C’era il vino dell’antica Roma, che veniva insaporito con le spezie e con il miele e c’è il vino oggi, che di quell’aiuto non ha più bisogno, ma che continua ad aver bisogno delle api per arrivare nel calice.
Lo sappiamo, le api sono insetti impollinatori e svolgono un ruolo fondamentale, trasportando di fiore in fiore i pollini che permettono di dare origine a frutti, semi e nuove piante. Ma non è finita qui. Lo stomaco delle api, infatti, trasporta lieviti che finiscono nel polline e anche sugli acini. E c’è chi quei lieviti ha deciso di selezionarli, per farci il vino. Infine, l’osservazione di questi preziosi insetti può dire molto sullo stato di salute di un vigneto e dell’ambiente, tanto che qualcuno ha costruito un sistema di spionaggio degno di uno 007, per capire come aiutare gli agricoltori a rendere i vigneti un habitat migliore.
Tra api e biodiversità
«Gli impollinatori sono importanti e soprattutto le api, in primo luogo perché permettono la riproduzione di molte erbe che contribuiscono al benessere del vigneto». Il professor Paolo Fontana lavora alla Fondazione Edmund Mach di Trento, dove si occupa di protezione delle piante agroforestali e apicoltura, studiando da anni questi preziosi insetti. «In Italia ne esistono circa mille specie diverse e venticinquemila nel mondo. Sono particolarmente sensibili e il polline dei fiori imprigiona molto facilmente gli insetticidi, quindi vedere che in un vigneto volano delle api, dei bombi o simili, significa che quell’ambiente è gestito con cura per la biodiversità» spiega. Trovare in un vigneto un manto erboso e fiorito tra le viti è già indice di un ambiente favorevole per le api.
Pare che queste piccole operaie abbiano anche un’altra funzione, oltre a quella di impollinatrici. «Le api mellifere in particolare, sono anche in grado di “riparare” quegli acini che sono stati beccati da un uccello o morsi da una vespa. Là dove c’è una fuoriuscita di succo zuccherino, l’ape va a succhiare, sottraendo sì del liquido, ma sanificando l’acino e contenendo i marciumi, perché toglie il substrato su cui si sviluppano i batteri e i funghi che ne sono responsabili», dice Fontana. Sembra, in sostanza, che l’ape trasmetta qualcosa attraverso la propria microflora batterica, in grado di competere con i batteri “cattivi”. «Su questo aspetto dobbiamo ancora investigare, ma si stanno muovendo sempre più realtà a livello nazionale e il connubio tra apicoltori, viticoltori ed enologi sta via via aumentando, perché ci sono effetti molto positivi anche sulla qualità dell’uva».
Dal polline, il vino delle api
Oltre a una serie di batteri positivi, pare che le api trasportino dentro di sé anche qualcosa di molto importante per il vino: i lieviti, che vengono inavvertitamente depositati sui pollini. La scoperta è stata fatta qualche anno fa da un gruppo di ricercatori dell’Università di Firenze, della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr, che già dal 2012 si erano accorti della presenza di questi lieviti nell’intestino delle vespe. Poi la ricerca è proseguita fino a scoprire che proprio questo ambiente è particolarmente favorevole alla moltiplicazione dei lieviti. Poteva forse non venire a qualcuno l’idea di utilizzare quei lieviti per fare del vino? A pensarci è stata la cooperativa abruzzese Cantina Orsogna, che riunisce 450 soci per oltre 1.400 ettari di vigna, il più grande produttore di vino biologico d’Italia e il più grande a essere certificato Demeter (per il 45% dei vigneti). Niente paura, a nessuna ape è stata torta un’antenna per ottenere i lieviti. Si è utilizzato il polline dei fiori.
Grazie all’amicizia con un produttore di miele della zona, il direttore dell’azienda, l’enologo e agronomo Camillo Zulli, ha iniziato a fare dei tentativi, selezionando direttamente dal polline alcuni lieviti da utilizzare per fare delle prove di vinificazione. Così, per la prima volta nel 2016, è uscita la linea Vola Volé, tredici etichette, di cui cinque vini riserva, prodotti proprio in questo modo. Dal Pecorino alla Cococciola, dal Cerasuolo fino ai Montepulciano d’Abruzzo e non solo, ogni etichetta riporta il disegno di un fiore, dai cui pollini è stato selezionato il lievito. Ci sono biancospino, rovo di mora, castagno, trifoglio, ciliegio e sulla. Ma la ricerca non si è fermata qui e ha fatto da pilota per un ulteriore sviluppo del progetto, che ha portato gli enologi della cantina a spasso per il Parco Nazionale della Majella in cerca di lieviti ancestrali su fiori e frutti selvatici (ne parleremo presto).
Dalla biodiversità alla “vinodiversità” quindi, perché a voler semplificare è un po’ come fare il brodo con il dado. Utilizzare lieviti pre-confezionati è più facile, ma standardizza anche gli aromi del vino, mentre cercarne di nuovi aumenta la varietà.
Gli 007 delle api
La biodiversità, lo abbiamo visto, non è un concetto astratto ma una necessità e la presenza delle api in vigneto in questo senso è fondamentale, come quella di tutti gli altri insetti impollinatori. Allo stesso modo, la loro assenza può essere il sintomo di qualcosa che non funziona correttamente o di pratiche agricole da cambiare. E qui arriva in aiuto la tecnologia. L’azienda lombarda 3Bee, ad esempio, ha messo a punto Element-E, un sistema che aiuta gli agricoltori a capire con precisione qual è lo stato di salute del vigneto. Si tratta di un metodo di monitoraggio delle specie vegetali e degli insetti impollinatori, da far invidia all’Agente Q di James Bond.
«Abbiamo sviluppato due tecnologie. La prima – spiega Simone Mazzola, chief operating officer di 3Bee – si basa sull’analisi di mappe satellitari dell’agenzia aerospaziale Esa, nostro partner. Queste forniscono una fotografia della varietà vegetale e dell’habitat presente nel vigneto e lo confrontano anche con l’habitat circostante. Così si può capire se un’azienda agricola sta dando un contributo positivo all’ambiente o se, al contrario sta beneficiando del contributo positivo degli altri». Ma creare un habitat favorevole non è sempre sufficiente, perché a influire sulla presenza di impollinatori ci sono anche l’uso di pesticidi e diverse altre pratiche svolte in campo. «Per questo abbiamo un sensore, che è una sorta di microfono in grado di ascoltare i rumori ambientali. Il sensore riconosce la presenza e, attraverso le frequenze, anche la quantità e le specie di insetti che volano in vigneto». Una vera e propria cimice insomma, per uno spionaggio green che aiuta gli agricoltori a capire dove stanno sbagliando, intervenire e rendere il proprio vigneto un ambiente sano per le api – e certificabile – aggiungendo piante e fiori autoctoni. Perché, come dice Mazzola, «Aumentare il numero di arnie è importante, ma se non si creano habitat favorevoli per le api gli sforzi non bastano». Per chi volesse però, un alveare si può sempre aggiungere e sul sito di 3Bee è possibile adottarlo, monitorarlo tramite app e riceverne il miele direttamente a casa. Per sentirsi un po’ come degli agenti segreti, con dolcezza.