Meglio soli che male accompagnati. La vecchia frase fatta non è ancora applicabile al modo in cui la Cina vede la Russia, ma Vladimir Putin rischia di rivelarsi per Xi Jinping una cattiva compagnia. O meglio, un cattivo esempio. Non è certo una novità. La Cina ha sempre visto nella dissoluzione dell’Unione Sovietica una storia di fallimento da non ripetere. La stessa invasione dell’Ucraina viene percepita come un azzardo non calcolato. E la vicenda della ribellione del Gruppo Wagner, per quanto fallita, rafforza il discredito sulla Russia.
Ovviamente questo non significa la Cina abbandonerà la Russia al suo destino o ne prenderà le distanze. Anzi, potrebbe anche essere vero il contrario: per Pechino è troppo importante che l’immenso vicino sia stabile, troppo importante assicurarsi che Putin resti al suo posto finché non ci sarà un’eredità chiara e definita, per evitare la frammentazione di un Paese che offre una sponda politico-retorica alla Cina nella sua competizione con gli Stati Uniti. Anche se, mentre in Ucraina sembra aumentare il rischio di una crisi nucleare, emergono visioni e racconti asimmetrici sulle relazioni bilaterali. Forse tattica, forse realtà.
Di certo a Xi non fanno piacere i tormenti interni della Russia, né l’eccessivo perdurare di un conflitto che sta portando a Pechino forse più svantaggi che vantaggi. Soprattutto se Putin dovesse fare nuovi passi azzardati, per il suo presunto «amico senza limiti» (diventato in realtà al vertice dello scorso marzo al Cremlino un semplice «amico di vecchia data») sarà sempre più complicato restare in equilibrio tra la duplice necessità di sostenere politicamente la Russia senza pregiudicare del tutto il rapporto con l’occidente.
Che cosa ha detto e fatto esplicitamente la Cina dopo la rivolta
Le ore dell’ammutinamento e della marcia di Yevgeniy Prigozhin sono state seguite con preoccupazione da Pechino, rimasta in silenzio fino a quando la situazione non è tornata parzialmente sotto controllo. I media di Stato hanno dato spazio soprattutto alle parole di Putin, ma sui social e i principali aggregatori di notizie i contenuti più letti erano dominati dalle vicende russe.
Poi, la domenica in cui si è arrestata la marcia del Gruppo Wagner, il viceministro degli Esteri russo Andrei Rudenko è andato a Pechino per incontrare l’omologo Ma Zhaoxu e il ministro Qin Gang. Non è chiaro se il viaggio fosse già programmato o sia nato proprio dalla rivolta. Di certo, si sa che il governo cinese ha detto di sostenere «gli sforzi della Russia per proteggere la stabilità del Paese». Nel resoconto degli incontri non sono comparsi riferimenti al Gruppo Wagner e si è parlato in modo generico di «scambio di opinioni sulle relazioni e questioni internazionali». Il ministero degli Esteri ha ribadito poi nei giorni successivi il sostegno alla stabilità russa e l’impegno a mantenere aperte le comunicazioni a tutti i livelli. La prospettiva diffusa sui social che dietro Prigozhin ci fossero gli americani non è stata invece utilizzata in maniera ufficiale, forse anche per non compromettere gli sforzi al dialogo aperti dalla recente visita a Pechino di Antony Blinken e da quella di Janet Yellen.
Successivamente, altri incontri regolari per segnalare che la crisi non intacca le relazioni. Il ministro della Difesa cinese Li Shangfu ha ricevuto a Pechino il capo della Marina russa, l’ammiraglio Nikolai Yevmenov. Li ha detto a Yevmenov che spera che le marine dei due Paesi rafforzino la comunicazione a tutti i livelli e organizzino esercitazioni e pattugliamenti congiunti su base regolare. Proprio in questi giorni, la Cina ospita due navi da guerra russe che in precedenza avevano navigato davanti a Taiwan e al Giappone per un’esercitazione congiunta.
Gli scenari futuri
La vicenda potrebbe comunque avere un impatto sulle dinamiche delle relazioni sinorusse. È evidente sin dall’inizio della guerra che la prima preoccupazione di Pechino sia la stabilità del sistema di potere di Putin. Non perché l’amicizia nei suoi confronti sia davvero «senza limiti», ma perché a Mosca non c’è una forza politica in grado di garantire continuità in un passaggio di leadership. L’eventuale disgregazione del territorio russo, o la creazione al suo interno di piccoli feudi, farebbe nascere inediti rischi in un territorio immediatamente prossimo a quello cinese. Con ogni probabilità, le relazioni rimarranno forti, soprattutto a livello ufficiale. Ma l’ammutinamento ha probabilmente anche portato Pechino a considerare con maggiore urgenza come verrebbero colpiti i propri interessi geopolitici, economici e territoriali se Putin venisse improvvisamente rovesciato.
Durante la sua visita di marzo al Cremlino, Xi si è inusualmente sbilanciato sugli affari politici interni di un altro Paese, augurandosi la conferma di Putin nel 2024. Un modo per segnalare all’esterno che se si vuole trattare non si può pensare a un cambio di regime. Xi proverà ad aiutare a puntellare la poltrona del «vecchio amico» con qualche limite, ma il tentato colpo di Stato della Wagner è un campanello d’allarme per Pechino, che potrebbe «vedere quando accaduto come un grave segno di incompetenza», sostiene Sari Ahro Havren sul Moscow Times. Questo non significa che la Cina prenderà le distanze dalla Russia o da Putin stesso ma che, come sottolineato sull’Economist da Alexander Gabuev del Carnegie Endowment for International Peace, «l’attuale frenesia» e raffica di incontri bilaterali segnala la volontà di non farsi trovare di sorpresa di fronte a inattesi ribaltoni. Ma per Joseph Torigian, esperto di politica cinese dell’American University, «Pechino non sosterrà qualcun altro perché sa che sarebbe estremamente destabilizzante e probabilmente non funzionerebbe».
Mosca sembra sempre più dipendente e politicamente da Pechino e continua a mostrare disponibilità ad approfondire ulteriormente i rapporti. La scorsa settimana è stato aperto proprio a Mosca il primo laboratorio di ricerca sullo studio del pensiero di Xi Jinping al di fuori del territorio cinese. «Il Partito comunista cinese la vedrà come una potente legittimazione», ha detto Torigian a Politico. L’ex fratello maggiore che studia il pensiero dell’ex fratello minore che ora ha preso il suo posto come partner di maggioranza. La leva negoziale di Pechino, insomma, aumenta ancora di più. Per questo ci si può aspettare che si cerchi di ottenere ulteriori vantaggi sui costi dei grandi progetti energetici bilaterali, sui quali potrebbero sorgere diversi dubbi legati alla sicurezza. Prevedibile che la Cina si proietti con ancora maggiore convinzione in Asia centrale e nelle repubbliche ex sovietiche, di recente ospitate a Xi’an nel primo summit bilaterale senza Mosca.
Che cosa pensano gli studiosi cinesi
Sulla vicenda si sono espressi, quasi sempre su media interni, anche diversi esperti di Pechino. «Il governo cinese crede ancora nel controllo di Putin sulla Russia e crede anche nella stabilità a lungo termine della società russa», ha affermato Wang Wen del Chongyang Institute for Financial Studies presso la Renmin University di Pechino. «Sarebbe un errore di valutazione strategica pensare che l’incidente di Wagner possa dividere Cina e Russia».
Yan Xuetong della Tsinghua University ha una visione più ampia: «Dal punto di vista della sicurezza, questa guerra non ha migliorato la sicurezza della Cina, ma ha sottoposto la Cina a maggiori minacce alla sicurezza», ha detto a Pekingnology. Liu Weidong, Accademia cinese delle scienze sociali (CASS), sostiene che Mosca ha cercato di «approfittare» di Pechino, sia prima che dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Li Hao della Sichuan University ha dichiarato a The Paper che «una Russia in subbuglio sarebbe un disastro per il mondo intero». Per quanto di breve durata, Li sostiene che l’ammutinamento ha inferto «un duro colpo alla Russia». Lo studioso trova le ragioni nel fatto che Mosca «non è riuscita a stabilire una stabile catena di comando in Ucraina», con diverse fazioni in competizione tra loro. Pertanto, quando la guerra non va favorevolmente per la Russia, le lotte intestine tra questi diversi gruppi sono destinate a scoppiare. Un commento che sembra anche una lezione da trarre per la leadership cinese, come il seguente: «Consentire a tali forze armate private di crescere è come nutrire una tigre. È destinato a ritorcersi contro».
A preoccupare in Cina sono anche gli ultimi sviluppi, che potrebbero portare Putin ad azioni più drastiche con un aumento del pericolo nucleare. Ni Lexiong, professore di scienze politiche all’Università di scienze politiche e diritto di Shanghai, ha affermato che Pechino è preoccupata per ciò che potrebbe accadere se il presidente russo si sentisse messo alle strette. «Lo scenario peggiore è che Putin usi un’arma nucleare tattica come ultima risorsa per vincere», ha detto. Gli fa eco Zhou Chenming dell’istituto di ricerca di scienze militari e tecnologiche Yuan Wang: «Non bisogna costringere Putin a diventare un altro Adolf Hitler, tenendo presente che la guerra in Ucraina ha già infiammato l’ascesa del nazionalismo in Russia».
I messaggi dietro le quinte
Proprio intorno alle armi nucleari gravita l’ultimo retroscena sui dialoghi tra Xi e Putin. Secondo fonti cinesi e occidentali citate dal Financial Times, il presidente cinese avrebbe avvertito quello russo di non utilizzarle durante la sua ultima visita al Cremlino. La Russia sostiene si tratti di «invenzioni» ma è interessante sottolineare come al di là delle dichiarazioni ufficiali i funzionari di entrambe le parti descrivano diversamente i rapporti bilaterali. Sin dall’inizio della guerra, Mosca cerca di convogliare l’immagine di una Cina più allineata di quanto non sia realmente. Basti ricordare che le indiscrezioni poi mai confermate dei media americani sulla fornitura di armi cinesi nascerebbero proprio da soffiate di fonti russe.
Esagerare la portata del sostegno cinese risponde a un duplice obiettivo di Mosca: mostrare di avere un amico importante e potente, e provare a fare uscire quest’ultimo dall’ambiguità strategica e fornire davvero un sostegno maggiore di quello fornito sinora. Non a caso la formula dell’amicizia «senza limiti» continua a essere ripetuta da parte russa mentre quella cinese non l’ha mai più utilizzata sin dal 24 febbraio 2022, cosciente che quel documento congiunto di venti giorni prima siglato in apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Pechino ha avuto un effetto a dir poco negativo sui rapporti con l’occidente.
Proprio i rapporti con l’occidente sono nella mente delle parti cinesi, quando queste invece contestualizzano e minimizzano la portata del sostegno alla Russia. Aprendo persino a immaginare una pace non così diversa da quella ucraina, qualora però a sostenerla fossero di comune accordo le Nazioni Unite e dopo un cessate il fuoco immediato. E, ovviamente, la garanzia di tutela delle «legittime preoccupazioni di sicurezza» di Mosca. Tatticismi e rimodulazioni, con ogni probabilità, ma che mostrano come i due partner abbiano sì diversi interessi comuni ma anche esigenze e modus operandi molto diversi.
La reazione sul fronte interno
L’ammutinamento di Prigozhin può portare anche a reazioni sul fronte interno cinese. Non tanto delle mosse inedite, ma un’accelerazione di processi già in corso. Nelle due settimane immediatamente seguenti alla rivolta sono arrivate tre nuove leggi. Due attese, quella sulle relazioni estere e quella sul controspionaggio. L’altra è invece una novità ed è ancora una bozza: quella sull’educazione patriottica. Il testo specifica che le scuole a tutti i livelli devono integrare l’educazione patriottica nell’intero processo educativo. Sottolinea inoltre l’importanza di fornire corsi di teoria ideologica e politica e di integrare i loro contenuti nelle varie materie. Prevista con la valorizzazione di musei, siti o luoghi legati alla storia del partito e all’eredità culturale cinese. Il tutto mentre si insiste sullo studio del pensiero di Xi tra scuole, centri di ricerca e apparato politico. Anche sul piano regionale, si vuole rendere chiaro che se la Russia dà segnali di frammentazione, questo non si ripercuote sulla Cina come già non ha fatto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Sul fronte dei gruppi armati, Pechino ha meno preoccupazioni di Mosca. Le somiglianze tra il Gruppo Wagner e i corrispettivi cinesi sono limitate. Il controllo del Partito è pressoché totale anche sui gruppi di sicurezza che agiscono in patria o all’estero, a tutela degli investimenti lungo la Belt and Road. A differenza delle forze combattenti paramilitari di Wagner che sono equipaggiate per la guerra, le società di sicurezza cinesi si occupano principalmente di compiti di guardia che non richiedono armi letali. Per lavori più pericolosi all’estero, le società di sicurezza cinesi funzionano come consulenti, assumendo e gestendo personale locale che potrebbe essere armato. Il concetto di sicurezza nazionale, il vero mantra della nuova era di Xi, non è rivolto solo verso l’esterno ma anche e soprattutto verso l’interno. Altro insegnamento colto osservando il fallimento sovietico.