La pacchia è finitaIl nuovo Patto di stabilità e l’illusione italiana di salvarsi buttandola in politica

Le nuove regole economiche europee sembrano essere meno rigorose del passato, ma in realtà per i nostri governanti sarà più difficile negoziare con la Commissione ed elemosinare aiuti perpetui

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Può apparire curioso che il nuovo Patto di stabilità, che l’altro ieri è stato presentato ufficialmente dalla Commissione europea e su cui adesso proseguirà il negoziato con i governi degli Stati membri, in Italia abbia suscitato reazioni di forte perplessità o di aperta contrarietà da parte di economisti, che la destra e la sinistra anti-austerity sono abituate a bollare come interpreti dell’ortodossia bruxellese.

Si pensi ai dubbi di Carlo Cottarelli e alle aperte accuse di Lorenzo Bini Smaghi, che parla apertamente di un rischio commissariamento per l’Italia, e di Veronica De Romanis, che invita il Governo a prendere una posizione nettamente contraria.

Le critiche di studiosi e personalità certo non sospettabili di simpatie per il lassismo finanziario nascono dal fatto che il nuovo Patto di stabilità sostituisce un presunto eccesso di rigidità – in cui peraltro non è stato difficile ritagliare margini di inopinata flessibilità – con un eccesso di discrezionalità, che renderà i negoziati tra gli Stati e la Commissione su debito e disavanzo suscettibili di interpretazioni arbitrarie.

Questo nell’Europa di oggi, e pure nell’Europa di domani – a maggiore ragione se alle elezioni europee del 2024 avanzasse il fronte sovranista – porterà all’isolamento e al sacrificio, non al soccorso dell’Italia, che è uno degli Stati il cui quadro economico-finanziario è più deteriorato e la cui reputazione di inaffidabilità è ingigantita da molti paesi proprio in una chiave contro-nazionalista.

Anni di retorica sulle regole “stupide” del vecchio Patto e sugli automatismi delle tagliole – invero assai poco automatiche – disseminate sui percorsi di rientro dei paesi più indebitati hanno convinto la maggioranza degli italiani, a destra come a sinistra, che il problema principale dell’Italia non fossero il deficit e il debito, ma le regole europee su deficit e debito e che la soluzione sarebbe dovuta passare dal ritorno del primato della politica sull’acribia ragionieristica dei euroburocrati. Per la maggioranza degli italiani – lo dimostra il modo in cui hanno votato durante il ventennio di grande declino dell’Italia – il problema era insomma rappresentato dalle regole istituite per porvi rimedio.

La speranza che meno rule of law e più rule of politics avrebbe dato all’Italia più soldi da spendere e piani di rientro più comodi e che, più in generale, si potesse insieme pretendere più “solidarietà” e più “sovranità” è stata una illusione favorita da quella sorta di epochè politico-economica legata alla pandemia (e alla sospensione del Patto di stabilità), ma non è mai stata una prospettiva realistica né onesta.

Ora bisognerà capire quanto le peggiori previsioni sul nuovo Patto si materializzeranno e quanto invece saranno smentite e ridimensionate. In ogni caso, la pacchia è finita. Non per l’Europa, come minacciava Meloni a inizio legislatura, ma per l’Italia.

Certamente per ottenere condizioni più favorevoli non servirà né il ricatto della mancata ratifica del Meccanismo europeo di stabilità, né la pretesa di trasformarlo in un nuovo Next Generation Eu, né l’improntitudine con cui continuiamo a ritenere che le leggi dell’Unione europea possano essere derogate o violate, per garantire rendite particolaristiche agli ambulanti, ai balneari e a tutti gli amici degli amici e nemici dei nemici del suk democratico nazionale.