Un futuro garantista dietro le spalleNella decisione su Cospito, Nordio dimostra che uno il coraggio non se lo può dare

Il ministro della Giustizia sapeva di essere l’unico a poter cambiare la natura del problema che l’anarchico al 41-bis rappresenta. Ma non se l’è sentita: non valeva il sacrificio della sua carriera ministeriale agli esordi

Penso che non vi sia nessuno, né tra gli estimatori né tra gli spregiatori, che, conoscendo Carlo Nordio, si stupisca della sua decisione sull’istanza di revoca del 41-bis presentata dai legali di Alfredo Cospito. Non stupisce il cosa né, tantomeno, il perché di una decisione che rimanda la palla nel campo giudiziario e giustifica il diniego in base ai pareri espressi in modo convergente – assicurano da via Arenula – sia dalla procura nazionale antimafia che da quella generale torinese.

Le esigenze di sicurezza confermano dunque, per il Guardasigilli, la necessità di un regime particolarmente restrittivo nei confronti di un detenuto in grado di fomentare le violenze della galassia anarchica.

Non pare suscitare alcun imbarazzo la circostanza che questa attività di alto coordinamento eversivo, stando a quanto deciso dalla ministra Marta Cartabia nel maggio scorso, sia stata svolta per anni da Cospito, detenuto all’alta sicurezza, anche con una intensa attività pubblicistica, passata alla censura della corrispondenza carceraria. Come a dire che il 41-bis non è tanto una extrema ratio contro la pervicacia criminale dei detenuti, quanto contro l’inefficienza dei regimi ordinari di detenzione.

Se neppure nel girone penitenziario immediatamente precedente al Cocito del 41-bis è possibile impedire che un detenuto mandi per posta dispacci rivoluzionari, allora tanto varrebbe stoccare tutti i novemila e rotti detenuti dell’alta sicurezza al 41-bis, giusto per levarsi il pensiero, no?

A giocare contro Cospito, nella decisione di Nordio, non è stato solo il suo significativo curriculum criminale, la sua influenza ideologica e la sua sfida alle istituzioni, con uno sciopero della fame che ha reso la sua protesta tanto notiziabile, quanto irricevibile da una politica, cui non sembrava vero di lavarsene le mani ostentando fermezza contro «il ricatto».

A giocare contro Cospito è stato in primo luogo quello che Nordio soggettivamente e oggettivamente è: un giurista indipendente e un politico gregario, un intellettuale audace e un ministro corrivo, un garantista del giorno prima, o del giorno dopo, ma molto raramente del giorno giusto.

Nordio sapeva di essere l’unico e l’ultimo – l’udienza in Cassazione del 24 febbraio è lontana – a potere non risolvere, ma almeno cambiare la natura del problema che Cospito rappresenta, a parte Cospito stesso. Non più una alternativa tra la vita e la morte, ma tra una applicazione laicamente ragionevole e una ideologicamente settaria del regime carcerario speciale, in un caso peraltro molto particolare.

Nordio sapeva inoltre perfettamente che non avrebbe potuto affrontare il caso Cospito, anche senza discutere del 41-bis in sé, senza subire gli attacchi e le ritorsioni di quanti, nel suo campo e pure in quello avversario, hanno trasformato un istituto eccezionale e temporaneo nel fondamento stesso della costituzione materiale della giustizia italiana e nell’inamovibile pietra di confine tra la legalità repubblicana e la barbarie criminale.

Dietro la difesa a prescindere del 41-bis, e soprattutto di quel che è diventato per via burocratico-amministrativa, come ha bene spiegato Cataldo Intrieri, ormai non c’è più neppure il calcolo opportunistico su quanto frutti – in dissociazioni, collaborazioni e “pentimenti” – tutta questa vessazione. C’è semplicemente un feticcio di pena e di giustizia, divenuto un passepartout etico-politico bipartisan. Le accuse reciproche di destra e sinistra sul 41-bis, nella loro perfetta specularità, sono esemplari di quella – per usare un gergo scarpinatesco – “indicibilità” delle questioni di giustizia fuori da questa idolatria necessaria e imposta al vitello d’oro del carcere duro, che più duro non si può, ma magari si potesse.

Di fronte a tutto questo, Nordio non se l’è sentita. Semplicemente, non ha trovato il coraggio, che non ci si può dare se non lo si ha, né si può trovare, se neppure lo si cerca. E magari si sarà pure giustificato pensando che Cospito, così lontano dal coté socio-culturale della destra, non valeva il sacrificio della sua carriera ministeriale agli esordi e del suo splendido futuro garantista dietro le spalle.

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