Lasciate ogne pregiudizio, voi ch’intrate, perché la missione de La Tasqueria è reinterpretare in chiave creativa il tanto ingiustamente bistrattato quinto quarto. Chi già lo apprezza nella gastronomia tradizionale madrilena ne scoprirà il lato elegante, ma l’intento ben più ambizioso dello chef Estévez è sorprendere i palati più scettici, dimostrando che ogni ingrediente – se trattato con rispetto, sapienza e amore – può regalare emozioni capaci di superare gli sterili preconcetti che invadono le nostre menti.
Questo ristorante poco distante dal Parco del Retiro nasce dalla fusione di due anime che battono all’unisono nel cuore della capitale spagnola: la “tasca”, che è la taverna rustica in cui ci si ritrova per bere un buon calice e spizzicare tapas, e la “casqueria”, termine spagnolo usato per indicare le interiora di carne largamente diffuse nella cultura locale. Nonostante le nuove generazioni nutrano una certa avversione per questa forma primordiale di alimentazione sostenibile, la “vecchia guardia” non manifesta alcuna ostilità nei confronti di fegato, trippa e rognoni, ma non solo; perché non disdegna neppure le orecchie di maiale alla griglia (orejas a la plancha) servite nature o condite con la salsa brava, oppure le gallinejas, atavico street food a base di intestino di agnello fritto nel suo stesso grasso.
Il terreno era dunque assai fertile per piantare un seme innovativo in un contesto tanto moderno quanto radicato alle tradizioni popolari: le frattaglie diventano protagoniste di un’idea di haute cuisine decisamente alternativa ma non per questo meno sofisticata. Il risultato è un ristorante dall’atmosfera familiare, con un grande bancone adatto a chi vuole godersi un aperitivo audace, magari sbirciando nella cucina a vista: qui opera un team affiatato composto da sei persone, che sotto la guida di Estévez infondono una passione e un entusiasmo chiaramente riconoscibili in ogni boccone.
L’amuse-bouche è il coerente biglietto da visita di un percorso estremamente consapevole: la lingua di manzo affumicata, la pelle di baccalà fritta e il macaron al fegato racchiuso tra dischi di cioccolato aprono le danze, preannunciando un menu che combina le diverse consistenze di carne e di pesce con la complicità della componente acida, spesso presente a pulire il palato.
Così la salsa meunière unisce in matrimonio i cannolicchi e i tendini del vitello (gli stessi “nervetti” preparati in insalata a Milano e dintorni) e la maionese al chipotle dona vivacità al taco farcito con guancia di maiale e carabinero, completato con il quinto quarto spremuto dalla testa del crostaceo prima di arrotolare e addentare la tortilla messicana.
Immancabile è la trippa di bovino in umido con muso di maiale, cotenne, chorizo ed erba cipollina, che vuole essere un tributo a los callos a la madrileña, una pietanza povera ma succulenta della tradizione popolare: la ricetta rivisitata dallo chef Estévez riesce a equilibrare sapori e consistenze, conferendo al piatto una raffinata rotondità gustativa, capace di dialogare anche con un pubblico contemporaneo che quasi istintivamente rifugge questi ingredienti.
Il piatto più spinto – alla vista prima che nel gusto – è la cabeza de cochinillo: si tratta della testa di un maialino da latte, fritta dopo una cottura confit, e servita intera su un tagliere in ardesia; la solennità della presentazione suggerisce l’intenzione di voler celebrare il “sacrificio” dell’animale, omaggiato con la degustazione delle sue componenti durante l’intero pasto (a conferma dell’antico detto).
La sala è nelle mani di quella che lo stesso Javi Estévez considera la sua famiglia: cinque giovani appassionati e competenti si impegnano a trasmettere la vocazione del ristorante, raccontando l’idea e le materie prime che si celano dietro a ogni portata con estrema spontaneità, accompagnando il cliente nell’avventura che lo attende nell’assaggio.
La visione de La Tasqueria può sembrare provocatoria nelle intenzioni, ma affronta la preparazione delle frattaglie con una golosità semplice da comprendere e da apprezzare per ogni palato (e ogni portafogli), in grado di combinare l’opulenza del patrimonio gastronomico locale con la freschezza della cucina contemporanea. E questo impegno è stato premiato con una stella Michelin nel 2019, riconoscimento che ancora oggi può essere vantato dallo chef e dalla sua squadra per aver dimostrato concretamente che «su cocina es apta para todos».