Nouvelle vagueCome l’Europa è diventata la massima espressione del calcio femminile

La vittoria della Spagna ai Mondiali, in finale contro l’Inghilterra, è solo la punta dell’iceberg di un percorso di sviluppo che ha portato le nazioni del vecchio continente a tagliare la distanza rispetto a superpotenze del pallone come Stati Uniti e Giappone

AP/Lapresse

E infine con la vittoria della Spagna anche la coppa del Mondo è tornata a casa, in Europa, nel contesto che questo sport idealmente lo ha inventato e lo ha innalzato alla sua massima espressione esecutiva. Finalmente il timore reverenziale verso la Nazionale americana con le sue giovanissime promesse e le vecchie guardie ormai diventate icone attiviste e anche di lifestyle è stato riposto. Fra le migliori otto squadre di questo Mondiale arrivate ai quarti c’erano cinque europee (Inghilterra, Francia, Spagna, Olanda, Svezia) più Australia, Giappone e Colombia. E come dinastie nobili si sono scontrate ad armi pari, si sono eliminate l’una l’altra finché a spuntarla non sono rimaste Inghilterra e Spagna.

Mai così presto gli Stati Uniti erano usciti da un Mondiale. Le ragazze di Vlatko Andonowski sono state eliminate dalla Svezia già agli ottavi, e a dire il vero senza destare neanche troppa sorpresa. In questo campionato le americane hanno giocato in maniera irriconoscibile e per questo sono state trattate male da tutti: dalla stampa internazionale che ha calcato un po’ troppo la mano su una squadra che ha già abbastanza tematiche su cui ritirarsi a riflettere, dal pubblico deluso di non aver vinto la solita medaglia d’oro e/o coppa, e persino dalle loro colleghe. Sembra che l’olandese Lineth Beerensteyn abbia aspettato al varco le americane per la prontezza con cui ha mostrato la sua schadenfreude dopo la loro eliminazione: più di tutto non le era andata giù che le colleghe statunitensi si fossero atteggiate fin dal giorno uno come se fosse scontato che una delle due formazioni a contendersi la finale sarebbero state loro. Non si può fare a meno però di considerare l’uscita di Beerensteyn come la cartina di tornasole del sentire di alcune giocatrici con una certa anzianità sul campo, abituate per anni a giocare partite sotto l’egemonia statunitense di Alex Morgan e compagne. Uscite di scena loro, per mano della Svezia, il calcio europeo ha avuto strada sgombra per mostrare che il fulcro dello stato dell’arte si è spostato ad altre latitudini.

Il calcio femminile in Europa non è nato domenica con la finale, anche se molti europei di questo dettaglio non sono a conoscenza. Nazioni come la Germania, la Svezia, la Danimarca, la Francia e l’Inghilterra seguono da anni un cammino graduale di investimenti in denaro e ampliamento dei diritti delle giocatrici finalizzato a rafforzare il professionismo in uno sport che notoriamente non ha mai avuto molte tutele. Le nazioni più a sud, la Spagna e l’Italia fra tutte, sono arrivate dopo. L’Italia come sappiamo ha avuto un unico exploit a partire dal Mondiale francese del 2019, mentre nello stesso arco di tempo la Spagna ha impostato un progetto stabile e in constante crescita che nel giro di due estati l’ha portata dalla sconfitta ai quarti contro l’Inghilterra dell’Europeo alla vittoria del Mondiale proprio contro la stessa formazione.

La sensazione che questo Mondiale avrebbe potuto segnare la definitiva consacrazione di certe squadre europee l’avevamo già avuta con l’Europeo dello scorso anno. Il livello di tecnica e fisicità raggiunto dall’Inghilterra e dalla Germania che avevamo visto in finale aveva già sussurrato alle orecchie dei più sognatori che forse era arrivato il momento di una nuova dinastia del calcio femminile e quella dinastia poteva essere o inglese o tedesca. Le altre grandi come la Francia e la Spagna non erano emerse poi alla fine più di tanto, complici lotte intestine con allenatrici o tendini che si erano rotti alla vigilia del campionato. Quel titolo alle inglesi è stato indiscutibile, avevano vinto le più forti.

Le stesse dinamiche poi si sono ripetute nella finale di Champions League, la vecchia guardia delle tedesche del Wolfsburg è stata sconfitta dalle ragazze dal calcio geniale del Barcellona. La coppa sollevata dalle spagnole è stata solo l’antipasto di quello che sarebbe arrivato in Australia, ma a guardare bene il pallone d’Oro a Putellas per due anni di fila è “spagnolo”, e sempre il Barcellona è arrivato a giocarsi le ultime tre finali di Champions League vincendone due, quella del 2021 e quella del 2023. Se nel piccolo c’è il grande, se nella ghianda esiste già l’albero, allora è lecito dire che in questi traguardi recenti ci stava già la finale di domenica.

E tutto in questa finale parla di continuità, di processi iniziati in sordina che sono stati perseguiti con costanza e scrupolosa pianificazione. L’Inghilterra è arrivata a questa finale zoppicando. A onor del vero mai sconfitta, ma comunque a tratti più ombra di se stessa che regina d’Europa. Le defezioni per infortunio e i ritiri hanno costretto coach Sarina Wiegman a mettere in campo una formazione molto diversa rispetto a quella che abbiamo visto lo scorso anno. Ma nel complesso quello che resta dopo la sconfitta in finale è il “sistema calcio” che questa nazione è stata in grado di costruire.

La Women’s Super League, il massimo campionato di calcio inglese, al momento è il torneo più competitivo del mondo. Squadre come il Chelsea, l’Arsenal e Manchester United sono l’avanguardia del calcio femminile, non solo in termini di calcio giocato ma anche come modello d’ispirazione per chi vuole portare questo sport al prossimo livello. Sarina Wiegman poi è uno dei nomi papabili per la successione a Gareth Southgate alla guida della nazionale maschile. Che si tratti di un gossip o meno, la serietà e la possibilità con cui questa notizia è stata accolta raccontano anche di un interscambio fra due pianeti che nel resto del globo non si sfiorano nemmeno. Anche questa è avanguardia.

In attesa di dati più precisi e approfonditi sul numero di spettatori in tutto il mondo, le previsioni della Fifa stimavano circa due miliardi di persone sintonizzate per vedere la finale fra Spagna e Inghilterra, un numero che doppierebbe (quasi) quello della scorsa edizione in Francia, quella vinta dagli Stati Uniti nel 2019. E questo lo renderebbe l’evento sportivo femminile più seguito della storia. I dati già disponibili invece dicono che più di due milioni di ticket sono stati venduti ai botteghini. Moltissimi per un Mondiale che ha creato molte incertezze anche sul piano della visibilità con i ritardi enormi sugli accordi economici fra broadcaster che hanno proposto offerte irrisorie e la Fifa che si è opposta fino all’ultimo a quantitativi di denaro che svilivano già in partenza la qualità del torneo che poi avremmo guardato e commentato. E questo nonostante gli orari a tratti restrittivi dovuti al fuso che almeno inizialmente erano stati apportati come scuse per pagare cifre più basse per i diritti televisivi in Europa.

Alla fine a contendersi la coppa del mondo sono arrivate le due formazioni che hanno espresso l’élite calcistica a livello di nazionale e di club dell’anno appena trascorso. Delle due, a trovare la lucidità e la chiave per la vittoria in finale è stata la Spagna che a questo Mondiale ha davvero messo in campo talenti su talenti – era come se Jorge Vildas continuasse a pescare da un mazzo di carte vincente. Da questo mondiale, in maniera equa, il calcio esce rafforzato e ha contribuito a rafforzare. Ha dato lo spettacolo che il pubblico voleva e in cambio ha preso il seguito e il supporto di milioni di persone come mai prima d’ora.

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