Fuori fuocoDovremmo preoccuparci meno delle disuguaglianze economiche e più della povertà

Spesso si dice che il capitalismo sia responsabile dell’aumento del divario tra ricchi e poveri degli ultimi decenni. Tutte le statistiche però indicano che moltissime persone in tutto il mondo sono uscite dalla condizione di indigenza, con un netto miglioramento della qualità della vita

Unsplash

Quali sono le critiche che vengono solitamente rivolte al capitalismo? Mantiene povere alcune aree del mondo, crea disuguaglianze, distrugge l’ambiente, produce continue crisi finanziarie, avvantaggia solo i ricchi che dettano l’agenda politica, favorisce la nascita di monopoli, è guidato solamente dall’avidità e dalla ricerca del profitto, ci spinge a un consumismo sfrenato. In otto articoli, pubblicati a cadenza settimanale su Linkiesta, Rainer Zitelmann prova a rispondere a tali critiche, basandosi sui contenuti del suo recente libro, Elogio del capitalismo (IBL Libri, 2023).

Nel 2014, i due programmatori di computer americani Brian Acton e Jan Koum vendevano a Facebook la loro creatura, WhatsApp, per una cifra pari a 19 miliardi di dollari. Due miliardi di persone in tutto il mondo oggi utilizzano WhatsApp per inviare non solo messaggi e files, ma anche per effettuare chiamate telefoniche gratuite. Grazie alla loro idea, i due fondatori di WhatsApp hanno accumulato una fortuna complessiva di 16 miliardi di dollari. La disuguaglianza è cresciuta perché oggi ci sono altri due multimiliardari? Certamente. Ma ha danneggiato qualcuno, tranne forse i fornitori di piani telefonici costosi?

In Cina, grazie all’introduzione della proprietà privata, il numero di persone che vivono in estrema povertà è diminuito dall’88 a meno dell’1 per cento dai primi anni Ottanta. Allo stesso tempo, il numero di persone facoltose è aumentato più che in ogni altro paese. Oggi, solo gli Stati Uniti vantano di un più elevato numero di miliardari che in Cina. La disuguaglianza è salita, la povertà è scesa. Qualcuno pensa che le persone in Cina vogliano ritornare allo stile di vita praticato sotto Mao, semplicemente perché c’era maggiore equità tra le persone?

Il fatto che nel dibattito pubblico si discuta più della disuguaglianza che della povertà è un segnale di come le persone siano mosso da “invidia”, anche se i critici della disuguaglianza negano questa motivazione. L’invidia è l’emozione più negata, repressa e mascherata. L’antropologo George M. Foster si è chiesto perché le persone possano ammettere sentimenti di colpa, vergogna, orgoglio, avidità e persino rabbia senza perdere l’autostima, ma trovano quasi impossibile ammettere sentimenti di invidia. Egli ha offerto questa spiegazione: chi ammette a se stesso e agli altri di essere invidioso, ammette anche di sentirsi inferiore. Proprio per questo è così difficile riconoscere e accettare la propria invidia.

Quanto fortemente il tema della disuguaglianza e il “divario fra ricchi e poveri” interessi i media – e non solo quelli – è divenuto lampante grazie all’eccezionale successo avuto dal libro dell’economista francese Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo”. Piketty ammette che la disuguaglianza è diminuita, non aumentata, durante la maggior parte del XX secolo. Solo a partire dal 1990 si è registrata un’evoluzione negativa verso una maggiore disuguaglianza. Gli anni che sono stati particolarmente negativi, dal punto di vista di Piketty, in realtà sono stati i migliori per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Nei vent’anni in cui Piketty sostiene che la disuguaglianza è aumentata (1990-2010), ben 700 milioni di persone sono uscite dalla povertà estrema.

La critica alla disuguaglianza in Gran Bretagna, specialmente per gli alti stipendi di manager, ha spesso a che fare con cifre false. Damien Knight e Harry McCreddie hanno dimostrato che molte statistiche pubblicate dai media sull’aumento delle retribuzioni dei dirigenti o sull’andamento del rapporto tra le retribuzioni dei dirigenti e quelle dei dipendenti, sono grossolanamente errate perché coloro che effettuano questi calcoli spesso non hanno nemmeno una comprensione rudimentale delle metodologie matematiche o statistiche. Per esempio, le medie e le mediane vengono spesso confuse, o non è fatta alcuna distinzione tra premi retributivi concessi e premi retributivi effettivi, e così via. Prendendo la Gran Bretagna come esempio, essi spiegano come un effettivo aumento delle retribuzioni dei dirigenti pari al 6 per cento in un dato periodo, si tramuta velocemente in un incremento del 23 per cento nei media, o un aumento del 2 per cento diventa del 49 per cento. La loro conclusione è la seguente: «Riteniamo che una ricerca e un’analisi inadeguate abbiano danneggiato la coesione sociale più di quanto abbiano fatto le aziende stesse pagando i loro top manager così tanto».

Anche gli economisti americani Phil Gramm, Robert Ekelund e John Early hanno fatto lo stesso ragionamento nel loro libro “Il mito della disuguaglianza in America”. Essi criticano il fatto che i sussidi e le tasse sono ignorati nelle statistiche statunitensi sulla disuguaglianza. Se le consistenti imposte pagate dai lavoratori con un reddito elevato non si riflettono nelle statistiche e i consistenti trasferimenti ricevuti dai lavoratori con un reddito basso sono anch’essi largamente ignorati, ciò porta logicamente a sbagliare i dati sulla crescente disuguaglianza. Se le tasse e i trasferimenti sono inclusi, allora il rapporto tra il reddito del 20 percento più alto della popolazione e quello del 20 percento più basso degli americani è di 4 a 1 anziché di 16,7 a 1 come riportato nei dati ufficiali.

Quindi, la disuguaglianza non è salita così tanto come spesso si sostiene. In ogni caso, credo che dovremmo preoccuparci meno della questione della disuguaglianza e più del problema della povertà.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter