Oltre la CO2Tecnologia e scienza al servizio dell’alimentazione globale

Anche le buone pratiche della filiera zootecnica contribuiscono alla riduzione delle emissioni e ci permettono di avere un domani migliore

Ogni gesto umano, dai comportamenti più semplici legati ai nostri stili di consumo fino alla produzione di beni e servizi, comporta l’emissione di CO2 o altri gas a effetto serra (GHG).

Anche l’attività primaria della produzione di alimenti implica evidentemente una quota di emissioni. Secondo la FAO, visto in traiettoria storica, il contributo alle emissioni globali di gas a effetto serra di origine antropica derivante dai sistemi agro-alimentari negli ultimi 20 anni è calato, passando dal 38% del 2000 al 31% del 2020. In realtà, a livello globale tutte le emissioni procapite legate ai sistemi alimentari sono diminuite di quasi un terzo rispetto ai livelli registrati nel 2000, fino a raggiungere il volume di 2 tonnellate di CO2 equivalente.

Si tratta di una diminuzione valida sia in termini assoluti, grazie allo sforzo dell’industria alimentare di ridurre a tutti i livelli i propri impatti e consumi, sia relativi, considerando il costante incremento della popolazione mondiale che è passata da 6,1 miliardi nel 2000 a 7,8 nel 2020: ciò significa che il comparto alimentare è riuscito a sfamare 1,7 miliardi di persone in più in 20 anni, riducendo allo stesso tempo gli impatti. Il settore agroalimentare, poi è l’unico che ha mostrato una costante riduzione delle emissioni pro-capite se confrontato con la crescita esponenziale delle emissioni GHG provenienti dalle altre principali attività antropiche dipendenti dai combustibili fossili, come l’industria manifatturiera – chimica in particolare -, il settore residenziale, la produzione di energia elettrica e i trasporti.

Rispetto al 31% sopracitato, le filiere zootecniche nel suo complesso (bovini, suini, avicoli e ovi-caprini) sono considerate responsabili del 14,5% delle emissioni globali di gas serra derivate da attività antropiche. Però, grazie alla particolare efficienza dei sistemi zootecnici adottati nell’Unione Europea, in quest’area geografica questa percentuale si dimezza rispetto alla media globale ed è pari a circa il 7%, ed è ancora più efficiente in Italia dove, secondo i più recenti dati Ispra, si attestano intorno al 5,6%.

Quasi la metà di queste emissioni è costituita da gas metano, derivato soprattutto dalla fermentazione enterica dei ruminanti. Impatti che possono essere mitigati dal miglioramento delle pratiche zootecniche e agricole. I sistemi zootecnici avanzati sono in grado di avere un ruolo attivo e positivo nella riduzione di CO2 in atmosfera, combinando efficienza produttiva e benessere animale. Le aree che presentano i più promettenti margini di miglioramento sono il sequestro di carbonio (il cosiddetto “carbon farming”), l’agricoltura rigenerativa, l’utilizzo, ad esempio per i ruminanti, di additivi alimentari come tannini, blioflovanoidi e alghe per ridurre le emissioni, la produzione di biogas e biometano da biomasse agricole e industriali.

L’efficienza produttiva è la principale leva disponibile per mitigare gli impatti. Lo dimostrano anche i risultati del progetto Life Beef Carbon, coordinato per l’Italia dal centro di Zootecnia e Acquacoltura dell’Istituto CREA. Un progetto finalizzato alla formulazione di azioni per la riduzione dell’impronta di carbonio degli allevamenti da carne in Francia, Irlanda, Italia e Spagna durato 6 anni (gennaio 2016-dicembre 2021), il quale ha registrato risultati significativi circa la riduzione della carbon footprint (impronta di carbonio) della carne prodotta evidenziando il ruolo chiave svolto dal miglioramento delle prestazioni produttive nel ridurre l’intensità di emissione.

Le misure rivelatesi più efficaci in ambito di mitigazione sono state ad esempio il miglioramento della razione alimentare dell’animale, l’uso delle deiezioni zootecniche per produrre energia rinnovabile, la gestione dei reflui zootecnici per la fertilizzazione di campi. In Italia, ad esempio, è stato possibile ridurre nei primi 3 anni le emissioni mediamente del 10%, con picchi del 15% quando più strategie di mitigazione sono state adottate simultaneamente.

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