La sintesi sul naufragio improvviso del Terzo Polo è questa: uno dei due Dioscuri ha fatto saltare (per ora) il partito unitario dei liberal democratici, lasciando credere che la colpa sia dell’altro.
Il colpevole o il salvatore – a seconda di come la si pensi sul defunto progetto politico recentemente bocciato dagli elettori in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia – è Matteo Renzi, nonostante l’ex premier e i suoi dicano il contrario e facciano notare l’inaffidabilità di Carlo Calenda, già protagonista nei mesi scorsi di due analoghe e repentine giravolte con il Pd e con PiùEuropa.
Attenzione: Renzi non è contrario al partito unitario, più volte ha detto che quello è «il destino e la destinazione» di Italia viva, vuole solo arrivarci con più cautela, come il cancelliere Ferrer che nei Promessi Sposi invitava il cocchiere Pedro a procedere ma con juicio davanti alla folla inferocita, quindi preferibilmente dopo le elezioni europee, guardandosi intanto intorno, tenendosi aperte altre opzioni politiche e senza rinunciare a una certa autonomia operativa.
E, dunque, così come Renzi non ha mai immaginato di fare il soldato di un partito guidato da qualcun altro, ovviamente Calenda non se l’è sentita di far nascere un nuovo partito col freno a mano tirato, unitario soltanto sulla carta ma in realtà destinato a inseguire le acrobazie politiche di Renzi e la maggiore esperienza locale e nazionale dei dirigenti di Italia viva rispetto ai giovani di Azione.
La vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd ha scoperchiato l’irrisolta questione politica tra i due, destinata a non deflagrare così presto se Stefano Bonaccini fosse diventato segretario del Partito democratico.
Lo spostamento a sinistra del Pd ha accelerato il processo costituente del centro liberal democratico, ma il centro liberal democratico non si è fatto trovare pronto a percorrere le famigerate praterie lasciate aperte da Schlein, proprio perché aveva consapevolmente scelto di nascondere sotto il tappeto la faccenda della doppia leadership, una delle quali un po’ dentro e un po’ fuori il partito.
Le improvvise difficoltà di Forza Italia hanno innescato un’ulteriore miccia ancora difficile da individuare, ma ironicamente a mandare fuori giri il Terzo Polo sono stati sia il ricovero di Berlusconi sia la segreteria Schlein, proprio le due novità politiche più promettenti per una nascente forza politica centrista.
Così siamo arrivati al gioco del cerino acceso di questi giorni, con cui Renzi e Calenda hanno vicendevolmente provato a scaricare sull’altro il fallimento del progetto unitario, un gioco reso ancora più puerile dalla sua rappresentazione pubblica sul palco degli stramaledetti social network.
I due protagonisti della vicenda hanno spiegato in tutti i modi di non aver partecipato alla commedia degli insulti e delle bassezze, ma in realtà ne hanno scritto la sceneggiatura dalla prima all’ultima riga.
Probabilmente erano entrambi convinti che alla fine uno dei due avrebbe accettato la mediazione in modo da far nascere un partito con juicio. Ma Renzi è notoriamente indomabile e Calenda è notoriamente insensibile alla cautela, così è finita che il cerino ha bruciato sia l’uno sia l’altro (e anche noi).
Oggi che è tutto naufragato, restano i gruppi parlamentari comuni, i quali rimarranno tali perché nessuno dei due partiti può costituire un gruppo parlamentare autonomo.
Allo stesso tempo, Italia viva e Azione da soli difficilmente avranno i numeri per superare lo sbarramento del quattro per cento alle Europee del 2024, quell’appuntamento che almeno fino a poche ore fa Calenda e Renzi immaginavano come il momento della riscossa catartica dei liberal-democratici italiani.
Il paradosso è che, nonostante il naufragio e gli improperi che seguiranno, Italia viva, Azione e probabilmente anche PiùEuropa saranno comunque costretti a fare tardi e male una lista comune alle Europee, come da idea originaria di Renzi e di PiùEuropa ma senza un progetto politico comune, senza una visione, forse anche senza senso.
Questo è l’esito prevedibile di una storia politica grottesca, interrottasi in modo stravagante, che questo giornale ha colpevolmente raccontato come una prospettiva seria e che nonostante tutto reputa ancora necessaria.
Un esito prevedibile, quello del 2024, a meno che le prossime mosse di Calenda ma soprattutto di Renzi (il quale per tenersi in forma intanto ha scelto come sodale al Riformista un «Berlusconi boy», trumpiano e antiterzopolista) non aprano nuovi incredibili scenari.