Le recenti dichiarazioni su Taiwan di Annalena Baerbock, ministra tedesca degli Esteri, con il loro implicito distacco da quelle del presidente francese Emmanuel Macron, sono un’utile cartina al tornasole per capire le diversità di approcci in politica estera tra i due Paesi, e le diverse interpretazioni del concetto di autonomia strategica europea.
Giovedì, Baerbock ha iniziato una visita di Stato in Cina, in un momento cruciale e carico di tensioni per le relazioni tra Bruxelles e Pechino. Negli scorsi giorni, la Cina ha svolto delle esercitazioni militari nello Stretto di Taiwan simulando attacchi contro l’isola e il presidente francese Emmanuel Macron, di ritorno da una fallimentare visita a Pechino, in cui ha cercato di persuadere Xi Jinping a svolgere un ruolo di mediatore e moderatore nei confronti con la Russia, ha dichiarato ai media che l’Unione europea commetterebbe «un grande errore» qualora rimanesse «invischiata» in crisi non sue, rendendo di fatto impossibile costruire una propria «autonomia strategica».
«La domanda a cui gli europei devono rispondere è: è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No – ha affermato Macron –. La cosa peggiore sarebbe pensare che su questo argomento noi europei dobbiamo diventare dei seguaci e prendere come esempio l’agenda degli Stati Uniti».
Per quanto le dichiarazioni di Macron non siano una aperta concessione a Pechino su Taiwan, e per quanto il richiamo all’autonomia europea rispetto agli Stati Uniti sia perfettamente negli obiettivi europei, è chiaro che nella fase attuale questo genere di esternazioni rischia di far aprire l’Ue debole e disunita, scatenando le reazioni contrariate di diversi funzionari europei e della stessa Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
In Germania, diversi commenti sono stati molto duri verso Macron: ad esempio Michaela Wiegel, sulla Frankfurter Allgemein Zeitung, ha scritto che Macron ha «una dipendenza nel dissociarsi dagli Stati Uniti» e un’inclinazione a prendere le parti di leader autoritari, mentre sullo Spiegel Christoph Giesen ha affermato che «chiunque derubrica Taiwan a un conflitto regionale è o populista o ingenuo, o entrambi».
In questo contesto, Baerbock nella sua visita ha da subito cercato di marcare una chiara differenza dai toni del presidente francese: «Le tensioni nello stretto di Taiwan non possono esserci indifferenti», ha affermato in un discorso nella città portuale cinese di Tianjin, dove circola il settanta per cento del traffico mondiale di semiconduttori, aggiungendo inoltre come la libera circolazione di essi sia un chiaro interesse tedesco. In alcune sue dichiarazioni ai giornalisti, la ministra ha poi cercato di disinnescare le parole di Macron con formule diplomatiche, affermando come i partner europei siano concordi tanto nelle questioni valoriale quanto negli approcci strategici.
Nella giornata di sabato, però, Baerbock è stata più netta, e in un incontro con il ministro cinese degli Esteri Qin Gang ha diffidato Pechino dall’usare la forza per risolvere la diversità di vedute su Taiwan, affermando che «un escalation militare nello Stretto di Taiwan» sarebbe «uno scenario orribile per il mondo intero», aggiungendo poi come i conflitti possano essere «risolti pacificamente» e un «cambio unilaterale e violento dello status quo sarebbe inaccettabile per noi europei».
Questa diversità di toni tra Baerbock e Macron lascia emergere una serie di differenze di approcci tra Francia e Germania, nonché alcune contraddizioni sulla linea europea nei confronti della Cina. Formalmente, come ribadito da Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l’Ue non riconosce Taiwan e considera l’isola territorio cinese, in linea con la visione di Pechino. Tuttavia, la sua rilevanza economica e industriale, per via della sua produzione di semiconduttori, così come la constatazione di fatto che Taiwan si governa autonomamente da oltre settant’anni, rende difficile per Bruxelles non interessarsi a un escalation militare nella zona.
Queste contraddizioni sono evidenti nella differenza di approcci dei diversi Stati membri verso la Cina, e sono esplose negli ultimi giorni nel botta e risposta instauratosi, seppur indirettamente, tra Francia e Germania, che fanno in ultima istanza riferimento a due concezioni differenti del concetto di «autonomia strategica».
Per Macron, autonomia strategica europea sembra voler dire, innanzitutto, autonomia dagli Stati Uniti, e questo implica il leggere la questione Cina-Taiwan come un conflitto locale in cui l’Europa non deve inserirsi. Questa forma di autonomia comporta, entro certi termini, una vaga tendenza isolazionista, non solo per marcare una differenza da Washington, evitando di seguirne le priorità e di accettarne le linee rosse oltre il quale una situazione non è sostenibile, ma anche per non rovinare i rapporti con altri partner globali (come Pechino, nel caso di Taiwan).
Per Baerbock, invece, coerentemente con la tradizionale visione dei Verdi tedeschi di cui è leader, l’autonomia strategica europea si declina all’interno di una cornice valoriale, pur nella tutela degli interessi economici europei. È significativo, infatti, che le parole più dure verso la Cina, negli ultimi giorni, siano venute da lei, nonostante sia ministra di un Paese che ha enormi rapporti economici con Pechino (che per la Germania è il primo partner commerciale). È chiaro che quest’idea di autonomia presuppone la non messa in discussione dei rapporti con gli Usa, pur nella diversità di obiettivi e rivendicazioni.
Non è detto, in ultima analisi, che le due visioni non siano conciliabili. Ma gli eventi dell’ultimo anno hanno accelerato una serie di trasformazioni, di fronte alle quali l’Ue, e i suoi Paesi membri, arrancano nel trovare visioni condivise in maniera profonda. Se la risposta comune di fronte all’invasione russa dell’Ucraina era più immediata, la questione cinese ripropone differenze di fondo ma, soprattutto, solleva interrogativi sulla strada da intraprendere. In questo senso, la differenza di toni tra Baerbock e Macron non è solo la differenza delle diverse politiche estere dei due Paesi, ma soprattutto un diverso modo di intendere il ruolo dell’Europa nel nuovo contesto globale.