Si chiama Sabato De Sarno, ed è il nuovo direttore creativo di Gucci: con questa inaspettata notizia, sono stati buttati giù dal letto gli addetti ai lavori del mondo della moda. Preparati a concedersi un sonnacchioso weekend – sacrosanto dopo la Fashion week dedicata all’uomo e alla couture, preparazione atletica per la settimana della moda dedicata alla donna, in arrivo a Milano, dal 21 al 27 febbraio – ci si è ritrovati invece svegliati dagli alert delle news del cellulare, dai comunicati stampa condivisi e congiunti, travolti dalla necessità impellente di non farsi superare dai concorrenti nell’indicizzazione di Google, per condividere con il proprio pubblico la novità più attesa.
Una notizia accolta, dalla stampa di settore, con unilaterale e autentico entusiasmo, ma anche con profluvio di storie nelle quali si taggava il novello creative director – che fino al giorno prima coltivava l’elegante discrezione del profilo privato – congratulandosi per la nomina e assicurando che «sì, siamo amici da sempre». La celebrità in fondo, può arrivare anche per prossimità, e, al netto della modernità dei mezzi, l’Italia conserva gelosamente un animo provinciale, che opera per quartieri, o come in questo caso per microcosmi dove tutti si seguono (su Instagram), ma nessuno si conosce davvero.
De Sarno, cortesemente, ha “ripostato” tutti coloro che hanno condiviso gli auguri per il nuovo corso del brand. Napoletano, con un cv che inanella tutta la storia della moda italiana, tra antitesi e ossimori (Prada, Dolce e Gabbana e dal 2009 Valentino, per il quale era fino a settimana scorsa fashion director delle linee uomo e donna), il trentanovenne campano sale così sullo scranno che negli ultimi due mesi – esattamente dalla dipartita improvvisa di Alessandro Michele – aveva causato abbondanti speculazioni e fiumi d’inchiostro sulla difficile sostituzione di un uomo, Michele, che era diventato sinonimo inscindibile del brand che aveva (re) immaginato e portato ad un successo planetario.
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Tra i “rumors” più accreditati, i ben informati – che a ben guardarli, informati non lo erano molto – davano in arrivo Maria Grazia Chiuri, salda invece alla direzione creativa dell’abbigliamento donna di Dior, artefice di un miracolo economico, e unico grande nome forse capace di raggiungere quei quindici miliardi di fatturato annuo, ormai ambizione dichiarata del gruppo Kering (ad oggi Gucci, uno dei brand all’interno del conglomerato, conta per i due terzi del fatturato, avendo raggranellato nel 2022 più di dieci miliardi di utile, su un totale di diciassette).
I più concettuali erano invece in quota JW Anderson, l’eclettico inglese le cui sfilate per il brand omonimo (è anche direttore creativo del brand spagnolo Loewe) assomigliano più a delle ironiche performance d’arte contemporanea dell’ala Cattelan. De Sarno, invece, non era nei radar dei connoisseur, nonostante il suo ruolo di braccio destro di Pierpaolo Piccioli da Maison Valentino, casa di moda riuscita nel miracolo di trasportarsi nella modernità, lasciando indietro un concetto elitista di eleganza, legato a principesse e ambasciatrici del buon gusto globale (vedasi alla voce Audrey Hepburn). E senza perdere in fascinazione collettiva, aspirazione, potenza immaginifica.
Una potenza mostrata di recente nella collezione haute couture di Maison Valentino, andata in scena sotto il Pont Alexandre III, uscendo dai palazzi e dirigendosi probabilmente in un club, dove miscelare e contaminare sogni, tessuti e fluidi corporei. «Sono profondamente onorato di assumere il ruolo di Direttore Creativo di Gucci», afferma De Sarno. «Sono orgoglioso di entrare a far parte di una Maison con una storia e un patrimonio straordinari, che nel corso degli anni ha saputo accogliere e custodire valori in cui credo. Sono emozionato ed entusiasta di dare il mio contributo al brand attraverso la mia visione creativa».
Dichiarazioni cariche di positività, rafforzate anche dalle parole del presidente e ceo del gruppo François-Henri Pinault: «Centodue anni dopo che Guccio Gucci aprì il suo primo negozio a Firenze, Gucci continua ad essere una delle case di lusso più iconiche, importanti e influenti al mondo. Con Sabato De Sarno alla guida creativa, siamo certi che la Maison continuerà a influenzare la moda e la cultura attraverso prodotti e collezioni altamente desiderabili e a contribuire con una prospettiva unica e contemporanea al lusso moderno».
Così il gruppo Kering esce, con una mossa a sorpresa, da due mesi di incertezze: un interregno nel quale la direzione creativa è stata affidata all’ufficio stile interno – con una sfilata maschile che ha notevolmente abbassato i toni dell’eclettismo, firma di Michele, ripulendo probabilmente la tela, per far spazio all’intervento futuro di De Sarno, che presenterà la sua prima collezione a settembre. È stata una sfilata sottotono, quella dedicata alla collezione uomo, accolta dalla stampa di settore con reazioni tiepide, ma comprensive del momento e della necessità di liberarsi dell’eredità creativa di Michele.
Una scelta che sconfessa le previsioni di chi puntava sul nome stellare, sul designer dal successo già comprovato (strategia usata spesso dall’altro gruppo del lusso, l’LVMH di Arnault) per favorire un ricambio generazionale, trasformando gli eterni secondi nei nuovi numeri primi. Una tattica che si era già dimostrata vincente quasi otto anni fa, quando fu Alessandro Michele, già da più di dieci anni nel brand, ad essere scelto per succedere alla designer Frida Giannini, rivoluzionando l’universo creativo di Gucci, e tramutandolo in un mondo parallelo dove la diversità è celebrata e la difformità rispetto alle leggi prescritte è sublimata in collezioni che mischiano il glam degli anni Settanta e una Roma metamorfica, eterna. Ma mai uguale a se stessa.
Una tattica, quella di Kering, che ha permesso lo sviluppo di figure non solo creative, ma anche autoriali, come Demna Gvasalia da Balenciaga o Anthony Vaccarello da Saint Laurent, altri due brand di proprietà del gruppo. La strategia, di certo, non è esente dai rischi – come nel caso della dipartita intempestiva di Daniel Lee da Bottega Veneta, pratica liquidata con un comunicato sbrigativo e mai più affrontata – e pone ogni manager di fronte all’ardua scelta tra la rilevanza, spesso regalata da figure anagraficamente più giovani e abituate a tenere il polso della contemporaneità, e la sicurezza del profitto. Da Kering sembrano aver scelto, ancora, la prima. Regalandoci non un sabato qualunque, ma di certo un Sabato italiano.