Un po’ di storia…ma con la minuscola!
Nessuna lezione di Storia: non parleremo di territori contesi, editti, espulsioni e conversioni forzate (quelle imposte dagli eserciti cristiani ai musulmani dei regni moreschi che fino al 1492 occuparono l’attuale Spagna) nel tentativo di restaurare il potere dei reyes católicos (i “re cattolici”) e restituire ai territori occupati dagli arabi una propria identità nazionale patriottica e romantica.
No: la “conquista” di cui vogliamo parlare in questa sede si gioca tutta tra gusto etnico (ed etico) e atmosfere esotiche ma comunque mediterranee, non troppo lontani dalla tradizione italiana, ma con un fascino e un po’ di coraggio in più… Una combinazione che sembra piacere molto all’intraprendente Milano, ma anche accordarsi con il rigore d’Oltralpe, che quest’anno ha dedicato proprio alla gastronomia iberica la sedicesima edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino, la kermesse che accoglie i migliori chef del panorama internazionale nelle location più suggestive della Svizzera italiana.
L’esotico (ma non troppo) che affascina Milano
Cibo buono ma “easy”, servizio di livello ma capace di non prendersi troppo sul serio, atmosfere suggestive, menù variegati e proposte culinarie “itineranti” che trasportano immediatamente in un “altrove” che non è poi così lontano dal comfort di casa. E al tempo stesso costante ricerca, applicazione tecnica, innovazione e recupero della tradizione in chiave più dinamica e sostenibile. Questi aspetti della cucina iberica non potevano non far innamorare una Milano che ha fatto della ristorazione etica ma al tempo stesso dinamica il suo tratto distintivo (dalla nobilitazione dell’aperitivo a Expo 2015), ma che allo stesso tempo è sempre più esigente in fatto di gusto e di emozioni culinarie e sempre meno disposta ad accontentarsi di una cucina gourmet senz’anima.
Menù degustazione in formato mignon: il (vero) senso delle tapas
Calde o fredde, dolci o salate, a base di olive, formaggi, polpette, crocchette (croquetas), patate fritte (patatas bravas), insalata russa (ensaladilla), ma anche di assaggi più raffinati di carne e pesce (pesce bollito, fritto o marinato), come le tortillitas di gamberetti, i chopitos e i calamares fritos (calamari fritti interi o ad anelli), il bacalao saltato con pomodoro, le acciughe bianche sotto aceto (boquerones en vinagre) e il polpo alla galiziana (pulpo á feira).
Immancabili poi le salse d’accompagnamento: dall’aioli a base d’olio e aglio, a quelle piccanti a base di pomodoro e paprika (pimenton); e, ovviamente, un buon bicchiere di vino (l’origine delle tapas deriva proprio dall’usanza adottata dagli avventori di di taverne e locande, di coprire i bicchieri con un pezzo di pane o prosciutto, per evitare che vi cadessero insetti o polvere).
Varianti regionali e… sconfinamenti internazionali
A seconda delle regioni, le tapas assumono il nome di pincho o pintxos (in alcune zone del Nord della Spagna come Cantabria, La Rioja), poteo o poteos (nei Paesi Baschi e in Navarra), alifara (in Aragona) e picadeta o picaeta (nella Comunità Valenciana), e talvolta prevedono semplici fette di pane con vari ingredienti infilzati con uno stecchino, da consumare direttamente al bancone come antipasto o aperitivo. In ogni caso, per la varietà e complessità delle preparazioni, chiamarle “stuzzichini” è riduttivo. Piuttosto si tratta di vere e proprie “ricette in formato mignon” che ricordano molto i cicheti veneziani che si possono gustare nei bacari, le tradizionali osterie della Serenissima.
Il tapeo: un’alternativa al classico street food
Le tapas sono alla base dell’usanza spagnola di “andar per tapas” (tapeo o ir de tapas), ovvero spostarsi da un locale all’altro spizzicando queste preparazioni (picar o picoteo) ed esprimendo il proprio gradimento gettando un tovagliolo ai piedi del bancone (in caso contrario il fazzoletto finisce nel cestino). Si tratta di una forma di consumo itinerante, che rivoluziona il senso tradizionale dello street food mantenendo la dinamicità della degustazione ambulante ma arricchendolo degli optional che solo una cucina “fissa” può garantire.
Il gusto caliente anche placé
Inutile dire che, dopo numerosi e gratificanti assaggini, per apprezzare a pieno la complessità della cucina spagnola e delle sue ricette tipiche, bisogna sedersi attorno a un tavolo e godersi le preparazioni a lunga cottura che raccontano di un passato dalla tradizione agricola, marinara e insieme montana, invitano alla pazienza e stimolano la convivialità.
Innanzitutto la simbolica paella: quella doc valenciana a base di riso, zafferano, pollo, coniglio, fagiolini o taccole, pomodori, peperoni e fagioli, ma anche le varianti vegetariana, de mariscos, mixta con carne e pesce insieme o nigra colorata con l’inchiostro di seppia, fino alla fideuà, che ne ricalca la preparazione ma sostituisce il riso con un particolare tipo di pasta (fideos) simile alla nostra gramigna (a proposito di sconfinamenti: la paella è entrata a far parte anche della tradizione sarda, dove viene preparata con la fregola). In ogni caso il fascino sta nel servizio, con la tradizionale pentola di ferro posta (ancora rovente) al centro del tavolo, che invita i commensali a contendersi la gustosa crosticina che si forma sul fondo.
Da assaggiare anche gli stufati: la fabada tipica delle Asturie, a base di fagioli bianchi locali (fabas) carne di maiale, pancetta, chorizo e morcilla (un salume simile al sanguinaccio) e talvolta anche vongole o carne di lepre; il cocido madrileño, piatto unico per eccellenza di Madrid, a base di ceci, verdure, maiale, insaccati e salsicce, originariamente consumato dalla classe operaia ma tuttora radicato nella tradizione delle famiglie moderne, che ancora oggi conservano una certa ritualità nel servizio, rispettando la regola dei tres vuelcos (tre rovesciamenti): prima si mangia la zuppa al quale viene aggiunta la pasta, poi i ceci e le verdure e infine si gusta la carne.
Gli arrosti poi sono i “piatti della festa”; tra questi spicca il ternasco asado, un piatto Igp tipico dell’Aragona, a base di agnellino da latte, macellato entro 90 giorni dalla nascita, arrostito a pezzi nel forno a legna in un recipiente di terracotta e accompagnato da patate.
Proseguendo con le specialità a base di pesce, si incontra il pulpo á feira (o pulpo a la gallega), una specialità della Galizia, legata alle occasioni speciali, a base di polpo bollito in una pentola di rame, poi tagliato a tocchetti, condito olio, sale grosso, peperoncino e pimenton e accompagnato da patate lesse, su un piatto di legno.
C’è poi il baccalà, dissalato e reso protagonista di diverse ricette, tra cui il bacalao al pil-pil, un piatto originario dei Paesi Baschi, in particolare della Biscaglia, in cui il pesce viene soffritto in un tegame con aglio, olio e peperoncini “piri-piri” (“pil-pil” in swahili) e irrorato con la deliziosa salsina bianca che si forma sul fondo della padella.
Non mancano i dolci: dal bizcochos (il tradizionale “pan di Spagna”, soffice base ideale per altre creazioni pasticcere) alla celebre crema catalana ricoperta di caramello croccante, e ai churros (fili di pastella fritta, spolverati di zucchero a velo o intinti nel cioccolato), dagli alfajores (biscottini di farina e maizena, farciti con confettura di mele cotogne o dulce di leche) ai panellets (piccoli dolci della Catalogna a base di pasta di marzapane e frutta secca, decorati e profumati con frutta candita e cioccolato tradizionalmente preparati per la festa di Ognissanti) e al tortell (un impasto di pan brioche o pasta sfoglia, farcito con ingredienti diversi tra cui panna, crema o marmellata, decorato con frutta candita o pinoli e spolverato con zucchero a velo); passando per il frangollo (originario di Tenerife a base di latte, zucchero, farina di mais, uova, limone, mandorle e uva passa), il dulce de Mombrillo (una confettura a base di mele cotogne, dalla consistenza compatta e gelatinosa), la torta de Santiago (dolce tipico della Galizia, a base di mandorle tritate e albume montato a neve con lo zucchero, tradizionalmente offerto ai pellegrini che si apprestavano a compiere il famoso cammino di Santiago), la tortas de Aceite (specialità andalusa di origini arabe composta da strati di pasta sfoglia profumati ai semi di anice e olio di oliva e ricoperti da una glassa zuccherina) e l’arroz con leche (un dessert della Galizia a base di riso cotto nel latte, aromatizzato con agrumi e cannella, da servire freddo).
Infine non si possono non citare i dolci natalizi: i vari tipi di turron (torroni a base di miele e frutta secca), i mantecados (frollini profumati con cannella e anice), il tortel de Reis (la “torta dei Re Magi”, realizzata in occasione dell’Epifania, farcita con panna, crema pasticcera o marmellata e figurine di cioccolato o di zucchero: il fortunato che trova il re vince tutta la torta) e lo zurracapote (a base di frutta fresca e disidratata, vino rosso, cannella e limone, che si serve asciutto o spruzzato con del miele e si accompagna con la concia, una bibita alcolica per scaldarsi nelle serate invernali).
Vecchio e nuovo allure iberico: quello che c’era, quello che c’è
Melting pot delle tradizioni gastronomiche di tutto il mondo, il capoluogo lombardo ospita da anni diversi locali in cui gustare la cucina iberica autentica: PaellaMi, specializzato in paella, preparata da chef Ricardo (valenciano doc); Albufera in cui lo chef brasiliano Mateus Ávila Lobo Coelho propone un’ampia scelta di tapas, la paella e la fideuà, dolci tipici e bevande (dalla sangria ai cocktail); Tapas de Pescado che offre assaggi dei piatti di pesce tipici iberici come il pulpo a la gallega, il boccadillo de Madrid (un panino farcito ai calamari) e le frittelle di baccalà servite con composta di filamenti di zucca, il tutto accompagnato da una selezione di gin tonic e quattro diversi tipi di sangria, vini e cocktail; Redondo Iglesias è il tempio dello jamón ibérico, il tipico prosciutto spagnolo proveniente da Salamanca, da gustare tagliato al coltello, insieme a pregiati tagli di carne, tapas e insalate; La Casa Iberica esprime la sua autenticità fin dal menù, scritto rigorosamente in spagnolo, Ajo Blanco, Bodega del Tasca e La Tienda de Juan (dotato anche di un piccolo market di prodotti tipici) recuperano il senso delle tapas partendo con l’aperitivo dalle ore 18.00, per poi proseguire con cena e dopocena a base di formaggi, salumi e pani farciti.
Volverè si distingue per la proposta di carni alla griglia, ma anche per la tendenza a mescolare ingredienti tipicamente iberici con altri provenienti da tutto il mondo (black angus argentino, sashi finlandese, fassona piemontese, manzetta prussiana, foie gras, tartufo nero, radicchio di Treviso, salsa Worchester, salsa di liquirizia e salsa Bernese). Llevataps e Oveja Negra propongono invece una cucina spagnola dai tocchi mediorientali, mentre Ba-Ba Reeba punta tutto sulla stagionalità, con ingredienti che arrivano settimanalmente dalla Spagna e un menù che cambia quattro volte l’anno e include una selezione di tapas e piatti più contemporanei che strizzano l’occhio alla cucina sudamericana.
L’ultima novità in fatto di ristorazione spagnola a Milano è Señorío (Patio Gastronómico Español), da poco inaugurato in via Bramante (in piena Chinatown), che coniuga tutte caratteristiche più suggestive della ristorazione iberica: un locale curato e raffinato (progettato dal noto architetto ispanico Andrés Córdoba) con settanta posti a sedere tra American Spanish Bar, sala ristorante, il dehors privée e Vinoteca. Ogni ambiente offre all’avventore una suggestione diversa e si presta a un diverso tipo di esperienza: dal brunch all’aperitivo a base di tapas, dalle cene a base di paella, stufati, tortilla de patatas con cipolla confit e buñuelos di baccalà con marmellata di pomodoro alla vaniglia.
Il menù, realizzato dallo chef spagnolo Alberto Rodríguez, è stagionale, attinge dalle eccellenze di tutte le diciassette regioni della Spagna, dall’entroterra fino al mare, e prevede l’accompagnamento delle migliori denominazioni vitivinicole iberiche: 3.650 bottiglie, 250 etichette, 180 tipi di bevande alcoliche internazionali e un’ampia gamma di birre.
Assaggi gourmet di una cucina “limbica”
Oltre ad essere sempre più rappresentata nella capitale italiana del gusto dell’innovazione ristorativa, la cucina iberica ha conquistato anche i territori del Canton Ticino. Il merito non è solo la capacità degli chef di proporre menù di “lusso” con un’attitudine di “comfort” (una ristorazione meno ingessata e anacronistica rispetto, per esempio, a quella francese), ma anche di trasmettere il senso di un profondo rinnovamento che si muove tra avanguardia e fedeltà alle origini, tra flessibilità imprenditoriale e ricerca di nuove soluzioni in ottica “green”. Intitolata “España ahora!” la rassegna delle “Chef Official Nights” 2022 ha visto protagonisti alcuni dei più rinomati interpreti di una gastronomia spagnola contemporanea, chef sempre più innovativi ma fedeli alle proprie origini.
Tradizione avanguardistica e tributi alla cucina familiare (e femminile)
Joan Roca, chef dell’El Celler de Can Roca (a Girona, in Catalogna), miglior ristorante del mondo nel 2013, riconosce alla madre il ruolo di musa ispiratrice della sua cucina, e rende omaggio ai suoi insegnamenti attraverso ricette che raccontano l’orgoglio e le contraddizioni della sua terra, rendendo protagonisti gli ingredienti ma anche la versatilità di cotture e preparazioni (dalle più antiche alle loro evoluzioni innovative e hi-tech). Sulla stessa lunghezza d’onda anche Álvaro Salazar, giovane chef di origini andaluse, che al Voro ispira la sua cucina agli insegnamenti della zia, prima ancora che ai viaggi compiuti attorno al mondo, e Javier e Sergio Torres (del Cocina Hermanos Torres, uno dei ristoranti più all’avanguardia di Barcellona) secondo i quali «ogni chef stellato parte dalla cucina della nonna, ma più buona».
Sì allo sperimentalismo hi-tech, ma… “cucinare è un’altra cosa”!
Paco Roncero, chef del Terraza del Casino, del tapas bar Estado Puro di Madrid, nonché del Sublimotion di Ibiza (il ristorante più caro del mondo), si fa portavoce di un’avanguardia che trasforma l’esperienza culinaria in du gioco sfavillante schermi, atmosfere cromatiche e olfattive, musiche e microclima controllato per suscitare determinate sensazioni. Eppure ammette che “la cucina è un’altra cosa” e che lo sperimentalismo contemporaneo non è che un modo per portare nel futuro la tradizione, che non può mai essere tradita o dimenticata.
Allo stesso modo Mario Sandoval si muove tra memoria gastronomica spagnola e tecniche innovative (come l’idrolizzazione degli albumi). Insieme a due dei suoi tre fratelli, oggi è titolare del Coque, nella capitale iberica, il ristorante di famiglia che ha alle spalle quasi settant’anni di storia, in cui dà vita a una cucina che conserva intatto il ricordo della straordinaria qualità dei prodotti (stagionali e locali) usati dalla madre e la sua capacità di trasformarli in sapori meravigliosi, ma al tempo stesso propone un’esperienza culinaria innovativa e “itinerante” all’interno dei diversi ambienti che compongono i 1100 mq del ristorante.
Il coraggio (e l’umiltà) di osare e sbagliare
Paco Pérez, unanimemente considerato uno dei migliori chef d’Europa (con 5 stelle Michelin), continua a considerarsi un umile “operaio dell’avanguardia spagnola”, dotato del coraggio di innovare e di commettere qualche errore. Dal 1997 il centro del suo sperimentalismo classico-avanguardistico è il Miramar, a Llançà (in Costa Brava), dove ogni anno dà vita fino a 130 ricette, giocate ora sul gusto, ora sulle tecniche (dall’uso della stampante 3d alla cucina molecolare), ma che non tradiscono mai il suo rispetto quasi sacrale per la materia prima.
Nuovo significato all’eccellenza “green”
Ad alcuni chef spagnoli spetta il merito di aver rivoluzionato il concetto di sostenibilità, facendo della loro cucina un manifesto non solo della ricerca km zero, del rispetto degli ingredienti e della riduzione degli sprechi, ma anche di un nuovo stile di ristorazione. A Valencia, Ricard Camarena (Green Star Michelin nel 2021) porta avanti una scelta in controtendenza: dal Covid in poi ha scelto dichiaratamente di “cucinare con ciò che trova” (dagli ingredienti stagionali auto-coltivati a quelli selvatici e spontanei, fino al personale del ristorante che porta il suo nome) senza puntare alla perfezione ma piuttosto alla flessibilità e alla valorizzazione di ciò che ha, inclusi i surplus di orto e giardino, protagonisti di un nuovo progetto per realizzare prodotti semi-conservati e diano una seconda vita agli “scarti”.
Insomma, una scelta etica e un esempio di intraprendenza imprenditoriale che potrebbero fare scuola anche tra gli chef d’Italia e d’Oltralpe.