La dolcezza salverà il mondoPerché ha senso continuare a fare apicoltura in alta montagna

Il Presidio Slow Food dei mieli alpini si allarga: sette produttori in Friuli Venezia Giulia e uno in Trentino Alto Adige aderiscono al progetto che da anni tutela la biodiversità oltre i 1400 metri

Sopra i 1400 metri daltitudine il castagno non si trova, così come lacacia e il tiglio. Queste piante hanno un importante minimo comune denominatore, sono quelle normalmente coinvolte nella produzione del miele in tutta Italia. Tuttavia, si può produrre miele anche sopra i 1400 metri. Da diversi anni, Slow Food tutela gli apicoltori che decidono di scommettere sul miele in alta montagna. L’omonimo presidio si è di recente allargato, accogliendo otto nuovi apicoltori da Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Tre sono le tipologie di miele presenti sulle Alpi: di rododendro, di millefiori e di melata di abete. Nonostante lassenza delle piante tipicamente legate allapicoltura, e dalle quali le api ricavano il nettare che diventerà miele, renda molto difficile fare apicoltura in alta montagna, vi sono tre motivi per cui non si deve demordere, ma continuare a farla.

Una mano alle api…
Il primo riguarda le api, che svolgono un ruolo fondamentale per limpollinazione: infatti, volando di fiore in fiore per cibarsi del nettare, contribuiscono a trasportare il polline dallantera (la parte maschile delle piante) allo stigma (la parte femminile). Questa funzione viene svolta indipendentemente dallaltezza a cui ci si trova. Senza il lavoro delle api, rododendri, campanule, lupinelle e trifogli fiorirebbero con più difficoltà, affidandosi al vento o al lavoro di altri insetti come bombi e api selvatiche. Risulta quindi evidente come lapicoltura favorisca questo processo.

…e una al territorio
Il secondo motivo riguarda la cura della montagna. Lapicoltura genera cura del territorio, così come accade con l’allevamento, che assicura benefici ai prati dove gli animali pascolano durante lalpeggio, anche produrre miele è un modo per combattere labbandono e limpoverimento delle Terre Alte. Inoltre, rappresenta anche uno strumento per arginare lavanzata incontrollata dei boschi, fenomeno che tuttaltro che positivo, in quanto rischia di generare problemi di gestione del territorio, come frane e incendi.

Una qualità superiore
Il terzo, infine, riguarda la bontà del miele di montagna. Il profumo delicato li accomuna tutti, ma ciascuno ha caratteristiche che li distingue dagli altri. Ad esempio, il miele di rododendro e il millefiori è più raffinato, si sposa bene con pecorini stagionati o erborinati. Quello di melata, invece, dal colore quasi nero, ha un sapore più aromatico, migliore per i formaggi di media stagionatura. Anche mieli dello stesso tipo presentano profonde differenze in base alla zona geografica di provenienza della pianta: da ovest a est, dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia, il miele di rododendro ha proprietà organolettiche differenti. Una biodiversità nella biodiversità.

Produrre miele in alta montagna, però, non è semplice. I raccolti sono quantitativamente scarsi: quando lannata è buona (evento che capita una volta ogni quattro o cinque anni), ci si assesta su pochi quintali. Il miele di melata dabete non si fa neppure tutti gli anni, quello di rododendro è così raro che è una peculiarità quasi esclusivamente italiana. Eppure, c’è chi crede in questo lavoro: i produttori coinvolti dal Presidio Slow Food oggi sono una cinquantina in cinque regioni (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige e nella zona carnica del Friuli-Venezia Giulia). Con il recente allargamento, verrà coinvolto tutto larco alpino.

Un patrimonio racchiuso in un vasetto
«In un vasetto di miele ci sono ore di lavoro, competenza tecnica, conoscenza e profondo rispetto per lo straordinario lavoro di questi insetti» spiega lapicoltrice e coordinatrice del gruppo di produttori del Friuli Venezia-Giulia, Alexandra Moretti. «Con gli altri produttori del Presidio Slow Food condividiamo le metodologie di lavorazione e lo stesso approccio verso le api – afferma la referente Slow Food del Presidio Friuli Venezia-Giulia, Luisa Zoratti – la nostra priorità è sostenere la comunità di apicoltori che contribuisce al mantenimento della biodiversità dei prati e dei pascoli di alta montagna, da tempo soggetti all’abbandono. Lo spopolamento delle aree montane può essere contrastato: noi lo facciamo incentivando attività produttive sostenibili e amiche dell’ambiente».
A chi si chiede se continuare a produrre sia conveniente, risponde invece il responsabile del progetto miele di Slow Food, Mauro Pizzato: «Nessuna delle aziende che aderiscono al Presidio è basata a quelle altitudini. Laboratori e arnie si trovano a quote più basse, a media montagna oppure in collina e pianura, e gli apicoltori praticano quello che potremmo definire nomadismo a corto raggio, movimentando poche casse. Ciò che fanno, in altre parole, è spostare le api seguendo le fioriture, risalendo la montagna man mano che la stagione si fa più calda, ma rimanendo sempre all’interno della propria area di riferimento».

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