Quella del vertice europeo straordinario del 9 febbraio, conclusosi a tarda notte, per Giorgia Meloni è stata una giornata da dimenticare. Segnata dalle dichiarazioni rilasciate al mattino dalla presidente del Consiglio contro il leader francese Emmanuel Macron, reo di aver invitato Zelensky. Il bilaterale con il presidente ucraino dura pochi minuti, ma con il presidente francese non c’è stato nessun incontro.
Come scrivono Repubblica e anche La Stampa, quella vissuta da Giorgia Meloni a Bruxelles non è soltanto una disfatta diplomatica. È la minaccia di cambiare pelle, rinnegando il percorso di “normalizzazione” intrapreso prima di vincere le elezioni e tornare all’antico, riscoprendo sintonie antiche tra sovranisti.
«Io non sono un tecnico, io non sono Draghi. Io sono stata votata e faccio quello per cui mi hanno scelto gli italiani», ripete ai suoi interlocutori. Tutto è studiato, condiviso con i collaboratori più ristretti e con lo staff diplomatico. Parte di una strategia che prevede anche un incontro a tre, prima dell’inizio del Consiglio europeo. Un vertice che riapre le porte dell’esclusivo club sovranista di Visegrad.
La strategia sarebbe quella di convogliare sui migranti il blocco di Paesi dell’Est, giocando soprattutto di sponda con Varsavia. Meloni sente Matteo Salvini. Esclusa da Macron, decide di incontrare a margine del Consiglio il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e il ceco Petr Fiala. Sono i due leader conservatori. E rappresentano il piano B, la soluzione d’emergenza che Palazzo Chigi potrebbe attivare per uscire dall’angolo nel quale l’Eliseo ha cacciato il governo italiano. Incontrandoli, la presidente del Consiglio invia un messaggio chiaro a Bruxelles: Parigi e Berlino pensano di escluderci, ma noi siamo in grado di frenare ogni possibile intesa. Dilatando i tempi dei dossier più delicati, complicando il percorso dell’Unione.
La famiglia di Visegrad non è al completo. Manca Viktor Orban. La guerra di invasione russa ha separato le loro strade: l’attrazione dell’autocrate di Budapest verso Vladimir Putin è insostenibile. Meloni è la leader dei conservatori europei, e ha un peso politico crescente che Morawiecki e Fiala vogliono e possono sfruttare in Consiglio. L’orizzonte sono le Europee del 2024, quando – sono convinti – gli equilibri in Europa potrebbero cambiare, a favore della destra. Si accordano di «allineare le posizioni», soprattutto sul tema dei migranti, tema che lacera l’Unione.
Non è soltanto la partita sugli aiuti di Stato, destinata a finire sul tavolo del Consiglio di marzo. La ritorsione potrebbe consumarsi anche sul pacchetto dedicato ai migranti. E, soprattutto, sulla riforma del Patto di stabilità, che è in cima alle preoccupazioni di Parigi. E poi, naturalmente, ci sono le sfide industriali che intrecciano gli interessi italiani a quelli francesi e tedeschi.
Il prezzo potrebbe essere altissimo, visto quanto Roma è esposta sul Pnrr e il debito pubblico. Ma la presidente inizia a convincersi che senza alzare i toni, senza mostrare il volto feroce della destra, senza una discontinuità con l’epoca dell’ex banchiere centrale Mario Draghi, il suo governo potrebbe finire molto presto nel pantano.