La maggioranza Ursula si è formata nel novembre 2019 per il consenso ottenuto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sulle tre priorità politiche della legislatura 2019-2024: la neutralità climatica, la società digitale e la dimensione geopolitica. Valuteremo dopo il discorso sullo stato dell’Unione del 13 settembre 2023 il livello di attuazione di queste tre priorità tenendo conto delle sfide maggiori che hanno caratterizzato la nona legislatura al tramonto (pandemia, guerra, inflazione e flussi migratori) insieme al mutamento degli equilibri politici nel Parlamento europeo e nel Consiglio stimolati dagli effetti delle sfide che erano inattese all’inizio della legislatura.
A ogni sfida si è accompagnata una crisi, non sempre l’Unione europea è stata capace di reagire con rapidità ed efficacia e le sfide torneranno di nuovo a scuotere il processo di integrazione europea nella nuova e decima legislatura europea perché il sistema europeo è rimasto immutato e molte incertezze pesano sui rapporti fra le forze politiche e i governi dopo le elezioni nel giugno 2024.
Come sappiamo, la priorità delle priorità era stata identificata dalla Commissione europea nello European Green Deal, apparso nel 2019 come l’innovazione principale nelle politiche europee fondate sui dati forniti dalla scienza internazionale, sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile, sullo stato di degradazione del pianeta, sull’esigenza di offrire agli europei il bene pubblico della qualità dell’ambiente e sull’impegno di collocare l’Unione europea al vertice della lotta internazionale al cambiamento climatico.
Lo European Green Deal era del resto coerente con le iniziative internazionali a cominciare dagli Accordi di Parigi del 12 dicembre 2015 ma ancor di più con la necessità di avviare una strategia europea per garantire la biodiversità e cioè la salvaguardia di tutte le specie viventi che apportano ossigeno, cibo e acqua fornendo materie prime, energia, prodotti medici e naturalmente alimentazione. Dal 1980 sono apparse sempre più evidenti le minacce contro la biodiversità derivanti dalla conversione degli ambienti naturali in ambienti artificiali, dall’inquinamento dell’aria e del suolo, dal cambiamento climatico e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali come avviene nell’agricoltura intensiva. L’obiettivo della garanzia della biodiversità si è infine tradotto alla fine del 2022 nell’accordo di Montreal della COP15 firmato dai membri delle Nazioni Unite e naturalmente dall’Unione europea.
La legge europea sul ripristino della natura su cui si è espresso a maggioranza (330 si 300 no e 13 astensioni) il Parlamento europeo il 12 luglio rappresenta lo strumento giuridico essenziale per mantenere e mettere in atto uno degli obiettivi fondamentali dello European Green Deal nel quadro di un insieme di varie decine di atti normativi proposti dalla Commissione europea durante la legislatura e approvati dal legislatore (Consiglio e Parlamento).
Come abbiamo detto, lo European Green Deal era stato posto al centro della maggioranza Ursula nel 2019 nel quadro di un accordo politico e di programma a cui avevano contribuito il PPE, i socialisti, i liberali, i Verdi che avevano dato la fiducia alla Commissione europea, un accordo da cui si erano dissociate le destre e le estreme destre di Fratelli d’Italia, della Lega, del Rassemblement National, di Vox e dell’AFD e più in generale i sovranisti.
È dunque grottesco che, nel tentativo di costruire una nuova coalizione di centro-destra, il leader del PPE Manfred Weber abbia spinto il suo gruppo a rovesciare la linea politica su cui si era fondato l’accordo raggiunto all’inizio della legislatura con tutti gli europeisti dell’assemblea lasciando in minoranza i sovranisti.
Politicamente, il tentativo di Manfred Weber è fallito perché la legge sul ripristino della natura non è stata respinta dalla assemblea per l’impegno comune di socialisti, liberali, verdi, sinistre e anche di una piccola minoranza del PPE e addirittura di una sparuta pattuglia dell’ECR.
Si tratta di un segnale significativo in vista delle elezioni europee del 2024 e del modo in cui si comporranno le istituzioni europee dopo le elezioni se saranno confermati dal voto con variazioni marginali gli equilibri fra i gruppi politici sottoposti tuttavia alla spada di Damocle del risultato delle molte elezioni nazionali che avranno luogo fra il 23 luglio 2023 (Spagna) e il 9 giugno 2024 (Belgio).
Per ora la maggioranza europeista ha tenuto nel voto sul ripristino della natura ma ha tenuto perché ha dovuto accettare i molti emendamenti presentati soprattutto dai parlamentari di Renew Europe – ma non solo da loro – che hanno parzialmente snaturato, con una parola che ben si adatta a quella legge, il testo proposto dalla Commissione europea e già indebolito nelle discussioni fra i governi.
Sono stati cancellati dal testo originale gli obblighi e gli obiettivi cifrati che derivano non da una ideologia ambientalista ma da lunghi e approfonditi studi scientifici oltre che dagli accordi di Montreal, l’introduzione “contro natura” del fatto che le condizioni di applicazione della legge potranno essere sospese su richiesta del legislatore alla Commissione europea, la soppressione di tutte le disposizioni che riguardano la restaurazione degli ecosistemi agricoli come se non esistesse un rapporto fra l’agricoltura (e in particolare l’agricoltura intensiva) e la restaurazione della natura e la lotta al super-riscaldamento di cui sta soffrendo in queste settimane l’emisfero occidentale, l’evaporazione delle norme per la protezione degli insetti e dell’impollinazione, la limitazione delle norme alle aree protette e la restaurazione degli ecosistemi terrestri, costieri e di acqua dolce in vista delle scadenze del 2030, 2040 e 2050.
Tutto ciò è la conseguenza della violenta campagna di disinformazione condotta dal PPE alleato delle destre sovraniste, una campagna che sarà al centro delle elezioni europee nel giugno 2024 e dalla situazione inedita di un Parlamento che in questo come in altre scelte legislative è apparso talvolta meno ambizioso dei governi.
Questo dibattito e questo risultato di un bicchiere mezzo vuoto devono essere letti anche alla luce del lavoro che sta andando, molto lentamente, avanti per la revisione del Trattato di Lisbona dove gli europeisti hanno fatto il grave errore di concedere al PPE l’associazione al gruppo di relatori di un parlamentare polacco dell’ECR.
Il Parlamento europeo lascerà in eredità alla prossima legislatura questo lavoro, se esso sarà concluso con un compromesso – si spera – che non sia un minimo comune denominatore, dato che non ci sono le condizioni politiche e di calendario per avviare il processo di riforma prima delle elezioni europee mentre appare più realistico abbandonare la strada stretta della “convenzione” e incamminarsi su quella di un processo costituente.