Il tempo di un gas in atmosferaNessuno è un’isola

Nuove metriche e nuovi parametri per valutare gli effetti del surriscaldamento globale: centri di ricerca a confronto e un bilancio positivo per gli allevatori italiani

Courtesy Evi T

Il sistema di allevamento italiano contribuisce attivamente alla lotta contro il surriscaldamento globale. È questa la tesi di un team di ricercatori italiani che di recente ha ricalcolato le emissioni del settore zootecnico del nostro paese basandosi su una nuova metrica proposta da un gruppo di fisici dell’atmosfera di Oxford e pubblicata in un articolo dalla rivista scientifica Nature nel 2018. Le nuove metriche, a differenza delle precedenti, tengono in considerazione anche il tempo di permanenza dei gas in atmosfera. Secondo gli scienziati, se un gas a effetto serra resta in atmosfera per poco tempo, il suo effetto sul cambiamento climatico è nullo qualora le emissioni si mantengano costanti ogni anno; se invece diminuiscono, l’effetto è addirittura negativo, ovvero contribuisce al raffreddamento dell’atmosfera stessa. Una differenza non trascurabile se si considera che il metano si decompone completamente in 50 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per oltre mille anni.

Lo studio dei ricercatori di Oxford basato su questo approccio innovativo aveva quindi evidenziato la differenza in termini di azione sul surriscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, come il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, come l’anidride carbonica. Una novità non da poco, destinata a cambiare il dibattito e la narrazione sulla sostenibilità del sistema zootecnico. L’applicazione della nuova metrica alle emissioni di metano di tutte le filiere zootecniche italiane ha permesso dunque di comprendere meglio quale sia esattamente il contributo dell’allevamento italiano al cambiamento climatico.

Courtesy Jo Anne Mcarthur

Sulla scia di questo primo studio inglese, il team di ricercatori italiani ha preso in esame i dati ufficiali pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) dal 1990 al 2020, applicando le nuove metriche alle emissioni di metano di tutte le filiere italiane. Successivamente hanno poi confrontato i nuovi risultati con quelli ottenuti utilizzando le vecchie metriche. Lo studio ha evidenziato una decisa differenza fra i due sistemi di calcolo, confermando nel secondo caso una sostanziale diminuzione dell’impronta ambientale fino alla sua totale negativizzazione. Se, infatti, si considera il contributo cumulativo totale della produzione zootecnica italiana al surriscaldamento globale negli ultimi 10 anni, vale a dire emissioni di metano e protossido di azoto, applicando le nuove metriche tale contributo diminuisce fino a negativizzarsi, passando da +206 milioni di tonnellate di CO2 equivalente calcolate con il vecchio metodo (GWP100 – Global Warming Potential over 100 years) a -49 milioni di tonnellate stimate con il nuovo sistema di calcolo (GWP*). Ciò significa che gli impatti sul clima annuali dovuti al metano derivanti dalla zootecnia italiana e calcolati utilizzando le nuove metriche, dal 2010 al 2020 hanno espresso valori sempre inferiori allo zero per i bovini da latte e tendenti allo zero per i bovini non da latte, ad eccezione delle bufale. Ne deriva che il contributo cumulativo totale della produzione zootecnica italiana al cambiamento climatico degli ultimi 10 anni, incluse le emissioni di protossido di azoto, è risultato fortemente negativo rispetto al dato calcolato con il metodo precedente.

Alla luce di questo nuovo sistema di calcolo proposto dai fisici dell’atmosfera di Oxford e indicato di recente da IPCC e FAO quali alternative interessanti per una valutazione migliore degli impatti climalteranti, la zootecnia italiana non solo non avrebbe contribuito all’effetto serra, ma lo avrebbe addirittura mitigato avendo contenuto in maniera drastica le emissioni di metano. Inoltre, considerando che tanto l’agricoltura quanto la zootecnia sono attività che si svolgono nello stesso luogo e nello stesso tempo in cui la CO2 emessa e catturata dalle piante e dal suolo, allora i sistemi agricoli e zootecnici nazionali non possono non qualificarsi come attività a credito di carbonio.

Photo credits copertina courtesy Evi-T

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