Tutti conoscono I vestiti nuovi dell’imperatore: anche quelli cui il titolo non dice niente, anche quelli che non hanno mai sentito nominare Hans Christian Andersen, anche quelli che in vita loro non hanno mai detto che il re è nudo, ma l’hanno sentito dire.
Solo che, nell’Ottocento di Andersen, per dire che il re è nudo dovevi essere un bambino: innocente, senza contezza delle ipocrisie adulte, senza niente da perdere. Nel ventunesimo secolo, per dire che il re è nudo devi essere l’unica categoria cui i giustizieri social non possano far perdere granché: miliardario (o almeno molto milionario).
Devi avere le spalle così larghe che nessuna richiesta della tua testa servirà a niente, che l’isteria collettiva di fronte a qualche dato di realtà che l’opinionismo socialmente accettabile ha deciso di rimuovere ti farà il solletico, invece di spaventarti e farti ritrarre dall’agone pensando sennò perdo copie vendute, sennò mi licenziano, sennò le persone perbene non mi cuoricinano più.
Qualche settimana fa J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, ha risposto al tweet d’una carneade. J.K. Rowling è stata, negli ultimi anni, trattata in modi che verranno studiati nei libri di storia quando il sessismo tornerà a essere un tema di studio e non una barzelletta, e il tutto per aver detto sconcezze inaccettabili. Del tipo: un giornale fa un titolo sulla salute femminile chiamandoci «menstruators», e la Rowling s’incomoda a precisare che veramente ci chiamiamo women. L’isteria collettiva decide che Rowling è una terf, acronimo (dell’inglese per «femminista transescludente») che viene usato con l’accuratezza di «fascista» e «radical chic»: epiteti preferiti dei dialetticamente inattrezzati.
Quindi il 13 ottobre la carneade twitta questo: «Come fai a dormire la notte sapendo che ti sei giocata tutto il pubblico che comprava i tuoi libri». Rowling – il cui patrimonio nel 2021 è stato valutato in 820 milioni di sterline, in crescita, dato che Harry Potter continua a vendere e lei ha pure l’ardire di pubblicare nuovi bestseller – risponde così: «Leggo i più recenti accrediti che mi sono arrivati per i diritti d’autore e il dolore sparisce rapidamente». Noialtri che per dormire contiamo le pecorelle invece che gli incassi non possiamo che morire d’invidia.
Ecco, Rowling è nella posizione di fregarsene se le chattering classes non la stimano, così come lo è Dave Chappelle, i cui monologhi hanno un tale successo che persino una cattedrale della suscettibilità quale Netflix, dovendo scegliere tra lui e le proteste degli impiegati trans, sceglie lui. Così come lo sono Fiorello o Zalone, ormai gli unici due italiani che possano concedersi il lusso di far ridere: se i suscettibili si suscettibilizzano perché quelli fanno battutacce, la committenza se ne fotte, considerato quanti milioni di share da offrire agli inserzionisti ne ricava.
E poi c’è Elon. Elon Musk è il bambino dei Vestiti nuovi dell’imperatore in purezza. Diversamente da quelli fin qui elencati, Elon Musk non ha bisogno d’un pubblico per il suo ingegno e il suo umorismo. È l’industriale d’un mondo in cui l’industria non esiste praticamente più; sì, fa le macchine, ma prima di quelle faceva PayPal: c’è qualcosa di più immateriale? Elon progetta viaggi nello spazio, Elon figlia con tutte quelle che si trova davanti, Elon è evidentemente matto ma è troppo ricco perché qualcuno gli faccia un tso. Elon è la casa delle libertà di sé stesso: fa un po’ come cazzo gli pare.
Adesso ha comprato Twitter, piattaforma che si è istantaneamente riempita di tutte le Francesca Michielin d’America: tutti pronti a fare la resistenza per difendere il diritto di scrivere i loro penzierini su una piattaforma che sia di proprietà di uno che piace a loro. Alcuni se ne sono andati immediatamente, come Brian Koppelman, sceneggiatore di Billions, che ora i suoi penzierini li mette su Instagram (di proprietà di Mark Zuckerberg, che è altrettanto miliardario e quindi fa altrettanto come gli pare, ma in maniera meno esibizionista).
Altri restano e lo rimproverano, tra cui Jimmy Kimmel, indignato perché Elon ha detto l’indicibile: che la storia del marito di Nancy Pelosi, agli arresti domiciliari per guida in stato d’ubriachezza e aggredito in casa sua da un nudista (?) armato con un’ascia (??), non può essere andata come viene raccontata. Certo che tutti si saranno detti, nelle loro chat private, che quella è plausibilmente una storia di marchette andata storta, ma queste cose in pubblico non si dicono. Se le dici, sei repubblicano, cioè impresentabile.
Elon Musk se n’è fottuto, ha linkato un articolo d’un giornale impresentabile che segnalava le incongruenze nella versione ufficiale e ricostruiva fantasiosamente i fatti, e le chattering classes si sono preoccupate tantissimo: oddio, in mano a questo scriteriato Twitter diventerà un coacervo di complottismi.
«Complottismo» è come «terf»: la parola con cui zittisci un ragionamento che non segue la liturgia alla quale sei fedele, un ragionamento al quale non sai contrapporre un ragionamento. È, tra l’altro, una definizione che può slittare nel tempo. Nel caso della vicenda Rogati/Richetti, il primo giorno eri complottista se dicevi che i messaggi del senatore erano falsificati, il secondo giorno eri complottista se li prendevi per veri, il terzo per essere complottista dovevi come minimo teorizzare che a far pubblicare i messaggi falsi fosse stato un avversario politico. Se il Watergate accadesse oggi, chissà quanti giorni ci metterebbero Woodward e Bernstein a passare da «complottisti» a «santi subito».
Il problema delle anime belle che pensano che una piattaforma gratuita possa essere un luogo di informazioni verificate è che, diversamente da Elon Musk o dalla Rowling, le anime belle se dicono la verità perdono pubblico. Giacché la verità è: la gente è scema. Lo è sempre stata. Quando non credeva a Twitter, credeva a suo cugino che ha incontrato Jim Morrison che è ancora vivo e ha una bancarella a Porta Portese, alla vicina di posto dal parrucchiere che sa per certo che Gianni Agnelli ha un figlio segreto, alla figlia sedicenne secondo cui il sesso biologico non esiste.
E, se c’è uno cui non frega niente se gli scemi credono alle scemenze, è quello che può permettersi di fregarsene pure delle scemenze cui credono gli intelligenti: Elon Musk.
Elon Musk che disprezza noialtri che giochiamo col giocattolo che ha acquistato, ma più ancora disprezza quelli che lo prendono sul serio, il giocattolone.
Cosa credete sia l’intenzione annunciata ieri, quella di chiedervi di pagare venti dollari al mese se volete l’account verificato: bisogno di spicci? Macché: è Elon Musk, abbastanza ricco e famoso da potersi permettere di non essere affezionato alla propria presenza social, che vi dice voglio vedere se siete così scemi da pagare per dimostrare al mondo che siete persone importanti con l’account ufficiale. Voglio proprio vedere se il re è così fesso da denudarsi a richiesta del primo bambino miliardario che passa.