Il 2022 stato un anno terribile per Netflix, da molti punti di vista. Ma per l’azienda, nel corso degli ultimi dodici mesi, è andato tutto piuttosto bene.
Se vi sentite confusi dalla logica di quanto appena letto, non temete: è normale provare questa forma di vertigine quando si osserva il settore dello streaming video nel corso del 2022. Un annus horribilis nel quale il titolo in borsa di Netflix ha perso circa il 48% del suo valore, tra licenziamenti di massa e un intensificarsi delle attività della concorrenza. Ma è stato anche l’anno del ritorno di Bridgerton, del successo di Inventing Anna; l’anno in cui Stranger Things ha fatto di “Running Up That Hill (A Deal with God)”, un brano del 1985, una hit globale; e poi la nuova stagione di The Crown, Ozark, il successo di Dahmer e di Mercoledì. Gli ultimi due, in particolare, hanno superato la quota del miliardo di ore di streaming, entrando nell’Olimpo del content virale.
Insomma, un’annata che sembrerebbe aver esaudito il sogno espresso recentemente dal ceo dell’azienda, Ted Sarandos, che ha detto di sognare una Netflix in grado di sfornare «uno Squid Game al mese», sottolineando come le hit globali in grado di catturare le attenzioni di un pubblico enorme siano il nuovo business model della società. Il problema di questo approccio è duplice: produrre Squid Game in serie è, oltre che costoso, molto difficile, perché la serie sudcoreana è stato un successo imprevisto – e imprevedibile. Come ha spiegato il responsabile delle serie originali Netflix per gli Stati Uniti, Peter Friedlander, al sito Vulture, Netflix sembra conscia del fatto che le «hit inattese potrebbero arrivare da qualunque parte». La soluzione è quindi «affidarsi a persone che pensiamo siano capaci di raccontare storie di qualità».
Nel 2022, Netflix ha annunciato anche la nascita di un piano d’abbonamento più economico, in parte supportato dalle pubblicità, rompendo un tabù per il servizio di streaming. Il tutto, mentre il consolidarsi e l’aumentare dei competitor ha cambiato drasticamente il panorama, oggi conteso da Amazon Prime Video (che ha superato gli abbonati di Netflix negli Stati Uniti) e Hbo Max, ma anche Disney+, Paramount+, Peacock e molti altri.
Partiamo dai primi due, accomunati da un successo fantasy ciascuno (rispettivamente Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere e House of the Dragon) ma anche dai budget che li ha resi possibile. Pare che Amazon abbia speso un miliardo di dollari per produrre e pubblicizzare la serie ispirata all’opera di Tolkien, con la benedizione dell’ex ceo Jeff Bezos, grande tolkeniano. E nemmeno Hbo ha badato a spese per dare seguito a Game of Thrones.
La ricerca delle hit equivale quasi inevitabilmente all’aumento delle spese di produzione, che a sua volta porta con sé un rischio sempre più alto. Di conseguenza, il mondo dello streaming ha lentamente imparato a tagliare i costi per limitare i danni. Dopo la cosiddetta “età dell’oro” in cui Netflix assicurava un minimo di due stagioni a serie – garantendo una continuità alle storie –, negli ultimi anni il servizio si è fatto riconoscere per cancellazioni indiscriminate, anche a prodotti di culto. Secondo il sito The Verge, l’effetto benefico della guerra dello streaming si sta esaurendo e l’attenzione ai costi sta intaccando anche uno dei punti di forza del settore: la varietà di contenuti.
Per questo motivo, Hbo Max, che presto si fonderà con Discovery, allargandosi a dismisura, ha annunciato di rimuovere film e serie – tra cui venti originali – «per risparmiare soldi in diritti e residual». Siamo all’austerity creativa, quindi, che andrà a colpire proprio le frange di nicchia e più periferiche della proposta di queste piattaforme: una politica resa necessaria proprio da questo nuovo focus sulle grandi hit in grado di ipnotizzare le attenzioni dei più per qualche settimana.
E siccome, lo ha confessato Friedlander stesso, prevedere uno Squid Game è di fatto impossibile, ai giganti dello streaming non resta che spendere sempre più soldi in grandi nomi e produzioni. E quindi si taglia dove si può, mentre l’idea di inserire una pubblicità qua e là fa gola a sempre più servizi di streaming, che ormai sembrano destinati a ricreare il vecchio ancien régime della tv via cavo. Questa volta, però, su internet. E su scala globale. È davvero finita un’età dell’oro.