli effetti quella che potremmo definire in modo innovativo una «farm distillery» in quanto comprende numerosi campi di coltivazione d’orzo, successivamente lavorato e processato. Un territorio come vi potete immaginare fatto di grandi prati verdi, greggi di pecore e aree scoscese, che circondano i 400acri coltivati ad orzo, coprendo circa il 30% del fabbisogno. Ogni acro di terreno porta in dote 2 tonnellate di orzo, da cui si riempiono 6 barili di distillato. La semina avviene ogni primavera, dopo la migrazione delle 50.000 oche che popolano l’isola, in modo tale che l’estate favorisca la crescita e si possa procedere al raccolto all’inizio dell’autunno. Curiosamente alla Rockside Farm hanno trovato accoglienza anche cinquanta capi bovini Aberdeen Angus e cinquecentoventi pecore Blackface, che si nutrono dei residui dell’orzo derivanti dalla produzione del whisky.

La possibilità di controllare la produzione dal chicco alla bottiglia non è solo un elemento di distinzione, ma sin dall’anno della sua fondazione, è stata la principale missione dell’azienda. La rinascita della tradizione agricola, la presa in carico di un territorio spesso non sfruttato correttamente e di conseguenza un generale maggior controllo sulla qualità e sul mantenimento della stessa grazie ad un processo totalmente internalizzato e completato in-situ. Quando diciotto anni fa parlare di microdistillerie sembrava follia, oggi questa scelta ha pagato positivamente e anzi, si è dovuti passare ad un ampliamento della capacità produttiva a 650mila litri alcol annui.Tutta la quota di orzo autoprodotto, che diventerà poi il whisky firmato Kilchoman 100% Islay, viene girato manualmente su pavimenti di maltazione interni, un processo che quasi tutte le distillerie scozzesi hanno ceduto a terzi con l’avvento della distillazione commerciale. L’orzo viene poi essiccato per 20 ore a un grado di torbatura media e dalle note tipiche di quest’isolana, ricca di elementi marini, che torneranno vigorosi nel bicchiere dopo tanti anni.

La fermentazione è molto lunga, con una media di 90 ore, e determina la formazione di un mosto fruttato e  definito burroso vista l’alta presenza di esteri e acido lattico, che viene poi distillato in due piccoli alambicchi con un alto grado di reflusso. Il risultato di questo prolungato contatto col rame degli alambicchi porta a un new make spirit pulito e fresco, dove terrosità, fumo, sentori salmastri e leggere note floreali. I barili in cui viene fatto maturare il liquidi sono botti ex-bourbon, in questo caso provenienti dalla distilleria Buffalo Trace, con la peculiarità di essere spediti interi e non smontati. Questo consente alle botti di mantenere tutte le loro caratteristiche espressive e aromatiche, garantendo un maggior passaggio di aromi tra legno e liquido. Chiaramente, anche il processo di imbottigliamento ed etichettatura viene svolto in distilleria, in modo tale che ogni passaggio possa essere controllato dalla casa madre, tanto per le linee principali di prodotto che per gli imbottigliamenti limitati e in edizione speciale.

A proposito delle gamme continuative, per Kilchoman si parla di Machir Bay, maturato in botti di sherry oloroso (15%) e bourbon (75%) con un finish assolutamente nel solco della tradizione dei scotch whisky torbati, particolarmente equilibrato, fresco e complesso. Diverso l’imbottigliamento Sanaig, dove il rapporto tra le botti risulta invertito e quindi la presenza più massiccia delle spezie, della citricità e dei frutti rossi dello sherry si sente particolarmente marcata. La gamma dei prodotti della distilleria è veramente molto varia, e per chi è interessato ad approfondire, potreste pensare di farlo organizzando direttamente un viaggio in Scozia, con una piccola deviazione verso il mondo degli spirits. La visita organizzata nella distilleria vi consentirò di toccare con mano, annusare, assaggiare, osservare le singole parti del processo di produzione e nello stesso tempo godere del contesto naturalistico particolarmente suggestivo e incontaminato.

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