La sfida industriale tra Europa e Stati Uniti è il principale argomento di discussione al World Economic Forum di Davos. Nell’intervento di ieri, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha parlato della risposta all’Inflation Reduction Act, il protezionistico piano di Joe Biden da 369 miliardi di dollari che sta causando enorme irritazione nel Vecchio Continente. Von der Leyen ha promesso un Net-Zero Industry Act, un «piano industriale “Green deal” per rendere l’Europa la patria della tecnologia pulita e dell’innovazione industriale sulla strada dell’azzeramento delle emissioni», che potrà essere finanziato con un fondo sovrano europeo e con un allentamento delle regole sugli aiuti di Stato.
Bruxelles, ha spiegato Von der Leyen, punta ad «aiuti mirati» in alcuni settori «puliti» per «controbilanciare i rischi di delocalizzazione che giungono da sussidi stranieri», con un riferimento esplicito agli sgravi fiscali americani. Ma la strategia guarda anche alla Cina: bisogna usare «tutti i mezzi a disposizione per limitare le sue pratiche sleali». La stessa presidente della Commissione ha ammesso che «solo pochi Paesi membri» potranno permettersi di derogare agli aiuti di Stato per investire miliardi sull’industria green. E dunque Bruxelles propone per tutti gli altri un fondo sovrano ritagliato dal bilancio europeo.
Ma per il presidente di Confindustria Carlo Bonomi non basta. Servono anzitutto gli eurobond, dice a Repubblica. «Stati Uniti e Cina non stanno cambiando le regole del gioco: stanno cambiando il gioco», commenta dopo l’intervento di Von der Leyen. L’Inflation reduction act di Biden «è un provvedimento che riguarda la competitività», spiega. «È una spinta trasversale che riguarda tutti i temi e tutte le filiere. E in risposta, Ursula von der Leyen ha rilanciato ieri un’idea di Confindustria».
Ovvero quella di un fondo sovrano europeo, che però – secondo Bonomi – «è solo green, invece dovrebbe tenere tutto a 360 gradi. Inoltre non possiamo affrontarlo con l’uso di strumenti come gli aiuti di Stato. Favoriscono solo i Paesi che hanno spazi di manovra fiscale». Tipo la Germania. «Nel 2022 gli aiuti di Stato autorizzati dall’Unione europea sono stati 540 miliardi. Ma il 49,3%, quasi la metà, li ha utilizzati la Germania. Il 29,9% la Francia. L’Italia il 4,7%. Ci vuole un intervento europeo comune e trasversale a tutte le filiere. Solo così le risorse diventano adeguate e non si rompe il mercato unico».
Ma in che modo si può finanziarie un intervento di questo tipo? Per Bonomi la risposta sono gli «eurobond. E dobbiamo avere un fondo sovrano che si occupi delle terre rare, per esempio. La reale sfida che abbiamo di fronte non è tanto l’autonomia differenziata quanto invece l’autonomia industriale europea. Noi non abbiamo le materie prime e gli Usa e la Cina fanno la corsa per accaparrarsene la proprietà. Il fondo sovrano deve servire anche a comprarle». La nostra, aggiunge, «è un’industria di trasformazione, non possiamo permetterci battaglie protezionistiche, a maggior ragione in Italia. A ogni crisi noi abbiamo retto gli impatti economici grazie all’export. Se cade quella componente, crolliamo. Non ci dobbiamo focalizzare sui protezionismi americani ma su come fare l’Industria 5.0 in Europa».
Bonomi critica però l’assenza del governo italiano a Davos: «Immagino ci siano importanti dossier da sbrigare a Roma. Ma forse qualche spunto di riflessione si può cogliere nei numeri: 52 capi di Stato, 370 ministri, 600 amministratori delegati da tutto il mondo. Io sono arrivato qui perché mi confronto con colleghi e omologhi di tutti i Paesi sulle prospettive dei prossimi mesi. A Stoccolma a novembre con le 40 Confindustrie europee unite abbiamo detto alla politica che bisogna convergere sulla sfida della competitività: nessuno può vincere da solo».
Il presidente di Confindustria parla anche delle prossime scelte della Bce sui tassi, mentre oggi a Davos è attesa la presidente Christine Lagarde. «C’è una narrazione che non mi convince molto. Abbiamo un’inflazione importata e sfalsata rispetto alla media Ue. Prima era più bassa, ora è più alta. Ma se guardiamo alla sua composizione e tempistica con il prezzo attuale del gas che è sceso molto, nel secondo semestre e in particolare a partire da settembre l’inflazione dovrebbe scendere significativamente in Italia. Fino a dimezzarsi, al 5-6%». Quindi? «Il problema non è la Bce. Il tasso è al 2,5%. Onestamente: può essere un problema per l’economia? Il problema vero non è forse che per tanti anni abbiamo avuto i tassi negativi e avremmo dovuto riconfigurare la spesa pubblica e ridurre il debito? Negli ultimi undici anni il nostro debito è passato da 1.900 a 2.800 miliardi e nel frattempo abbiamo raddoppiato la spesa sociale. Ma anche il numero dei poveri. “Colpa dell’Europa”? Non direi».
Bisogna tagliare il debito. Ma come? «Abbiamo 1.100 miliardi di spesa pubblica. Possiamo riconfigurare il 4-5%. Abbiamo 3.900 partecipate pubbliche, un terzo delle quali in perdita. Può capitare. Ma 1.200 hanno più consiglieri di amministrazione che dipendenti. Possiamo pensare di rivedere quella spesa. C’era bisogno della flat tax, di fare un forfait che penalizza i dipendenti e costa 1,2 miliardi? Quella flat tax non crea crescita. Posso continuare a lungo, mi fermo a questi due esempi».