Proviamo a tirare le somme sulla famosa marcia verso Mosca della Wagner. Quella marcia che, se fosse stata fatta nel 1922, avrebbe inverato lo slogan «o Roma o Orte», visto che si sono fermati prima di arrivare alla capitale.
Per capirci qualcosa, dobbiamo partire dal protagonista, cioè lo stesso Yevgeniy Prigozhin. A mio parere bisogna inquadrarlo correttamente per quello che è, il che, come spesso accade, si lascia definire innanzitutto in negativo: non è (più) un mercenario, perché il mercenario ubbidisce a chi lo paga e gli dà un minimo di garanzia di autonomia organizzativa e operativa. E non è (mai stato) un leader politico, perché questo ha un progetto generale per la nazione, che va al di là della sua compagnia di ventura.
Prigozhin, e la Wagner con lui, è in parte una via di mezzo: un signore della guerra, vale a dire uno che controlla una propria forza militare e vuole usarla per i suoi fini, che non sono quelli di governare una grande nazione, ma di gestire risorse economiche ed esercitare influenza.
Sergey Shoigu e Valery Gerasimov, in fondo, miravano a farlo tornare mercenario: avrebbe dovuto mettersi a contratto diretto con il ministero della Difesa, integrarsi nel dispositivo militare russo ed essere impiegato di conseguenza, dietro compenso e, probabilmente, mantenendo un certo grado di autonomia. Insomma, un po’ come quel buffone di Ramzan Kadyrov, che infatti si è affrettato a firmare il contratto. Di fronte a questa prospettiva, Prigozhin ha fatto quello che fa un signore della guerra: ha occupato due posizioni nevralgiche (Rostov e Voronezh), da cui sarebbe stato difficilissimo cacciarlo via e che gli davano un immenso potere di ricatto, visto che poteva mettere a repentaglio l’intera campagna ucraina. Poi ha fatto una grossa dimostrazione di forza, che però valeva solo come performance.
Breve puntualizzazione: diceva di avere venticinquemila uomini, il che significa ventimila disponibili, a essere molto generosi. Diciamo che una metà è andata verso Rostov e lì si è trincerata. L’altra metà ha preso Voronezh, ha lasciato un bel po’ di uomini a controllare le basi catturate e il resto si è mosso verso Mosca: circa cinquemila, forse seimila uomini sull’autostrada, parte dei quali si sarà certamente fermata a occupare altri punti nevralgici, come il famoso deposito di armi nucleari. A Mosca ne sono arrivati, più o meno, sui due-tremila, ovviamente insufficienti a occupare la città: al minimo segno di resistenza, il tentativo sarebbe fallito.
Ma nemmeno doveva riuscire, perché intanto Prigozhin aveva ottenuto due risultati importantissimi: umiliare lo Stato, che non è stato in grado di muovere un dito per fermarlo e che anzi ha ostentato una sostanziale indifferenza, e ricattarlo con l’occupazione dei due punti strategici realmente rilevanti. Tutto questo, mentre conduceva una trattativa serrata, perché, appunto, non vuole essere degradato a mercenario ma nemmeno promosso a politico: vuole semplicemente avere il controllo sulle sue forze e usarle come gli pare. Il che significa non consumarsi in Ucraina ma macinare quattrini in Africa: con la presa di Bakhmut, la Wagner aveva pagato il suo tributo di fedeltà alla patria, peraltro consumando in prevalenza i carcerati ottenuti insieme ad altro materiale (armi e munizioni) dai depositi dello Stato, ma a questo punto riteneva di aver fatto abbastanza.
L’alternativa sarebbe stata cacciare Shoigu e Gerasimov e consegnargli di fatto il controllo dello Stato: ovviamente inaccettabile per Vladimir Putin, che avrebbe dovuto dare al signore della guerra le chiavi del potere militare. Ma mi pare che fosse ben lontano anche dalle intenzioni dello stesso Prigozhin, che si sarebbe trovato invischiato in una palude velenosa.
Risultato: adesso la Wagner va in Bielorussia, con tutti quelli che intendono continuare a farne parte. Ha persino riaperto i suoi uffici e ripreso il reclutamento, divenendo di fatto un’agenzia che permette a chi ha pochi scrupoli e un certo spirito di avventura di uscire dalla Russia e cercare fortuna altrove.
Mi sembra che il debolissimo discorso di Putin, nella sua scarsa sostanza, confermi questa lettura. Dopo una serie di fandonie sulla pronta risposta dello Stato, dell’esercito e del popolo, roba che manco Wanna Marchi al top della forma, lo zar ha dovuto ammettere che l’ammutinamento era stato un duro colpo per la Russia. Con un interessante non sequitur, dopo aver tributato ogni omaggio a chi si era opposto e ai “piloti eroi” abbattuti dagli insorti, Putin è arrivato al nocciolo: dato che, comunque, quelli della Wagner sono patrioti che si erano resi conto dell’errore, se ne erano pentiti e si erano fermati prima dell’irreparabile, non sarebbe il caso di punirli. Quindi, vengono offerte loro tre alternative:
– entrare nell’esercito (opzione che ritengo altamente sconsigliabile, visto che immagino li disperderebbero tra unità fortemente risentite nei loro confronti e avrebbero vita proverbialmente brutale e breve);
– tornare alla vita civile (che nella Russia di oggi non offre il massimo delle prospettive);
– andarsene in Bielorussia e sostanzialmente continuare a fare le milizie del signore della guerra in luoghi meno pericolosi dell’Ucraina (unica opzione sensata).
Di conseguenza, la Wagner ha conservato la propria autonomia e si è completamente affrancata da ogni autorità cui rendere conto: è diventata un potere autonomo. Riguardo al da farsi, mi pare che vi siano sostanzialmente due alternative. La prima è tornare in Africa, dove capitalizzare i quattrini e la fama ottenuti in vario modo in questi mesi ed esercitare un ruolo di primo piano in posti pieni di miniere e altre ricchezze. Qui, qualche migliaio di uomini ben addestrati, ben armati, devoti e decisi può fare la differenza in diversi contesti.
L’altra possibilità è restare, almeno in parte, in Bielorussia, a fare da pretoriani del regime di Alyaksandr Lukashenka, che ha certamente bisogno di un corpo armato credibile e, dal punto di vista politico, può trovare più comodo ricorrere a una milizia mercenaria che affidarsi alla periclitante e ingombrante tutela russa.
Dal canto suo, l’Ucraina ci guadagna l’uscita di scena di una formazione militare decisamente fastidiosa e un ulteriore indebolimento del regime nemico, che dovrà anche trovare una nuova maniera di arginare il dinamico duo Shoigu-Gerasimov. Resta chiaro che, sfumata l’irrealistica possibilità di un regime change improvviso in Russia, la partita si decide sul campo di battaglia; mantenere il sostegno militare a Kyjiv, anzi, rafforzarlo è il miglior modo per chiuderla presto e con il minor danno possibile.
Ultima nota: la prospettiva di un attacco della Wagner attraverso la Bielorussia è al momento piuttosto improbabile. La Wagner è un corpo di fanteria d’assalto, molto efficace in contesti urbani limitati e come corpo mobile per azioni di guerriglia e controguerriglia, non di una formazione meccanizzata in grado di penetrare in profondità nel territorio nemico e attaccare obiettivi ben difesi.
Il territorio di confine tra Ucraina e Bielorussia è una palude difficile da attraversare, dove l’offensiva russa dell’anno scorso si era impantanata irrimediabilmente. Oggi il confine è ben sorvegliato, presidiato, fortificato e minato; dietro questa linea, si trovano due brigate pesanti, con una copertura antiaerea efficacissima che garantirebbe campo libero all’aviazione ucraina. In breve, lanciando un’offensiva da quella parte potrebbe essere molto rischioso. E Prigozhin, che ha ben dimostrato di non essere uno stupido, lo sa benissimo.