Il cameratismo è più forte delle senso delle istituzioni. Nessuno di Fratelli d’Italia ha preso le distanze da Giovanni Donzelli, dall’accusa lanciata al Partito democratico di volere togliere il carcere duro non solo all’anarchico Cospito ma anche a mafiosi, camorristi e ’ndranghetisti.
Olio bollente su avversari politici che sono considerati nemici da annientare, usando informazioni riservate, «sensibili» (così li ha definite il ministro della Giustizia Nordio). La Stampa ha rivelato che il Dipartimento amministrazione penitenziaria le ha fornite ad Andrea Delmastro, su sua richiesta, con l’avvertenza di non diffonderle. Il Dap si è fidato del sottosegretario con la delega agli istituti di pena, specificando che si tratta di «dati non divulgabili e non cedibili a terzi, pur non essendo secretati». Materiale per la procura di Roma che indaga per violazione del segreto d’ufficio.
Un colpo di scena. C’è stata dunque una richiesta esplicita al Dap da parte di Delmastro, che ha spifferato tutto al compagno di partito. Ma tutti difendono Donzelli, anche la presidente del Consiglio nonostante sia furiosa per le modalità dello show in Parlamento, per l’eccesso di zelo che ci ha messo il suo amico toscano. Però non si pronuncia nel merito, se ne tiene alla larga perché mettere fuori gioco il coordinatore nazionale del suo partito, proprio in piena campagna elettorale per le regionali, sarebbe controproducente. Dovrebbe costringerlo a lasciare la vicepresidenza del Copasir, altro luogo dove i componenti sono a conoscenza di informazioni ancora più sensibili.
Meloni però deve serrare i ranghi, ben sapendo che Donzelli ha sbagliato. E a dirlo è lo stesso Delmastro. Ci aspettavamo che smentisse il colloquio con il Foglio nel quale afferma che «Giovanni (il suo coinquilino ndr) ha sbagliato perché non doveva usare quell’informativa». Ma lui è un soldato: «Prima sono un uomo, poi sono un sottosegretario. Io non mollo gli amici, pubblicamente li difendo sempre. Quando è scoppiato il casino ho tirato fuori il mio petto». Un vero uomo di Stato.
Ora Delmastro dice che potrebbe lasciare l’abitazione che condivide con Donzelli. Forse vuole evitare di essere preso in giro, come ha fatto Matteo Renzi. Per l’ex presidente del Consiglio, il sottosegretario e il vicepresidente del Copasir hanno scambiato la Camera per la loro “cameretta”, il tinello di casa dove scambiarsi certe informazioni.
È fin troppo chiaro che siamo di fronte a esponenti politici non all’altezza dei delicati compiti istituzionali ai quali sono stati chiamati. In molti si aspettavano e credevano o volevano credere che una volta al governo tutta la destra d’opposizione assumesse la caratura e non solo la postura di una destra istituzionale, matura, europea.
È una parte politica che ha sempre coltivato un certo senso dello Stato inteso come forza, autorevolezza delle istituzioni. Anche con le venature securitarie tipiche di una cultura che considera la certezza della pena come unico parametro del codice penale. È la destra che ha molti voti nella polizia penitenziaria e lo stesso Delmastro è uno che di consensi in quel mondo ne ha tanti. Ora invece spiffera il lavoro di quei poliziotti a un amico di partito che li usa nel talk show parlamentare.
Possiamo immaginare quale reputazione stia coltivando questa destra in certi ambienti, anche stranieri, in cui il silenzio vale oro. Per questo non è opportuno che Donzelli rimanga alla vicepresidenza del Copasir. Per questo Nordio dovrebbe pensare se mantenere a Delmastro la delega al Dap.
Giorno dopo giorno Nordio si sta rendendo conto di essere finito in un girone politico che non è il suo. Si illudeva di poter fare riforme garantiste o comunque utili al funzionamento della macchina della giustizia. Non potrà più dialogare con il Pd se non prenderà le distanze da quello che è successo in questi giorni.
Anche il Terzo Polo, unica sua sponda nell’opposizione, tende la corda. Nordio ha bisogno di Meloni per uscire dal cul de sac in cui si trova, ora che ha saputo che il Dap aveva raccomandato di tenere segrete le informazioni date a Delmastro. Sicuramente non sapeva che il suo sottosegretario le avesse chieste.
La presidente del Consiglio non può permettersi di sconfessare chi è rimasto a via della Scrofa a reggere il partito cresciuto in pochi anni. Non si diventa destra di governo solo perché dall’1 per cento si raggiunge il 30 per cento. Le vertigini fanno perdere le coordinate della realtà. Soprattutto se al vertiginoso 30 per cento si arriva stando sempre all’opposizione. Non hanno avuto il tempo di maturare certe responsabilità istituzionali.
Usare informazioni riservate per attaccare gli avversari e farli passare per amici di mafiosi e terroristi è una deriva che è nell’interesse della stessa Meloni fermare.
Il cameratismo è la morte del senso delle istituzioni. Se poi la presidente del Consiglio è stata presa in giro dal Delmastro (le aveva giurato che non erano informazioni riservate), allora non può tacere e lasciare in quei posti i suoi sodali. Potrebbe succedere di trovarsi sul tavolo le dimissioni dell’ex magistrato che lei stessa ha scelto per il ministero della giustizia.