Tutto il pianeta è paeseLe città sono le nuove protagoniste della lotta al cambiamento climatico

Sono oltre diecimila i centri urbani impegnati ad avere un impatto minore sulla Terra, impegnandosi spesso più dei loro Stati

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 55 di We – World Energy, il magazine di Eni

Dopo la fallimentare Cop27 di Sharm El Sheikh c’è una concreta possibilità che la leadership dell’impegno per la sostenibilità ambientale passi sulle spalle delle città, e non solo delle grandi megalopoli, visto che, ad oggi, oltre diecimila centri urbani sono impegnati in progetti ambientali di mitigazione, adattamento e lotta ai cambiamenti climatici.

I numeri dell’urbanizzazione
Il fatto che le città possano e debbano svolgere un ruolo sempre più centrale su questa come su altre questioni è già nei dati numerici (gli ultimi sono riferiti al 2018): il 55 percento della popolazione (oltre 4,3 miliardi) vive ormai in aree urbane contro il 45 percento (3,4 miliardi) in zone rurali e la previsione per il 2050 è che nelle aree urbane si arriverà a concentrare il 68 percento di abitanti, con un incremento pari al 90 percento rispetto alla situazione attuale in Africa ed in Asia. Più nel dettaglio, nelle megacity, ovvero città-metropoli con più di 10 milioni di abitanti, troviamo 529 milioni di persone, pari al 12,5 percento del totale; mentre nelle città sotto i trecentomila abitanti troviamo ben 1 miliardo e 800 milioni di persone, ovvero il 41,5 percento della popolazione mondiale.

Cuore pulsante dell’economia, le città sono diventate anche il punto nevralgico della produzione di gas a effetto serra con le loro necessità energetiche, il riscaldamento ed il raffreddamento, i problemi di mobilità privata e pubblica, solo per citare alcuni dei settori di base dove si sviluppa e si svilupperà ancor più in futuro la battaglia del “clima e della biodiversità”.

La rete di alleanze
Con minori problemi geopolitici degli Stati, le città hanno potuto costruire piani ambientali ed energetici, testarne la bontà, comparare gli effetti e creare alleanze interstatali o interregionali e transfrontaliere, come la C40, una rete globale che opera per sviluppare e implementare politiche e programmi volti alla riduzione dell’emissione di gas serra e dei danni e dei rischi ambientali causati dai cambiamenti climatici, con sede a Londra.

Già nel 2006 avevano aderito alla rete 40 città (da ciò il nome dell’organizzazione), che oggi sono arrivate quasi a 100. L’impegno delle città nella transizione ecologica e digitale sta assumendo un alto valore “simbolico” (coi rischi connessi, certo, anche di propaganda), utilizzando ogni occasione culturale o sportiva per proporre, realizzare, stimare e “vendere”, un approccio climatico o una realizzazione tecnologica, Olimpiadi in primo piano: vedi alla voce “Parigi 2024”.

Così tra il quinto ed il sesto rapporto IPCC, l’istituto ed il panel di scienziati che assiste le Nazioni Unite nella comprensione semestrale dello stato dell’arte della sfida climatica e che ad aprile 2022 aveva consegnato il rapporto definitivo in vista della COP 27, il ruolo delle città è talmente cresciuto da aver portato ad un capitolo intero – l’ottavo – dedicato alla lotta alle alterazioni climatiche attraverso il riequilibrio, lo sviluppo sostenibile e l’adattamento delle città. Tenendo anche nel debito conto che stiamo parlando di campagne per una alleanza climatica positiva che si svolgeranno soprattutto laddove il fenomeno della urbanizzazione è destinato ad esplodere, ovvero in Africa ed in Asia, dove la richiesta di energia vecchia o rinnovabile è maggiore e dove i fenomeni di cambiamento climatico rischiano di essere associati a vere e proprie catastrofi non solo ambientali ma sociali ed umane.

Secondo il rapporto dell’IPCC adottato dalle Nazioni Unite il ruolo delle città potrà essere fondamentale: esse dovranno infatti sperimentare il riadattamento dei vecchi edifici costruiti con materiali e tecniche del passato, accanto alla scelta di materiali e tecnologie, nuovi ma inediti, per le nuove -necessarie- abitazioni; garantire più trasporto pubblico a tutti per far diminuire la mobilità privata, innovando i materiali di combustione e le tecnologie dei mezzi pubblici, in un mix di “pubblico” e “privato” che nelle città, rispetto agli Stati Nazionali, assume una dimensione di scelta meno ideologica e più pragmatica; e soprattutto dovranno vivere una dimensione diversa, si può dire anche storica, col territorio su cui è nata e si è insediata, talvolta in secoli e secoli di storia, la città del 21° secolo.

Fondamentale saranno l’uso della terra e della superficie urbana, la “densità” degli insediamenti, le politiche di “ricentramento” dei quartieri con politiche specifiche per un uso efficiente del tempo e dello spazio da parte dei cittadini che lo abitano, perché meno tempo per andare e tornare dal lavoro, da scuola o per la ricerca di un certificato, significano anche con minore energia sprecata, in tutti i sensi. Non stiamo parlando solo di “vetrine” come la Parigi in marcia verso le Olimpiadi 2024 per l’appunto, e sia chiaro, con “vetrine” intendiamo occasioni di presentazione, perché la Ville Lumière ha effettivamente intrapreso da più di qualche anno una strada di cambiamento, soprattutto nel campo della mobilità urbana e dell’ambiente.

Investire di più
Consideriamo che solo nell’ Unione Europea ci sono 855 piani cittadini che mettono assieme “mitigation” e “adaptation”, anche se va detto che per lo più hanno come protagonisti assetti e strutture di diretta derivazione municipale. Bisognerebbe investire di più sulla partecipazione diretta ed indiretta dei cittadini; di più sulle città di Africa ed Asia, che, come abbiamo visto, saranno il boom urbanistico e demografico del 21° e 22 °secolo, anche se la cifra attualmente presa in considerazione dall’ IPCC per investimenti in questo settore nelle città, e che si aggira per ora sui 384 miliardi di dollari, viene considerata dagli scienziati del “panel” Onusiano appena il 10 percento di quanto servirebbe per un apporto decisivo delle città alla lotta per uno sviluppo ambientalmente sostenibile tra la metà del nostro secolo e l’inizio del nuovo.

Non ci si può però davvero lamentare dell’impegno corale delle città. Sarà che non hanno avuto una mediatizzazione immediata ed una repentina delusione come le COP di questi anni; o forse semplicemente che nelle città nel bene e nel male, i cittadini investono più impegno e più attenzione quotidiana; oppure come spiegano alcuni specialisti che nelle aree urbane il concorso di diverse forme di impegno: sostenibilità, mitigazione degli effetti e adattamento combinati assieme, riescono a produrre effetti di “cascata” nei risultati, che producono uno slittamento positivo e maggiormente effettivo.

Di fatto mentre i riflettori sulle COP si accendono e si spengono in pochi giorni, la lotta per un ambiente, un clima e relazioni sociali diverse, si combatte ogni giorno in ognuna delle grandi e piccole città del Pianeta ed i suoi abitanti sono allo stesso tempo testimoni e protagonisti. E nel 2023 noi immaginiamo che questo accadrà in misura molto più evidente del passato.

Roberto di Giovan Paolo è un giornalista. ha collaborato, tra gli altri, con Ansa, Avvenire e Famiglia Cristiana. È stato segretario generale dell’Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. È docente presso l’Università degli studi internazionali di Roma.

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