Educazione cremlinianaL’ascesa di Putin, tra spie, mazzette e il ruolo di due italiani

La scalata ai gangli fondamentali dell’apparato statale da parte del dittatore russo è soprattutto una storia di corruzione, come raccontano Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci in “Il tesoro di Putin” (Laterza)

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Il 26 settembre 2022, il giorno dopo le elezioni che portano al potere la destra italiana con cui, in varie forme, la Russia ha intrattenuto canali preferenziali spesso opachi, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov non riesce a dissimulare la sua gioia. Il fatto che alla guida della coalizione vi sia Meloni – che si professa atlantista, sia pure di un atlantismo trumpiano, venato di collaborazioni con Steve Bannon e Viktor Orbán – e non Salvini-Berlusconi appare a Mosca un dettaglio. Intanto, è stato buttato giù l’odiato Draghi. Ma sarebbe un errore pensare che il Cremlino abbia scoperto il rutilante e variegato mondo della destra italiana soltanto adesso. Anzi.

«In quegli anni in Russia funzionava così. O facevi così o non lavoravi. Io di società così ne avevo una decina, una dozzina. Poi le cose sono cambiate e le ho chiuse». Chi parla è Pasquale Vladimiro Natale. Calabrese, classe 1967, è arrivato in Russia la prima volta alla fine degli anni Ottanta da giovane militante comunista, quando ancora si chiamava Unione sovietica. Si troverà bene, al punto che si stabilisce definitivamente a Mosca e, con la caduta del muro, avvia un proficuo business di import-export. Con Bruno Giancotti, calabrese anche lui, è uno dei “leghisti di Mosca” che accompagnano Matteo Salvini durante le sue prime visite nella capitale russa, nel decennio passato.

Gianluca Savoini, protagonista della trattativa all’hotel Metropol e “ufficiale di collegamento” di Salvini con Mosca, è a lui che si rivolge quando decide di aprire una sua attività nella capitale russa, la Orion, che condivide con la Italagro di Natale l’indirizzo e il numero di telefono. «È l’indirizzo giuridico. Mi hanno chiesto dove potevano rivolgersi per aprire una società e gli ho dato l’indirizzo del mio avvocato che ha seguito la pratica», spiega l’imprenditore.

La storia che qui raccontiamo risale però ancora più indietro nel tempo e coglie un momento fondativo del sistema del Kgb e della sua revanche, che ha a che fare con l’ascesa al potere di Putin e con la sua scalata ai gangli fondamentali dell’apparato statale russo. Aiutato sorprendentemente dai soldi americani. Una delle storie di nascita della cleptocrazia di Putin. È una storia di corruzione. Siamo nel 1999 e Putin, che già era salito durante la presidenza Eltsin alla guida dell’Fsb, è primo ministro.

Ci arriva a sorpresa nell’agosto di quell’anno, dopo una vicenda dai contorni oscuri ma cruciale per capire la Russia di oggi. Il 18 marzo precedente, la tv russa trasmette un filmato sconvolgente per tutta la nazione: un uomo che sembra il procuratore generale Yuri Skuratov, il massimo grado della magistratura inquirente, è in una camera d’albergo con due donne, protagonista di un’allegra partouze. Non sono io, assicura Skuratov, è una montatura. Le immagini sono in bianco e nero, sgranate, i protagonisti del video sono bene attenti alle posizioni delle telecamere. A fugare i dubbi arriva però il capo dell’Fsb in persona, Putin, appunto. Che in una intervista televisiva dice che le indagini condotte hanno permesso di accertare che l’uomo nudo nel video è proprio il procuratore generale Skuratov. Il magistrato è costretto alle dimissioni.

Putin in sostanza va in tv a calargli la mannaia sul capo. E il vecchio Eltsin può tirare un respiro di sollievo. Il perché è presto spiegato: gli uffici di Skuratov stavano infatti indagando su una montagna di soldi provenienti dal Fondo monetario internazionale e finiti in Svizzera, fondi destinati alla ristrutturazione del Cremlino e del Parlamento squassato dai carri armati durante il tentato golpe del 1993 e spesi dalle figlie dell’allora presidente in viaggi e beni di lusso.

Un’indagine potenzialmente devastante, sulla quale stavano indagando da qualche tempo anche le autorità elvetiche. Skuratov dunque si dimette, Eltsin ringrazia e, nell’agosto di quell’anno, nomina Putin primo ministro. Prima dei cinquant’anni l’ex colonnello del Kgb a Dresda diventa capo del governo con il paese allo sbando. Le province dell’ex impero sovietico sono in rivolta, le città sono scosse da attentati terroristici dal sapore oscuro, le “bombe negli appartamenti” per le quali è fortemente sospettato l’Fsb. Eventi ominosi, come l’assedio del teatro Dubrovka nel 2002.

La crisi economica è devastante, gli scioperi paralizzano il paese, con i lavoratori pubblici che non ricevono gli stipendi dopo il default del 1998. Nel caos di quegli anni sono scomparsi anche 4,8 miliardi di dollari di aiuti del Fondo monetario internazionale destinati a rianimare le esangui casse statali e molto probabilmente finiti in tasca a funzionari pubblici e criminalità organizzata sui quali, a distanza di 25 anni, non si è mai fatta piena luce.

Appena insediato, Putin fa due cose destinate ad avere un impatto decisivo nelle vicende degli anni successivi. La prima è nota: il 1° ottobre fa partire l’offensiva militare della seconda guerra cecena, per rappresaglia contro gli attentati dei separatisti islamici della provincia del Caucaso, attentati sui quali c’è però più che un’ombra dell’Fsb, probabilmente operazioni coperte di false flag per far salire la tensione e giustificare l’intervento armato.

La seconda, meno appariscente: il 14 novembre firma un decreto per rimodernare il sistema informatico delle procure russe. Un appalto da 35 milioni di euro, poca cosa che arriva però in un momento in cui le casse statali sono vuote. A finanziare l’operazione dovrà essere una banca straniera. E comunque, saranno soldi ben spesi per Putin. Nel giugno del 2000, con Putin già presidente, arrivano al vertice della procura generale Vladimir Ustinov e Yuri Biryukov come suo vice. Ci resteranno per sei anni, fino al 2006. Anni cruciali per consolidare la struttura di potere di Putin della quale i due saranno protagonisti in episodi chiave, sancendo la saldatura e la sottomissione tra potere politico (Putin stesso e il suo circolo) e il potere giudiziario.

Il primo episodio è la vicenda nota come “scandalo delle Tre balene”, e sembra ripetere gli schemi che Putin aveva attuato quando, da giovane vicesindaco di San Pietroburgo, aveva presieduto la commissione per gli scambi esteri della città, in una serie di meccanismi corruttivi di cui lo scandalo “Oil for Food” fu il caso più eclatante. Anche nel caso che stiamo per raccontare, il servizio russo delle dogane contesta a una catena di articoli per la casa, le Tre balene appunto, una serie di frodi relative all’importazione di beni dall’estero. Le indagini del servizio delle dogane riveleranno che tra i soci dei negozi ci sono uomini dei servizi segreti. E non funzionari qualunque. Nikolai Patrushev, allora capo dell’Fsb e tuttora uno degli uomini più vicini a Putin, con un ruolo chiave anche nelle decisioni che hanno portato all’invasione dell’Ucraina. E Yevgeny Zaostrovtsev, ex ufficiale del Kgb ma soprattutto padre di Yuri, all’epoca numero due di Patrushev e capo del Consiglio per la sicurezza economica. Un’indagine potenzialmente devastante, nella quale alcuni analisti vedono lo scontro tra il circolo degli eltsiniani e i rampanti siloviki, gli uomini dei servizi legati come in una consorteria al nuovo inquilino del Cremlino. Ma viene subito trovata la soluzione per proteggere questi ultimi.

Nel novembre del 2000, l’ufficio del procuratore generale Ustinov stoppa l’indagine e sequestra gli atti raccolti dal servizio delle dogane. L’ufficiale responsabile dell’inchiesta viene accusato di abuso di potere. L’anno successivo sarà Biryukov a firmare il decreto con il quale, citando la mancanza di prove, l’indagine viene definitivamente archiviata. Nel 2003, sarà ancora Biryukov a firmare il mandato di arresto contro Mikhail Khodorkovski, l’oligarca ribelle che non accetta il compromesso di Putin di stare lontano dalla politica e cerca di contrastare l’ascesa dello zar. Il resto è una storia conosciuta: Khodorkovski finisce prima in prigione per anni e poi in esilio, i suoi beni confiscati, la Yukos, all’epoca uno dei principali gruppi industriali del paese, smembrata e assegnata agli uomini più fedeli al presidente o venduta con aste farlocche. Il prezzo per essersi ribellato. Ustinov sarà invece il grande sponsor della legge sulla confisca dei beni, che darà una copertura pseudo-legale agli arresti indiscriminati di imprenditori e uomini d’affari e alla confisca dei loro beni. Le pieghe di questa storia sono però molto meno note. E portano anche in Italia, perché soggetti italiani giocano un ruolo importante in questa vicenda. Ecco come. Nel mezzo di quegli eventi tumultuosi, il piano del Cremlino per i nuovi computer delle procure russe va avanti con i tempi della burocrazia. L’appalto viene vinto dagli americani di Hewlett-Packard (Hp), all’epoca uno dei colossi mondiali del settore. Anche se, si chiarirà poi, la sua offerta non era quella più vantaggiosa. Nei memo interni del gruppo Usa la commessa viene presentata come una grande opportunità per far lievitare le vendite nel paese. A finanziare l’acquisto doveva essere l’Agenzia federale per l’export, ma l’operazione non passa i controlli dell’ente Usa. Così si ripiega sulla Germania, dove Hp ha da poco acquisito gli impianti del concorrente Compaq.

L’Agenzia tedesca dell’export dà il via libera, il ministero del Commercio anche, l’operazione può partire. Operazione che sarà chiara solo qualche anno più tardi, quando le autorità tedesche e quelle americane chiuderanno le rispettive inchieste, partite come spesso accade da un piccolo episodio: una verifica fiscale su un rivenditore tedesco di Hp da parte degli uffici fiscali della Sassonia. Si scopre così che dei 35 milioni della commessa, almeno 7,6 milioni, il 20% circa del totale, sono finiti in mazzette. Percentuali che fanno apparire i numeri della Tangentopoli italiana degli anni Novanta una cosa da ragazzini. Secondo gli atti dell’indagine americana, che abbiamo consultato integralmente, la filiale russa di Hp ha creato una provvista di fondi all’estero attraverso un sistema di false consulenze. I soldi transitano dai conti nelle banche baltiche di due società di Londra, Bracefield Builders e Burwell Consulting.

Gli apparatchiki (i funzionari statali) da soddisfare sono molti e da lì i fondi prenderanno la via di svariate società di comodo in vari paradisi fiscali, da Panama al Belize alle Isole Vergini britanniche, senza neppure una causale inventata per giustificare il bonifico. Saranno spesi, accertano le indagini, in gioielli, viaggi, auto di lusso, arredamenti. Ci sono anche l’impianto di una piscina e un soggiorno da 108mila euro in un lussuoso hotel del centro di Berlino. Soggiorno particolarmente lungo e certamente agiato: all’epoca la suite più lussuosa dell’hotel costava 1800 euro a notte.

Una di queste società attira l’attenzione degli inquirenti tedeschi. Si tratta della Kotrax, sede in Bosnia. È quella che paga il soggiorno nel lussuoso hotel di Berlino. Secondo i magistrati tedeschi, la società è di fatto dell’Fsb. I documenti americani non contengono i nomi dei protagonisti ma fanno riferimento a un “senior government official”, un alto funzionario governativo, come colui che ha la disponibilità del conto. I soldi della stecca continuano a girare almeno fino al 2007. Qui però torniamo in Italia, ai “leghisti di Russia” Natale e Giancotti. Perché nelle due società inglesi, Bracefield e Burwell, importante snodo di questa storia, ci sono proprio loro come azionisti, amministratori o entrambi. Le due società vengono messe in liquidazione e poi definitivamente chiuse nel 2010. Tutti e due, interpellati, hanno detto di non ricordare la vicenda. Natale ha dato la risposta più articolata, che abbiamo riportato all’inizio di questo capitolo. Non è stato possibile chiarire il loro ruolo nella vicenda. Intermediari dell’affare o forse semplici “teste di legno” che hanno fornito le proprie scatole societarie all’estero per gli scopi di altri in cambio di una commissione per il disturbo? In una delle due società figurava, con un ruolo di rilievo, uno stretto parente di uno dei funzionari che avrebbe beneficiato della stecca. Nel 2014 Hewlett-Packard si è dichiarata colpevole di corruzione ed è stata condannata in Usa a pagare una sanzione di 108 milioni di dollari.

La società americana, che in effetti ha realizzato ottimi affari in Russia per almeno due decenni, dopo l’invasione dell’Ucraina ha annunciato l’uscita da quel mercato. I legami tra quella Germania e la Russia, sovietica e post-sovietica, sono ovviamente notevoli. E non solo perché Putin occupava, assieme a Sergey Chemezov – poi diventato amministratore delegato del colosso statale della Difesa Rostec –, la stazione del Kgb di Dresda. Hilmar Lorenz, ex manager di Hewlett-Packard in Russia e figura cruciale per la gestione dell’affare e dello schema corruttivo, ha lavorato per la Stasi, il servizio segreto della ex Ddr. Dopo gli studi in Unione sovietica, ha lavorato all’Istituto centrale di astrofisica di Babelsberg, nei pressi di Potsdam. Ha fornito informazioni alla Stasi tra il 1980 e il 1990. Non sono emersi rapporti diretti tra lui e Putin in quegli anni. Anche se c’è stato almeno un incontro tra i due nel 1999.

Tra i funzionari russi beneficiari dei fondi, l’unico nome trapelato dalle autorità tedesche è quello dell’ex viceprocuratore generale Yuri Biryukov. Le autorità tedesche hanno chiesto assistenza giudiziaria a quelle russe, ma le risposte non sono mai arrivate e non risulta che siano stati avviati procedimenti a carico delle persone a vario titolo coinvolte. In questa storia di potere, denaro, soprusi e violenze è giusto lasciare un po’ di spazio anche agli affetti. Come avviene in tutti i circoli chiusi di potere, dai clan criminali fino alle grandi dinastie europee, anche nel clan del Cremlino un matrimonio sembra essere il modo migliore per stabilire alleanze o cementare rapporti. Come Katerina, la seconda figlia di Putin, ha sposato il figlio di uno degli amici più fidati di Vladimir Vladimirovich, così il figlio del procuratore generale Ustinov, l’ufficiale dell’Fsb Dmitry Ustinov, sposerà in quegli anni in prime nozze Inga Sechina, figlia del potentissimo Igor Sechin. Anche la cleptocrazia di Putin è una storia di famiglia.

Da “Il tesoro di Putin” (Laterza), di Jacopo Iacoboni e Gianlcua Paolucci, 2023, p. 240, 18€