Il successo della mobilitazione dei sostenitori di Toussaint dalle piantagioni nelle fasi finali del confronto con Hédouville non fu certo un evento fortuito. La rivolta degli schiavi di Saint-Domingue era stata un modello di attivismo democratico popolare che si era andato via via sviluppando e aveva trovato espressione nelle assemblee cittadine, nelle confraternite all’interno delle piantagioni e nelle organizzazioni degli ex cimarroni che avevano istituito una rete di piccole bande di miliziani nell’entroterra e nelle remote regioni montuose di Saint-Domingue.
Alla fine degli anni Novanta del Settecento questa tradizione fortemente radicata nella cultura locale era ancora viva e, nonostante fosse ancora in gran parte favorevole a Toussaint, soprattutto per quanto riguardava la conflittualità con le autorità francesi e la lotta contro le fazioni dissidenti, essa restava una forza sociale indipendente che non si piegò mai del tutto al suo controllo.
In parte per questo motivo, in parte in ragione del basso livello di urbanizzazione, Toussaint cercò di ramificare le proprie reti in tutta la colonia. Aveva recepito – forse meglio di chiunque altro – le innate divergenze tra il Nord, l’Ovest e il Sud, e la natura delle particolarissime alleanze territoriali dei suoi compatrioti, che talvolta potevano scatenare feroci rivalità tra comunità vicine: aveva capito che, nella Saint-Domingue postrivoluzionaria, la politica si muoveva in gran parte su sfera locale.
Conflitti in apparenza circoscritti a un piccolo territorio potevano trasformarsi in men che non si dica in sconvolgimenti di portata molto più ampia, come era accaduto durante gli scontri a Fort-Liberté nel 1798. In ogni caso, costruire una solida base tra le diverse popolazioni locali era un obiettivo che in Toussaint ben si accordava con i suoi istinti da leader: la scrupolosa attenzione ai dettagli, la notevole capacità di ricordare i nomi dei singoli individui e le circostanze specifiche, il legame spirituale con le caratteristiche geografiche di Saint-Domingue.
Il suo rapporto con gli elementi naturali fu uno dei tratti distintivi del suo personaggio, rendendolo, agli occhi di coloro che lavoravano a stretto contatto con lui, «lo straordinario uomo dei Caraibi, plasmato dalla Natura per governare gli uomini straordinari di cui è diventato il capo». Anche la sua agilità negli spostamenti era leggendaria.
Era costantemente in movimento, che si trattasse di tournée programmate nelle più svariate regioni o di spedizioni improvvisate per far fronte a una qualche emergenza, di ispezioni in specifici siti o di visite estemporanee a privati cittadini; in un’occasione viaggiò da Gonaïves a Cap, trenta lieues (quasi centocinquanta chilometri) in dodici ore, cavalcando senza sosta dalle tre del mattino; la notizia del suo arrivo imprevisto portò la folla ad ammassarsi sotto casa sua.
L’annuncio di un suo imminente passaggio in una determinata località provocava grande eccitazione e innescava un’ondata di preparativi festosi in suo onore, che in genere prevedeva anche la preparazione di alimenti facili da masticare, come il pan di spagna, poiché era noto che Toussaint avesse perso i denti anteriori.
L’opinione avversa a Toussaint riteneva che la sua autorità si fondasse esclusivamente sulla forza militare, sui suoi ampi poteri di patronato e la sua capacità di ispirare una forma di devozione quasi religiosa tra i suoi sostenitori. I suoi avversari puntarono in modo particolare su quest’aura messianica: stando alle parole del generale francese Pamphile de Lacroix, «i suoi soldati vedevano in lui un uomo straordinario, e i lavoratori delle piantagioni lo veneravano come una divinità».
Tuttavia, alla base del fascino di Toussaint vi era qualcosa di molto più complesso del semplice potere d’ispirare paura o lealtà feticistiche. Fin dall’inizio la sua strategia fu quella di aggregare le diverse comunità territoriali e allo stesso tempo attingere alle risorse fornitegli dalle istituzioni sociali e politiche preesistenti, dai funzionari della Chiesa ai membri della Guardia nazionale fino agli amministratori comunali: un’impresa dai toni fortemente repubblicani, ancorata alla fede nella naturale bontà dell’uomo e nell’ideale di fratellanza.
Ma il suo era anche un repubblicanesimo creolo, una combinazione unica di elementi europei, africani e indigeni. Questo melange si rifletteva particolarmente nelle celebrazioni organizzate dai locali in suo onore, colorate manifestazioni di entusiasmo collettivo, tributi alla sua autorità, e prova del nuovo ordine sociale, che attraeva tutti i cittadini di Saint-Domingue. Le feste erano spesso indette sia da autorità civili sia da quelle religiose, come accadde per esempio quando nel 1798 Toussaint entrò per la prima volta nell’appena liberata Port-Républicain, subito dopo la partenza degli inglesi.
Un’immensa folla di uomini e donne finemente vestiti, guidati dal clero con tanto di croci, turiboli e stendardi lo accolse alla periferia della città. Lo invitarono a seguirli dopo avergli messo a disposizione un baldacchino trasportato da quattro tra i più ricchi bianchi proprietari di piantagioni: Toussaint rifiutò, affermando che un simile onore era prerogativa soltanto di una divinità.
Ma non poté sottrarsi al tributo che i dignitari avevano programmato per lui: dopo aver marciato attraverso una serie di archi trionfali eretti lungo tutto il percorso che l’avrebbe portato dalle porte al centro della città, Toussaint fu accolto dalle autorità comunali, che lo salutarono solennemente in quanto liberatore di Saint-Domingue e gli offrirono una medaglia recante l’iscrizione: «Secondo solo a Dio».
Fu un momento molto emozionante. Quello era stato lo slogan intonato dai seguaci di Makandal nella fase culminante delle loro cerimonie vudù, quando progettavano di avvelenare ed eliminare tutti i bianchi proprietari di piantagioni di Saint-Domingue: gli indigeni avevano ripreso il motto e lo avevano attribuito al loro nuovo eroe.
Anche il concetto della reincarnazione simbolica di Makandal rifletteva sia la sensibilità cattolica e caraibica sia gli aspetti più realistici del razionalismo repubblicano. L’approccio di Toussaint alla politica locale si adattava perfettamente al suo stile, che si era a sua volta progressivamente adattato alle istituzioni preesistenti per raggiungere determinati scopi e sfruttare di volta in volta l’opportunità di creare nuove alleanze politiche che fossero durature. Da qui, una delle espressioni in lingua creola da lui preferite: «Doucement allé loin».
Per radunare le differenti comunità locali Toussaint usava metodi vari e fantasiosi. Tra questi gruppi vi era quello dei massoni. Non vi sono prove che Toussaint fosse egli stesso un massone, tuttavia la sua singolare firma includeva un simbolo massonico tipico dell’età della rivoluzione: due barre inclinate inframezzate da tre punti.
Il suo ex capo, Bayon de Libertat, era uno dei dignitari massonici di Cap, le cui logge furono particolarmente attive nel decennio precedente la rivoluzione; inoltre i valori fondamentali della massoneria – solidarietà, discrezione, fratellanza e carità – ricalcavano quelli di Toussaint.
La lista dei membri della loggia di Port-Républicain, La Réunion Désirée à l’Orient, rivela che alcuni dei più fedeli collaboratori di Toussaint erano massoni: tra questi, suo fratello Paul, che era il maestro di cerimonie della loggia, e Christophe Huin, il comandante militare di Port- Républicain, tra i subordinati più fedeli a Toussaint; erano nella stessa loggia anche molti dei suoi sostenitori bianchi appartenenti alle élite amministrative, legali, commerciali e delle piantagioni.
Nell’entourage di Toussaint figuravano inoltre diversi funzionari provenienti dalla Guascogna, per esempio i segretari Pascal e Dupuis, il suo interprete Nathan, e Lacoste, l’ufficiale capo medico della colonia (che Hédouville aveva cercato di licenziare); tra questi, molti erano affiliati delle reti massoniche. E uno dei suoi più appassionati ammiratori all’interno della gerarchia amministrativa di Saint-Domingue era proprio l’ingegnere Charles Vincent, fervente massone.
Pertanto, nonostante sia probabile che Toussaint non fosse un massone, egli era comunque circondato da uomini che lo erano, e trovò il modo di attingere alla loro rete per ampliare il raggio d’azione della sua leadership e promuovere i suoi obiettivi e i suoi valori.
Il carattere locale dello stile politico di Toussaint è particolarmente evidente nella sua roccaforte di Gonaïves, che aveva sottratto agli spagnoli. Toussaint ricostruì la città da cima a fondo, pavimentò le strade principali, ne ampliò il canale e ne impreziosì gli edifici più importanti. In seguito alla partenza di Laveaux nel 1796, Toussaint trasformò il distretto di Gonaïves in «un’enclave più o meno indipendente» sotto il suo comando politico e militare.
Si assicurò che l’amministrazione fosse dotata di personale leale e competente, e tenne d’occhio le deliberazioni del consiglio comunale. Instaurò inoltre legami forti e duraturi con ricchi imprenditori, per esempio Cazes, un opulento mercante (noto anche come «Gros-Cazes»), che sarebbe poi diventato uno dei suoi inviati e consulenti finanziari più affidabili (era lui l’uomo che fu spedito a Parigi per consegnare il rapporto del 22 brumaio anno VII [12 novembre 1798] su quanto era avvenuto con Hédouville).
Toussaint stabilì il suo quartier generale in un’abitazione nel vicino comune di Ennery, concessagli da Madame Descahaux, che apparteneva a una delle famiglie bianche più influenti della colonia. Questo sito leggendario, rinomato per i suoi lunghi viali, i profumati roseti e la splendida residenza principale, divenne ben presto il rifugio preferito di Toussaint: un luogo isolato in cui teneva i suoi incontri segreti, sia con i propri agenti sia con gli emissari stranieri; un comando militare, presso cui ufficiali provenienti da tutta Saint-Domingue si recavano per ricevere istruzioni; e, infine, una base da cui gestire la restaurazione dell’ordine nelle piantagioni della colonia.
Era anche una reggia destinata alle serate culturali e agli incontri sociali. Toussaint traeva un «piacere indescrivibile» dalle esibizioni musicali, soprattutto se si trattava di musica militare, e non di rado convocava trombettisti e tamburini perché si esibissero per lui subito dopo cena.
Da “Spartaco nero” di Sudhir Hazareesingh, Rizzoli, 600 pagine, 27 euro.